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I lavoratori della cultura scendono in piazza

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Il prossimo 6 ottobre si terrà a Roma una manifestazione unitaria dei lavoratori della cultura (beni culturali e spettacolo) per chiedere «che la cultura venga finalmente trattata come merita», spiegano. «È uno dei settori cardine dell’economia Italiana, occorre dare risorse, dignità e riconoscimento a Istituzioni, professionisti e lavoratori del settore».
I promotori della iniziativa sono diversi gruppi, associazioni e sindacati del settore della cultura e le istanze che portano avanti sono state racconte in un Manifesto che hanno pubblicato sul sito web costituito per l’occasione.
«Il settore culturale muove 250 miliardi, il 17% del PIL, in controtendenza rispetto a molti altri  spiegano – ogni euro investito in Cultura ne produce 1,8 in altri settori; la tutela del Patrimonio Culturale e della produzione culturale immateriale è principio fondamentale per il nostro Paese, contenuta nell’articolo 9 della Costituzione, che all’art.1 si fonda sul Lavoro. Eppure:
– L’occupazione nel settore culturale non cresce, fatto reso possibile dal sistematico utilizzo di lavoro nero o gratuito.
I diritti e gli stipendi dei lavoratori della Cultura vengono di anno in anno abbattuti.
– Un settore chiave dell’economia italiana viene pezzo per pezzo privatizzato, sulla pelle dei lavoratori, senza alcun vantaggio per la cittadinanza.
Per questo il 6 ottobre 2018 scendiamo in piazza».

Un settore definanziato

«Siamo professionisti dei Beni Culturali, siamo professionisti dello spettacolo dal vivo, e del cinema, siamo autori, operatori, tecnici, custodi, siamo aspiranti professionisti e siamo soggetti in formazione- aggiungono – Siamo le lavoratrici e i lavoratori della Cultura. Svolgiamo professioni diverse, lavoriamo in decine di luoghi diversi, dai teatri ai musei, dagli archivi ai laboratori. Ma tutte e tutti abbiamo visto, negli ultimi decenni, il nostro settore definanziato e marginalizzato, di volta in volta screditato o strumentalizzato; tutte e tutti abbiamo visto i nostri diritti crollare, una crescita della competizione al ribasso, un attacco alla qualità del lavoro».
«Per questo, oggi, chiamiamo a raccolta tutti i nostri colleghi, tutti i cittadini e le cittadine italiane, e in genere tutti coloro che abbiano a cuore il Patrimonio culturale e artistico di questo Paese, per la prima Manifestazione nazionale unitaria per la Cultura e il Lavoro. Pochi lo sanno, ma il settore culturale è uno dei pochi in cui, nonostante la crisi, le entrate hanno continuato a crescere. Un settore cardine dunque, su cui investire e su cui puntare per il rilancio dell’occupazione. Ma non è andata così».

Cultura penalizzata

«Nonostante l’enorme contributo offerto al Paese ogni anno, il settore culturale è costretto a funzionare (male) in costanti condizioni di ristrettezze economiche forzate, con investimenti e occupati nettamente al di sotto della media europea – spiegano ancora i promotori della manifestazione – Le Soprintendenze sono sotto organico, costantemente in regime di emergenza – da anni esponenti di diverse forze politiche ne chiedono la chiusura -; musei, siti archeologici, teatri, cinema, archivi e biblioteche chiudono, uno dopo l’altro; i pensionamenti si succedono spesso in assenza di turnover; il Fondo Unico per lo Spettacolo cala costantemente (-55% dal 1985), le esternalizzazioni dal 1993 in poi riguardano servizi sempre più essenziali per la vita dei luoghi culturali. I danni sono evidenti: l’80% degli italiani (dati Istat 2015) non è mai andata a teatro nel corso dell’anno, il 68% non ha mai visitato un Museo, il 56% non ha mai letto un libro. Questo non crea solo un problema economico e di esclusione sociale, ma permette anche il proliferare di teorie false e antistoriche che fomentano odio e divisioni, lontanissime dalla realtà storico-archeologica, o letteraria: teorie sempre più diffuse nella società e nel dibattito politico, fino ad arrivare alle Istituzioni».

