«Mentre milioni di persone in tutta Europa fanno i conti con
aumenti senza precedenti delle spese per i carburanti, le multinazionali del petrolio stanno incassando margini di profitto enormi, vendendo a prezzi vertiginosi anche quando la loro base di costo non è particolarmente intaccata»: lo spiega
l’analisi commissionata da Greenpeace Central and Eastern Europe.
Milioni di extraprofitto al giorno
«Dall’inizio della guerra in Ucraina, secondo la nostra analisi,
le compagnie petrolifere hanno generato almeno 3 miliardi di euro di extra-profitti dalla vendita di diesel e benzina in Europa. Con una media di 107 milioni di euro di entrate extra al giorno – 94 dalla vendita di diesel e 13 da quella di benzina – solo nel mese di marzo. – spiega
Greenpeace –
In Italia le entrate extra delle compagnie petrolifere nel mese di marzo 2022 sono state in media di 387,5 milioni di euro, pari a 12,5 milioni al giorno (10,4 dalla vendita di diesel, 2,1 da quella di benzina). Dalla nostra analisi emerge inoltre che, sebbene i prezzi del greggio siano aumentati di 19,38 centesimi di euro al litro da gennaio a marzo, il vero aumento c’è stato nei prodotti raffinati come
il diesel, che ha registrato +30/31 centesimi al litro, e +36,52 alle stazioni di rifornimento. Anche i prezzi della benzina hanno seguito un trend simile, ma più debole».
«Alla luce di questi dati, chiediamo alla Commissione UE un’indagine sui recenti aumenti dei prezzi dei carburanti per verificare che non sia dovuta ad accordi di cartello o di fissazione dei prezzi. Allo stesso tempo, chiediamo alle aziende dell’oil&gas di rendere pubblica l’entità degli extra-profitti accumulati» prosegue l’associazione.
Tassare gli extraprofitti per aiutare le famiglie
«Le compagnie petrolifere stanno facendo salire i prezzi per trarre profitti record dalla guerra e dalla crisi energetica che loro stesse hanno contribuito ad alimentare. L’Unione Europea deve fermarle e tassare questi enormi profitti, utilizzando le entrate così ottenute per sostenere le famiglie più colpite e accelerare la transizione del settore dei trasporti verso forme di mobilità sostenibile, riducendo anche la sua dipendenza dal petrolio – aggiunge ancora Greenpeace – In Italia il governo ha provato a farlo e ha già adottato una tassa sugli extra profitti, ma la misura deve essere decisamente rivista e migliorata in quanto troppo timida sul contributo (solo il 10 per cento degli extra-profitti) e poco focalizzata sulle aziende dei combustibili fossili, che alimentano il conflitto in corso».
Liberare il settore dei trasporti dal petrolio
«Infine, sono necessarie da subito misure per ridurre la dipendenza dei trasporti europei dal petrolio. Nonostante
circa il 70 per cento del petrolio consumato in Europa venga usato per i trasporti,
l’Unione Europea ha ignorato il settore nella bozza del piano REPowerEU per ridurre la
dipendenza energetica dalla Russia. – spiega sempre l’associazione – Serve invece
potenziare il trasporto pubblico ed elettrico, vietare i voli a corto raggio che hanno già un’alternativa ferroviaria,
finanziare la mobilità alternativa nelle città e
mettere fine alla vendita delle auto con motore endotermico.
Gli sconti alla pompa di benzina non bastano per uscire da una crisi destinata a ripresentarsi fintanto che non ridurremo ed elimineremo la
dipendenza europea dai combustibili fossili».
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Come affrontare l’incombente crisi energetica? Un’inchiesta ad ampio spettro di uno dei giornalisti di riferimento di Terra Nuova.
Il cambiamento è alle porte. Sulla nostra comfort zone è calato improvvisamente il buio: la crisi energetica entra nel vivo e la guerra in Ucraina innesca un grande cortocircuito economico e sociale. Cosa fare se incombe la crisi climatica e le rinnovabili rischiano di non bastare per coprire i nostri consumi?
Le interruzioni improvvise di energia diventano sempre più reali e i media soffiano sul fuoco della paura collettiva. Il rischio è quello di puntare tutto sulla digitalizzazione e diventare ancora più vulnerabili: è giunta l’ora di fare luce, correre ai ripari e guadagnare nuovi spazi di autonomia. Le vie di uscita per sfuggire al collasso.