Medicina Democratica è un’associazione attiva da decenni sul territorio nazionale e
nel documento che ha diffuso afferma che: «La previsione di obblighi rigidi, per categorie di lavoratori o generalizzate, tanto più se connesse con la sospensione dal lavoro e l’azzeramento del reddito (fino al licenziamento per le categorie precarie)
risultano in contrasto con i diritti dei lavoratori e con le norme in materia di sicurezza sul lavoro (…). Un modo serio per ridurre le polemiche sulla campagna vaccinale e ricondurre le questioni a un contesto epidemiologico e scientifico sarebbe quello di una sorveglianza attiva sugli effetti avversi, il sistema attuale di rilevazione non è idoneo e li sottostima. Disporre di dati corretti e completi è la premessa di ogni discussione e decisione comprendendo l’ineliminabile incertezza attuale sul virus e sugli strumenti di contenimento».
Medicina Democratica in un altro passaggio del documento sottolinea inoltre che: «Il ritorno alla “normalità” non potrà che avvenire tramite un cambiamento radicale delle condizioni ante sindemia: non si tratta solo di eradicare un virus ma di ripristinare un efficace servizio sanitario nazionale in grado di dare risposte di salute a tutti. Un servizio universalistico, gratuito, partecipato che torni a fondarsi, in termini di priorità e investimenti, su prevenzione, cura e riabilitazione e che consideri tutti i determinanti (ambientali, lavorativi, stili di vita e condizioni abitative e sociali)». E ancora: «Peraltro, nell’ambito degli obiettivi del SSN secondo la riforma del 1978, vi è anche quello della educazione sanitaria, compito abbandonato nella deriva privatistica della sanità degli ultimi decenni, che altrimenti avrebbe permesso un approccio razionale condiviso anche sul tema vaccini pur nella differenza di vedute».
L’
Osservatorio per la Legalità Costituzionale (composto da giuristi fra i quali i professori costituzionalisti Alberto Lucarelli, Marina Calamo Specchia, Fiammetta Salmonie e Michele della Morte, i civilisti Ugo Mattei, Piergiuseppe Monateri, Luca Nivarra, l’amministrativista Sergio Foa e l’internazionalista Pasquale de Sena)
ha diffuso un documento che, come scrivono nella lettera accompagnatoria, «
decreta l’illegittimità costituzionale del Green pass e la sua contrarietà al diritto europeo ipotizzandone la disapplicazione giudiziaria».
E spiegano: «Sarà fatto pervenire alle più alte cariche dello Stato, a tutti i parlamentari, ai membri della Corte Costituzionale e a tutti i magistrati».
Nel documento si cita innanzi tutto il regolamento UE 2021/953 approvato il 14 giugno che ha previsto un certificato verde allo scopo di impedire agli «Stati membri di imporre una quarantena obbligatoria o un test anti-Covid a coloro che siano in possesso della suddetta certificazione».
«Il Green pass europeo ha dunque una funzione di armonizzazione» scrivono i giuristi. «Descrive una situazione fattuale (vaccinato, guarito, detentore tampone negativo recente) ritenuta sufficiente dall’Europa per non offrire ai Paesi membri la possibilità di imporre ulteriori aggravi di accesso e di circolazione ai detentori del Green pass», benché «tutte e tre le condizioni certificate dal Green pass non sono garanzia scientifica di non contagiosità». I giuristi raffrontano poi la misura europea con i decreti-legge 52/2021 e 65/2021 che hanno introdotto le certificazioni verdi in Italia. «A dispetto della natura informativa piuttosto che normativa del Green pass, tesa, secondo il dettato normativo europeo, ad agevolare la circolazione ed evitare “le quarantene”, il dibattito sull’utilizzo interno al territorio nazionale è risultato progressivamente attribuire alla certificazione in questione contenuti normativi. (…) La differenza assume rilevanza giuridica sia sul piano teorico, che applicativo. Infatti, mentre anche in mancanza di Green pass è possibile accedere a qualunque paese europeo (soltanto si potrebbe essere oggetto di quarantena), traslato nel diritto interno le conseguenze assumono carattere normativo-prescrittivo».
E ancora: «Il DL 105/2021 (che ha introdotto l’obbligo del certificato per l’ingresso a strutture e servizi, nda) sembrerebbe conferire al Green pass natura di norma cogente a effetti plurimi di discriminazione e trattamento differenziato. (…) Sorgono pertanto plurimi ordini di problemi, perché diverse sono le dimensioni giuridiche coinvolte: 1) sotto il profilo generale, possibile violazione dell’ordinamento giuridico europeo, poiché mentre in ambito europeo il Green pass ha valenza informativa, assume viceversa nel nostro ordinamento valenza obbligatoria e prescrittiva; 2) presunta violazione del dato costituzionale, laddove, pur in assenza di un obbligo vaccinale e di un serio dibattito parlamentare come accaduto in Francia, s’introducono forme di discriminazione e di trattamento differenziato nei confronti dei soggetti non titolari del Green pass».
