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Covid e chiusure: manifestazioni di piazza, malumori in maggioranza e crescono gli esperti critici

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Le ulteriori misure restrittive e le chiusure di attività e servizi disposte dal nuovo Dpcm di domenica scorsa stanno provocando manifestazioni di protesta un po’ in tutta Italia. Cresce anche il malumore dentro la maggioranza di governo così come gli esperti che esprimono pareri critici.
Covid e chiusure: manifestazioni di piazza, malumori in maggioranza e crescono gli esperti critici
Le ulteriori misure restrittive e le chiusure di attività e servizi disposte dal nuovo Dpcm di domenica scorsa stanno provocando manifestazioni di protesta un po’ in tutta Italia. Cresce anche il malumore dentro la maggioranza di governo così come gli esperti che esprimono pareri critici.
Da Torino a Milano, da Roma a Napoli, dai centri piccoli e grandi del nord fino alle città della Sicilia passando per il Centro, si allarga la protesta nel Paese, con toni e modi anche molto diversi tra loro. Alcuni sindaci hanno espresso solidarietà con i manifestanti e a Roma file di manifestanti si sono posizionate anche davanti a Palazzo Chigi.
Le associazioni di categoria incontrano il governo ed esprimono grandissime preoccupazioni per tutte le attività penalizzate che hanno fatto investimenti anche ingenti per mettersi in regola secondo le disposizioni del governo e che oggi si trovano comunque a dover chiudere.
«L’ultimo decreto produrrà altri danni gravissimi alle imprese, danni insopportabili» hanno detto diversi rappresentanti delle associazioni degli esercenti, mentre 26 sindaci del Grossetano hanno scritto a Conte, al presidente della Regione Toscana Eugenio Giani e all’Anci per chiedere la revisione del DPCM sulle chiusure di bar e ristoranti alle ore 18 e delle altre misure nei piccoli Comuni di cui viene «distrutta la vita».
Italia Viva e il ministro Bellanova hanno espresso contrarietà e chiesto a Conte di modificare il Dpcm e qualche mugugno si è avuto anche tra i pentastellati.
C’è scetticismo anche dalle Regioni che chiedono al governo di “valutare se qualche correzione ci potrà essere”. “Secondo noi – spiega il presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini – era meglio chiudere i centri commerciali il sabato e la domenica dove si affolla tanta gente che ristoranti, teatri, cinema e palestre che rispettavano le regole”.
Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, nel suo editoriale di ieri ha definito il Dpcm «un patchwork di norme e “raccomandazioni” che mescola misure utili e sacrosante ad altre inutili e deprimenti. Queste ultime, fra l’altro, stonano con le dichiarazioni rese al Corriere dalla più alta autorità scientifica del Cts, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli» (che aveva detto tra le altre cose: “non siamo vicini alla perdita di controllo” dei contagi; “solo un terzo dei soggetti infetti ha sintomatologia, in larga parte di limitata severità”; dunque bisogna “mantenere i nervi saldi ed evitare il panico”).
«Si comprende ancor meno è la chiusura 24 ore su 24 di cinema e teatri, cioè i luoghi più sicuri dopo il deserto del Sahara, dove non risultano focolai per il rigoroso distanziamento dei posti assegnati: perchè non tenerli aperti almeno fino alle 18, consentendo proiezioni e rappresentazioni mattutine e pomeridiane? – scrive ancora Travaglio – Altrettanto incomprensibile è la chiusura alle 18 di bar e ristoranti, che come palestre e piscine avevano investito molte risorse per mettersi in regola coi protocolli di sicurezza. Il virus circola soprattutto di giorno e i nuovi divieti si concentrano dopo il tramonto (contro il famoso Covid da prima e seconda serata): ma che senso ha?».
«Non era meglio lasciare qualche valvola di sfogo serale in locali aperti al pubblico (e ai controlli) che già rispettavano le regole di distanziamento e anti-assembramento, come bar, ristoranti, teatri e cinema, diradando o ritardando così i contatti familiari che (ancora Locatelli) sono “il contesto di trasmissione principale del virus”? – ha scritto ancora Travaglio – E chi sono gli scienziati o i politici fenomeni che hanno suggerito misure tanto irrazionali e forse controproducenti, che fino a tre giorni fa Conte non voleva neppure sentir evocare? A queste domande il premier non ha risposto, anche perchè – non trattandosi di Mes e simili baggianate – nessuno gliele ha poste. Così, forse, ha ripreso il controllo del governo e della maggioranza e ha messo a cuccia per un po’ la canea degli sgovernatori falliti sempre a caccia di un capro espiatorio. Ma è improbabile che abbia ottenuto il risultato più importante per vincere la guerra: convincere i cittadini italiani».
