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I cittadini si ribellano al divieto di frequentare i boschi in Liguria

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Il presidente della Regione Liguria ha vietato in 114 comuni tra cui Genova per sei mesi ogni attività che possa avere un contatto con i cinghiali, tra cui la raccolta dei funghi e tartufi, la pesca, il trekking, il mountain bike e le altre attività di “interazione diretta o indiretta coi cinghiali infetti“. Di fatto un divieto di praticare boschi e monti per la peste suina sui cui è dato l’allarme.
I cittadini si ribellano al divieto di frequentare i boschi in Liguria
Il presidente della Regione Liguria ha vietato in 114 comuni tra cui Genova per sei mesi ogni attività che possa avere un contatto con i cinghiali, tra cui la raccolta dei funghi e tartufi, la pesca, il trekking, il mountain bike e le altre attività di “interazione diretta o indiretta coi cinghiali infetti“. Di fatto un divieto di praticare boschi e monti per la peste suina sui cui è dato l’allarme.
«Stando all’interpretazione letterale dell’ordinanza, infatti, fino a luglio sarebbero vietate le gite e le escursioni in tutto l’entroterra genovese – si legge su Genova24 – Ma senza andare troppo lontano, in teoria sarebbero vietate anche tutte le attività nei boschi urbani cittadini, dove migliaia di genovesi, quotidianamente, vanno per correre, camminare, portare il proprio cane a sgambare. Tutto ciò nonostante sia cosa certa l’impossibilità di trasmissione del virus verso altre specie, umani compresi».
I cittadini protestano e sta diventando virale sui social una lettera, condivisa da tutti coloro che sono contrari al lockdown dei boschi liguri, con l’invito a indirizzarla al presidente della Liguria, Giovanni Toti, al sindaco di Genova, Marco Bucci, e ai ministri della Salute, Roberto Speranza, e delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli.
“Come Cittadina/o ligure/italiana/o, voglio esprimere tutta la mia indignazione per le decisioni prese e calate dall’alto in materia di contenimento della peste suina che impongono di fatto un lockdown dei boschi dell’entroterra ligure” questo l’incipit della lettera.
E continua: “Limitare il lavoro e il tempo libero di tutti cittadini italiani (poiché i nostri boschi rappresentano un territorio non frequentato solo dai liguri) e mettere in pericolo l’economia di interi comuni allo scopo di difendere gli allevamenti intensivi è una misura inaccettabile, senza alcuna logica e totalmente fallimentare. Infatti, siamo al corrente che cinghiali potenzialmente infetti sono già dispersi su tutto il territorio regionale e oltre, proprio a causa della caccia in battuta o braccata, attualmente in corso, che è la prima causa di rapida diffusione della peste”.
Poi si legge ancora: “Sono norme che non garantiscono alcuna certezza se non quella di limitare il diritto al lavoro e al tempo libero di migliaia di persone. Se la preoccupazione è quella di tutelare gli allevamenti, i provvedimenti vanno presi nella direzione di messa in sicurezza degli stessi e non nella limitazione della fruizione degli spazi naturali dei boschi, spazio vitale per la salute e il lavoro di tutte e tutti, che le istituzioni hanno il dovere e la responsabilità di salvaguardare, a maggior ragione in questo momento storico”.
Poi la lettera si conclude con queste parole: “Non si capisce di che cosa dovremmo avere paura, considerato che siamo costrette e costretti, da anni, a coabitare in città con i cinghiali. Tutto questo a causa della totale assenza decennale di provvedimenti e azioni che favoriscano il rientro dei cinghiali nell’habitat naturale a vantaggio del loro e nostro equilibrio. Queste ordinanze inaccettabili nascono a supporto di stili di vita mortiferi voluti ormai solo da poteri economici sostenuti dai governi. Dopo due anni di fallimentare gestione pandemica, noi sappiamo bene quali sono gli stili di vita sani che vogliamo condurre. Che non si pensi che questa volta staremo chiuse e chiusi in casa ad aspettare la fine dell’ordinanza”.

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