In merito al primo punto, l’Osservatorio afferma che il DL 105 «andrebbe disapplicato dal giudice ovvero, in subordine, attivato il meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Infatti, non si tratterebbe di una divergenza minore e superabile nel quadro di un libero esercizio di discrezionalità politico-legislativa, ma saremmo in presenza della configurazione di un altro modello di governance della pandemia, fondato su forme discriminatorie, piuttosto che estensive dell’esercizio dei diritti».
In relazione al secondo punto, «con l’entrata in vigore del DL 105/2021 la certificazione diviene il presupposto per adottare trattamenti differenziati in ordine all’utilizzo di determinati servizi ed all’accesso in luoghi aperti al pubblico. In questi casi, non si tratterebbe più soltanto di agevolare la libertà di circolazione in sicurezza, ma di imporre trattamenti differenziati, la cui ragionevolezza e proporzionalità andrebbe misurata caso per caso, stante l’assenza di un obbligo vaccinale. In sostanza, la certificazione verde finirebbe per costituire l’imposizione, surrettizia e indiretta, di un obbligo vaccinale per quanti intendano circolare liberamente e/o usufruire dei suddetti servizi o spazi. Ne conseguirebbe la violazione della libertà personale, intesa quale legittimo rifiuto di un trattamento sanitario non obbligatorio per legge, o comunque di continue e quotidiane pratiche invasive e costose quali il tampone».
Nel documento i giuristi affermano ancora: «In assenza della generalizzata obbligatorietà del vaccino, che sarebbe comunque costituzionalmente discutibile, o comunque necessaria di seri e rigorosi approfondimenti, non solo in virtu’ della natura sperimentale dei vaccini utilizzati, ma anche dalla mancanza di prova circa la sua capacità di limitare il contagio (effetto sull’infezione e non solo sulla malattia), rendere il patentino verde requisito necessario per esercitare il diritto alla circolazione o per accedere a determinati luoghi/servizi, comporterebbe, di fatto, in violazione dell’art. 32 Cost., la scelta tra il vaccinarsi o il sottoporsi a continui test o, peggio ancora, rinunciare a priori all’esercizio di propri diritti».
«Se l’obiettivo è quello di vaccinare tutta la popolazione, occorrerebbe esprimerlo con un chiaro e netto atto di indirizzo politico, ovvero con una legge formale, la quale allo stato, tuttavia, non sembrerebbe poter resistere ai limiti costituzionali vigenti, in virtù della sperimentalità e delle limitate conoscenze scientifiche circa l’impatto sull’infezione».
Inoltre i giuristi aggiungono: «Va evidenziato come non sia affatto scontata la corresponsione di un indennizzo a fronte di un eventuale danno da vaccino anti-Covid ai sensi della legge 210/92 posto che ad oggi è sempre stato necessario un intervento ad hoc della Corte costituzionale per estendere la vigenza della legge succitata di volta in volta anche alle vaccinazioni non obbligatorie ma solo raccomandate. Ne deriverebbe quindi un paradosso insuperabile giacché il danneggiato da farmaco sperimentale, per di più caldeggiato al punto da costituire discriminante per l’esercizio di libertà fondamentali, e quindi surrettiziamente obbligatorio, godrebbe di trattamento deteriore rispetto al danneggiato da un qualunque vaccino raccomandato per il quale la Corte costituzionale sia già intervenuta e sul quale sia già disponibile ampia letteratura medico scientifica per sostenere il nesso di causalità».
«E allora si ripropone la domanda che fonda questo scritto: perché non è possibile seguire la via maestra indicata dall’art 32 Cost., evitando ingiustificati, irragionevoli e sproporzionati trattamenti differenziati, anche su base locale, tramite l’imposizione con legge dell’obbligo del vaccino? – prosegue l’Osservatorio – E la risposta al momento sembrerebbe essere la seguente: mentre è stato sicuramente in passato possibile per altri vaccini, non lo è, allo stato delle nostre conoscenze, per i vaccini anti COVID 19, i quali possono essere ragionevolmente incentivati ma non imposti (neppure a categorie a rischio), come dimostra fra l’altro la richiesta del consenso informato. Probabilmente il motivo risiede nel fatto che tale imposizione, per non trasformare il diritto alla salute in diritto tiranno, deve essere sostenibile, ovvero ragionevole e proporzionale. La copertura dell’art 32 della Costituzione ammette l’imposizione di un sacrificio al singolo ma solo a fronte di un beneficio collettivo certo ed anche a condizione che il sacrificio sia certamente vantaggioso, in termini di salute, anche per il singolo stesso: requisito che non può dirsi soddisfatto laddove il farmaco sia ancora in fase sperimentale (così la sentenza storica della Corte Cost. 307/90, richiamata anche dalla recente sentenza Corte Cost. 5/2018)».
