È a rischio la figura professionale dell’erborista a causa del “colpo di mano” del governo, che ha predisposto l’abrogazione della legge che la istituiva. In questo modo, ogni agricoltore sarà legittimato a trasformare le erbe vendendo potenziali fitoterapici senza sufficienti garanzie per il consumatore. Ma non solo: in questo modo rischiano il tracollo aziende di trasformazione, erboristerie e corsi di laurea specifici. Già partita una raccolta firme.
Il problema investe una intera categoria che negli anni in Italia è cresciuta in numeri e potenzialità e che garantisce la qualità del prodotto fitoterapico finito che arriva al consumatore. Oggi, con il colpo di mano del governo, la figura dell’erborista è a rischio, così come tutto l’indotto specializzato. Ma gli
erboristi italiani non si arrendono. È già partita una petizione (
QUI si può firmare) e azioni di sensibilizzazione nei confronti del governo in attesa del termine entro cui in Commissione si dovrà fornire un parere, il 27 febbraio.
Ce ne parla la dottoressa Paola Paltrinieri, erborista dal 1995, membro dell’associazione Erboristi Mediterranei e docente del corso professionalizzante “Accademia della Tisana”, con alle spalle docenze in diversi seminari e master universitari.
Come si è venuta a creare questa emergenza?
Dalle concertazioni del tavolo della filiera istituito dalla Conferenza Stato-Regioni era uscito un progetto di legge (il numero
3864, “Disciplina della coltivazione, della raccolta e della prima trasformazione delle piante officinali”) che era stato sottoposto alla Commissione agricoltura il 26 ottobre 2017. In quella data furono erano state ascoltate le associazioni di categoria degli erboristi che avevano espresso ferma contrarietà alla prevista abrogazione di quasi tutti gli articoli della
legge 99 del 6 gennaio 1931. Dopo questa audizione si pensava che comunque i lavori sarebbero stati rimandati alla successiva legislatura, data l’imminente chiusura delle Camere e conseguenti consultazioni elettorali. Invece non è stato così. A inizio 2018 abbiamo saputo che, durante il periodo delle festività natalizie, il Governo, con un decreto legislativo, aveva predisposto proprio l’abrogazione totale della legge del 1931 e del suo Regolamento attuativo, cioè i testi che hanno istituito
la figura professionale dell’erborista in Italia. Con ciò, è evidente l’intenzione del Governo di inquadrare coltivazione e prima lavorazione delle piante officinali nell’attività agricola, superando l’attuale regime che stabilisce l’obbligo per chi coltiva e fa una prima trasformazione di avere la qualifica di erborista. Fondamentalmente, con la scusa di incrementare la produzione di
piante officinali made in Italy e di sostenere le imprese agricole anche attraverso la conversione di aree demaniali incolte, si vanno a sanare tutti quegli agricoltori (e agriturismi) che già coltivano, trasformano e vendono piante officinali senza il titolo di erborista, in barba alla normativa vigente. Nel frattempo la Regione Veneto si è “messa avanti” e
ha già deliberato secondo le linee stabilite dal governo. Altro aspetto da non sottovalutare: all’articolo 6 del dl 490 (Registri varietali delle specie di piante officinali) si definisce la procedura di certificazione delle sementi per garantire la tracciabilità del materiale sementiero e di propagazione delle piante officinali e definisce le caratteristiche tecnologiche del materiale ammesso alla commercializzazione.Ciò potrebbe aprire la porta alle multinazionali…
Cosa accadrà se non si rimedierà alla strada intrapresa?
Sicuramente ci saranno forti ripercussioni su tutto il settore di qui a breve-medio termine. Perché questo atto del governo sancisce che gli erboristi, semplicemente, non esistono! Si arriverà a perdere, nel tempo, un patrimonio italiano: l’erborista tradizionale, diplomato o laureato, colui che detiene le competenze per fornire al consumatore una tisana personalizzata, attraverso la libera miscelazione estemporanea. Già con le liberalizzazioni di Bersani abbiamo dovuto accettare che si aprissero esercizi da parte di non aventi titolo, anche se in parecchi Comuni la licenza alla miscelazione estemporanea veniva negata; ciò ha creato confusione e destabilizzazione nei consumatori. Tutto quello che oggi esiste lo si deve alla legge del 1931 e al regolamento attuativo: dalle tisane preparate dagli erboristi alla vendita al minuto, fino al corso di laurea triennale in tecniche erboristiche. Voglio credere che molti decisori e funzionari abbiano supposto che esistessero altre leggi e regolamenti attuativi che avrebbero, comunque, sorretto il comparto… ma non credo sia così. Qualsiasi professione, esercitata da diplomati o laureati, viene identificata da norme di leggi, e la nostra come molte altre impatta sulla sicurezza dei consumatori. Ho insegnato in Università e a molti tirocinanti, mi sento come una belva a difesa dei cuccioli nei confronti di un governo che vuole rubare loro il futuro.
Quali sono i rischi per chi è erborista da anni, per chi esce ora dall’università e lo vuole diventare e per i consumatori?
Il corso di laurea in tecniche erboristiche si fonda, dal punto di vista legale, esclusivamente sulla legge del 6 gennaio 1931. Venendo a mancare questa, ci sono due grandi rischi: che vengano meno i presupposti ideologici che ne hanno permesso la sua istituzione e che i laureati non abbiano alcuno sbocco operativo perché la loro professione non sarà normata da alcun’altra legge italiana. Esistono in Italia numerosi piccoli e medi laboratori di prodotti erboristici, spesso affiancati dalla produzione agricola: gli erboristi impiegati in queste realtà potrebbero improvvisamente diventare superflui per le dinamiche aziendali. Se l’agricoltore inizierà a vendere piante officinali direttamente al consumatore, sarà in grado di proteggerlo da eventuali interazioni con altre terapie in corso o avvisarlo riguardo le potenziali controindicazioni? Le piante officinali sono organismi vegetali estremamente complessi, molte di esse ancora in fase di studio, anche se considerate commercialmente alla stregua degli alimenti, sono in grado di sostenere e modulare funzioni fisiologiche: informazioni fondamentali per un utilizzo consapevole da parte del consumatore.
C’è un fronte compatto di protesta tra le associazioni che tutelano questa figura?
Si, la protesta è unitaria da parte di Unerbe-Confesercenti, Fei-Confcommercio e Università.
Cosa chiedete e come si dovrebbe muovere il governo?
Chiediamo al Governo e alle parti in causa di fermarsi per tempo, prima di abrogare la legge del 6 gennaio 1931 senza offrire una contropartita. La possibilità di emendare l’articolo 8 del decreto legislativo (quello delle abrogazioni) esiste e va assolutamente percorsa per evitare la violazione dei nostri diritti. Dopo 30 anni di richieste di aggiornamento della nostra normativa, ora la si cancella?
Secondo voi da cosa è dipesa la scelta che è stata fatta? C’è qualcosa dietro?
Eccesso di liberalizzazioni? E’ veramente possibile favorire una categoria fino al punto di cancellarne un’altra? Sicuramente gli agricoltori rappresentano un numero maggiore di voti, ma ne va anche della salute dei consumatori…
Com’è la situazione negli altri paesi europei?
L’erboristeria italiana si caratterizza rispetto alle altre nazioni per l’arte della miscelazione estemporanea delle piante officinali. Perché vogliamo perdere 80 anni di tradizione, che si basa su secoli di arte erboristica e su conferme scientifiche in continua evoluzione?