«Risparmiare sulla cultura è scelta suicida»

«I numeri parlano chiaro: risparmiare sulla cultura, in Italia, è una scelta suicida, ma la cittadinanza lo ignora perché il dibattito pubblico è viziato da letture volutamente distorte, come il fatto che la crisi della cultura sia economica o che la mancanza di lavoro nel settore sia un fatto logico e scontato» aggiungono gruppi e sindacati che guidano la protesta.
«La verità è che il lavoro nella Cultura in Italia c’è, e pure parecchio. Ma in questo settore si sta sperimentando l’abbattimento dei diritti e del costo del lavoro, perché si tratta di professioni poco note, e di categorie storicamente divise, o poco numerose, o poco pronte a manifestare per la propria dignità professionale».

Le richieste

«Chiediamo ai cittadini, alla classe politica e ai giornali di prendere coscienza del problema, e al Governo di prendere urgentemente provvedimenti per porre fine a queste politiche del tutto insensate – scrivono i promotori – I provvedimenti da assumere sono tanti, previa l’abrogazione del pareggio di bilancio (art.81) in Costituzione, ovvia premessa di tutte le altre necessarie azioni; azioni quali, anzitutto:
• Portare l’investimento dell’Italia in cultura al 1,5% del PIL, in linea con gli altri Paesi europei.
• Aumentare i finanziamento pubblici al settore dello spettacolo (Fondo Unico per lo Spettacolo e finanziamenti locali), e creare miglior coordinamento e sinergia degli stessi, garantendo altresì finanziamenti certi su base almeno triennale. Modificare i criteri di elargizione del Fondo Unico per lo Spettacolo secondo veri principi di pluralismo, trasparenza, reale controllo dei criteri, evitando centralismi e marginalizzazioni dettati da mancanza di norme.
• Pubblicare i decreti attuativi della legge 175/2017 ascoltando le Parti Sociali.
• Promuovere un nuovo, coerente, omogeneo e condivisibile sistema nazionale di abilitazione a guida turistica.
• Pubblicare i decreti attuativi della legge 110/2014, che riconosce per la prima volta 7 professioni dei beni culturali; riconoscere e tutelare tutte le professioni oggi non regolamentate del settore dello spettacolo (registi, sceneggiatori, danzatori, attori, musicisti, doppiatori…), dei beni culturali (mediatori museali, paleontologi, manager del Patrimonio Culturale…) e in generale della cultura (traduttori, scrittori…).
• Far rispettare i Contratti nazionali esistenti, prevedendo che in mancanza di tale requisito si determini automaticamente la decadenza dei finanziamenti; creare finalmente un contratto nazionale del settore audiovisivo.
• Annullare le recenti riforme Ministeriali, e costruire, in cooperazione con i funzionari e i lavoratori del MiBACT, una struttura ministeriale ottimale, che metta in condizione il Ministero di adempiere a tutti i compiti specificati dal Codice del 2004.
• Promuovere l’assunzione, nei ranghi ministeriali, di almeno 3500 lavoratori entro il 2020, a partire dagli idonei al concorso dei 500 funzionari MiBACT, al fine di ottenere la copertura totale del turnover; ridefinire i fabbisogni professionali, nel rispetto delle competenze scientifiche e dei ruoli di ciascuna professione, riqualificando i servizi ed elevando gli standard di tutela, mortificati dalle ultime riforme organizzative.
• Ampliare le previsioni occupazionali specifiche degli Enti Locali e delle Istituzioni Culturali pubbliche, permettendogli, dopo anni di compressione forzata delle spese, di assumere secondo le esigenze.
• Promulgare una legge che regolamenti il volontariato culturale, mettendo fine al lavoro gratuito mascherato da volontariato.
• Abrogare l’articolo 24 legge 160/2016 sul declassamento delle fondazioni lirico-sinfoniche ed estinguere il debito pregresso delle fondazioni causato dalle inadeguate erogazioni.
• Riformare la Legge 4/1993 (Legge Ronchey) e rivedere il sistema delle esternalizzazioni, per tutelare il Patrimonio pubblico e il lavoro; ristatalizzare ove necessario, come nel caso delle fondazioni lirico-sinfoniche o dei servizi essenziali di Musei, Biblioteche e Archivi.
Servono leggi, servono risorse. Ma non solo per i professionisti dei beni culturali, non solo per i professionisti dello spettacolo, non per gli operatori museali, non per le Soprintendenze né per i Teatri: servono per il Paese.
Ed è il momento che la politica si decida a far funzionare il settore culturale. Siamo stati zitti all’angolo, chiusi nella nostra frustrazione e divisione per troppo tempo».

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