«Non si puo’ andare avanti a colpi di lockdown e di coprifuoco: non serve un approccio di buonsenso o di pancia, ma un approccio razionale. Le misure vanno prese sulla base dei dati: a fare questa affermazione è stata, ad “Agora’” su Raitre, Antonella Viola, immunologa dell’Universita’ di Padova. «Dobbiamo capire dove avvengono i contagi, i dati del tracciamento ci sono e vanno a messi a disposizione della comunita’ scientifica – ha sottolineato – I contagi avvengono nei ristoranti? Nei bar? Nei cinema? Se non ci sono dati precisi, perche’ usare la falce e chiudere tutto?».
Matteo Bassetti, direttore della clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, scrive sulla sua pagina Facebook: «La gente è terrorizzata e per la paura corre in ospedale, anche quando non ce ne sarebbe la necessità. Non ci sono protocolli per la gestione domiciliare (noi in Liguria li abbiamo sviluppati e sono a disposizione di chi li vorrà consultare). Non ci sono criteri nazionali condivisi per chi ricoverare (quelli liguri sono disponibili). Risultato? Gli ospedali e i pronto soccorso italiani sono allo stremo perché si mischiano i casi di chi ha veramente bisogno dell’Ospedale con quelli che potrebbero essere seguiti a casa. Ci sono casi gravi e impegnativi, ma rispetto a marzo sono la minoranza. Speriamo che qualcuno in Italia mi ascolti».
«I cittadini chiedono da sempre la presenza dei medici nel territorio. Noi stessi chiediamo che a fronte di test diagnostici che siano realmente affidabili e specifici (se esistenti) si ponga fine a un clima di inutile e pericoloso terrore portando orde di persone terrorizzate ad affollare i pronto soccorsi bloccandoli – ha scritto sui social il dottor Stefano Manera, già in prima linea nella terapia intensiva di Bergamo a marzo  – Chiediamo da molti mesi che i numeri siano dati in maniera razionale e circostanziata e non bollettini di guerra. Chiediamo che i pazienti possano essere curati a casa adeguatamente fornendo linee guida e direttive da parte delle istituzioni, perché la maggior parte dei pazienti possono essere curati a casa e la maggior parte dei pazienti guariscono!».
«Il premier Conte la scorsa settimana aveva detto che un lockdown sarebbe stato disastroso. Ebbene, queste misure di fatto creano un lockdown, peraltro con provvedimenti che io trovo assurdi e non credo avranno un impatto significativo sul numero dei contagi»: queste le parole di Maria Rita Gismondo, a capo del Laboratorio di Microbiologia clinica, Virologia e Diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco, parlando con l’Adnkronos Salute. Esprime completo disaccordo in particolare per alcune chiusure come quella «dei cinema, dei teatri e delle palestre, che sono ambienti assolutamente controllati». Per Gismondo vietare queste attività ai cittadini «toglie solamente la possibilità di una vita quasi normale, che ormai non abbiamo più», ma senza apparire incisive per modificare il trend delle infezioni da coronavirus Sars-CoV-2. «Io sono sempre stata, e continuo a essere, per la responsabilizzazione» dei cittadini e per controlli rigorosi che garantiscano il rispetto delle regole, ricorda Gismondo. «Ma vorrei che il Comitato tecnico scientifico” per l’emergenza Covid “abbia il coraggio di mettere sul tavolo anche soluzioni diverse (…) che abbiano rispetto del benessere complessivo, fatto pure di benessere psichico, sociale ed economico».
Il presidente del Consiglio ha affidato a un suo intervento su Il Fatto Quotidiano la giustificazione delle scelte fatte, affermando tra le altre cose:
«Con lo smart working e il ricorso alla didattica a distanza nelle scuole secondarie di secondo grado puntiamo a ridurre momenti di incontri e soprattutto l’afflusso nei mezzi di trasporto durante il giorno, perché sappiamo che è soprattutto lì che si creano affollamenti e quindi occasioni di contagio. Acquistare subito centinaia di nuovi mezzi pubblici è impossibile, per questo andava decongestionato il sistema del trasporto pubblico agendo su scuola e lavoro e altre occasioni di uscita come lo sono l’attività sportiva in palestre e piscine. Stessa cosa abbiamo fatto la sera: abbiamo ridotto tutte le occasioni di socialità che spingono le persone a uscire nelle ore serali e a spostarsi con i mezzi pubblici. Uscire la sera per andare al ristorante, cinema o teatro significa prendere mezzi pubblici o taxi, fermarsi prima o dopo in una piazza a bere qualcosa o a incontrarsi con amici abbassando la propria soglia di attenzione e creando assembramenti. Ecco perché abbiamo sospeso le attività di ristoranti, cinema e teatri. Così si è meno incentivati a uscire di casa».
Non si sono fatte attendere le repliche dei numerosi che hanno fatto notare come il tempo per riorganizzare i mezzi pubblici ci fosse da marzo e come oggi la situazione del trasporto non sia stata ottimizzata né efficientata malgrado fosse ampiamente attesa dallo stesso governo la “seconda ondata”. E non si sono fatte attendere neanche le osservazioni di chi ha chiosato come oggi, stante l’inefficienza dei mezzi pubblici ancora impreparati, a pagare siano le attività che nel frattempo si erano messe in regola ottemperando alle norme imposte dallo stesso governo.

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