Infine, il documento afferma che: «Non lascia indifferenti il fatto che il Consiglio d’Europa, nella risoluzione del 27 gennaio 2021, stante l’attuale non obbligatorietà del vaccino e la contestuale necessità di rispettare il pieno esercizio della libertà di autodeterminazione degli individui, nel richiamare altresì gli artt. 8 e 9 della CEDU e l’art. 5 della Convenzione di Oviedo del 1996 sui diritti dell’uomo e la biomedicina, abbia risolutamente affermato la necessità di assicurare che nessuno venga discriminato per non essersi fatto vaccinare».
A inviare una
comunicazione-diffida al presidente del Consiglio, ai ministri della salute, economia, cultura e istruzione e ad altri enti, sempre in riferimento al decreto per l’obbligo di green pass, è stata
l’ Unione per le Cure i Diritti e le Libertà, sottoscritta da numerosi avvocati.
Nella diffida si legge che il decreto 105 «nella parte in cui limita diritti e libertà a determinate categorie di persone è contrario ai principi generali di democrazia dello Stato italiano nonché a trattati di diritto internazionale a tutela delle libertà e dei diritti fondamentali dell’uomo oltre che a norme comunitarie».
Nella diffida vengono elencate le norme in vigore che l’UCDL ritiene violate e si legge nella conclusione: «La continua estensione del novero delle limitazioni fino a svuotare il diritto di circolare o di riunione se non si è in possesso di un lasciapassare, alla fine si traduce surrettiziamente, in un condizionamento alla vaccinazione, che diventa di fatto un obbligo e che, oltre a ledere il consenso informato, finisce con l’essere una misura equivalente all’obbligo, con determinazione di un ennesima antinomia tra leggi: la legge che dispone la non obbligatorietà vaccinale e il decreto legge che ne determina un’obbligatorietà indiretta eo condizionata. Si instaura, così, un paradosso giuridico: un obbligo “di non dare ” verso chi “non fa una certa cosa”, pur essendo libero di “non farla”».
Gli avvocati hanno dunque diffidato i gestori delle attività ricomprese nel decreto a erogare comunque i servizi e permettere gli accessi senza distinzioni e hanno invitato gli organi istitizionali e politici a rimuovere «da subito il pericolo di instaurare un apartheid o ghetto sociale, che oltre a essere assolutamente fuori dagli schemi di democrazia su cui si fonda lo Stato italiano e la nostra stessa Carta Costituzionale, rappresenta solo una gratuita discriminazione ed emarginazione sociale di parte della società».
Scrive nel comunicato stampa l’avv. Erich Grimaldi, presidente di UCDL: «La squadra legale dell’Unione per le Cure, I Diritti e le Libertà ha inviato una diffida alla presidenza del Consiglio e agli uffici ministeriali preposti, nonché alle Regioni e ai Comuni, a Fipe, Confcommercio e Federalberghi, contro l’applicazione del Green Pass, così come licenziato dal Governo Draghi. Lo strumento, per come è stato concepito dalle istituzioni italiane, di fatto viola la disposizione europea secondo la quale nessun provvedimento può essere adottato per condurre all’obbligatorietà del vaccino. “In totale dispregio dell’ultimo capoverso dell’art 32 della Costituzione, che rappresenta aspetto inderogabile e assoluto (la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti)”, si legge nella diffida firmata da oltre 100 avvocati del gruppo, “dove nel comma due specifica che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per dispozione di legge, il Green Pass di fatto costringe alla vaccinazione per poter svolgere qualsiasi attività professionale”. Inoltre, continua la diffida, “l’articolo n. 36 del Regolamento UE 953/2021 precisa sia necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate”. Pertanto “il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati”. Ulteriori aspetti concernono la violazione della privacy ed il trattamento dei dati sensibili nonché la possibilità per i ristoratori, i gestori di palestre e piscine, di bar e musei, di sostituirsi ai pubblici ufficiali. La diffida, quindi, ha lo scopo di invitare I gestori di esercizi pubblici ad erogare i servizi senza generare emarginazione sociale e discriminazione tra vaccinati e non, con contestuale invito rivolto alle istituzioni a verificare gli aspetti del decreto violativi del regolamento UE».
Scuola e università
Il
decreto legge 111 del 6 agosto ha introdotto l’obbligo della certificazione covid anche per il personale di scuole e università, per gli studenti universitari e per alcuni trasporti pubblici.
Orizzonte Scuola riporta il parere critico dello Snals. E, sempre attraverso “La scuola che accoglie”, è stata diffusa la notizia della nascita del Movimento degli studenti universitari contrari all’obbligo del green pass (
QUI maggiori informazioni).