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«L’Italia dopo la pandemia? Togliere ai petrolieri per dare alla Sanità Pubblica»

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Togliere ai petrolieri per investire nella Sanità Pubblica, cancellare le Grandi Opere, garantire il risanamento ambientale, ripubblicizzare la gestione dei servizi essenziali, rilanciare l’occupazione e accelerare la transizione energetica: sono le richieste-proposte al centro di una lettera aperta al Governo sottoscritta da diverse associazioni, comitati e Movimenti, tra cui il Coordinamento nazionale No Triv, la Campagna Stop TTip, il Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua, i No Tav, Fairwatch e Terra Nuova.
«L’Italia dopo la pandemia? Togliere ai petrolieri per dare alla Sanità Pubblica»
Togliere ai petrolieri per investire nella Sanità Pubblica, cancellare le Grandi Opere, garantire il risanamento ambientale, ripubblicizzare la gestione dei servizi essenziali, rilanciare l’occupazione e accelerare la transizione energetica: sono le richieste-proposte al centro di una lettera aperta al Governo sottoscritta da diverse associazioni, comitati e Movimenti, tra cui il Coordinamento nazionale No Triv, la Campagna Stop TTip, il Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua, i No Tav, Fairwatch e Terra Nuova.
Ecco alcuni stralci salienti della lettera-appello.
«Questo è il tempo del coraggio e del cambiamento. Non possiamo, attoniti, restare a guardare, dobbiamo rimanere lucidi e solidali per non essere sopraffatti da una quotidianità dettata dal contingente, per saper combattere i rischi dell’emergenzialismo. I dati che scandiscono drammaticamente le nostre giornate riflettono al contempo fluidità, paura, ricerca, lotta e speranza».
Il Covid «ha lasciato a casa milioni di lavoratrici e lavoratori regolari, precari e in nero; partite Iva, ecc; ha fermato gran parte delle attività produttive; ha messo in ginocchio milioni di famiglie, per lo più già provate da una lunga crisi; ha resa più fragile un’Italia che già prima del suo diffondersi non godeva certo di buona salute».
L’emergenza Coronavirus, una pandemia mondiale, sta mettendo a durissima prova il Sistema Sanitario Nazionale, sfiancato dalla miopia dei vari Governi e indebolito dall’ingordigia di comitati d’affari che, soprattutto in alcune Regioni, l’hanno spremuto come un limone, per avvantaggiare la sanità privata».
«Oggi si corre all’allestimento di nuovi reparti di terapia intensiva, chiusi negli ultimi anni proprio a causa di quei tagli. Con quali conseguenze? Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2017 i ventilatori polmonari presenti nelle strutture di ricovero pubbliche erano appena 16.511; nelle case di cura private accreditate, 1.783, per un totale di 18.294 VPO ed una media nazionale di 1 VPO ogni 3.306 residenti».
«Non sorprende trovare la Lombardia, culla della privatizzazione del Servizio Sanitario, tra le Regioni con un numero di residenti per singolo ventilatore polmonare superiore alla media nazionale (…) Se il numero di ventilatori polmonari disponibili è insufficiente anche in situazioni normali, lo dobbiamo ai Governi ed ai Presidenti di Regione che hanno sposato ed imposto tagli indiscriminati e lineari alla Sanità Pubblica. (…) Altra emergenza nell’emergenza è la mancanza di presìdi adeguati, di semplici ma essenziali dispositivi di protezione, come le mascherine, di cui è sprovvista la quasi totalità di coloro che lavorano a stretto contatto col virus nelle corsie e nei reparti ospedalieri, nei servizi alla collettività, nelle imprese, nel volontariato. Come se non bastasse, nei piccoli paesi delle aree interne è cronica la mancanza di medici di base ed incombe la prospettiva della mancata sostituzione di 40.000 dottori dopo il loro pensionamento».
«L’Italia migliore sta lottando per difendere la vita di tutti noi, senza strumenti adeguati per difendere la propria! Tutto questo, mentre molti tra gli stessi medici ed infermieri arrivano a sacrificare la vita, può dirsi essere degno di un Paese civile? No di certo. L’emergenza Covid-19 è uguale ad ogni altro tipo di emergenza: non colpisce tutti allo stesso modo. Il Coronavirus passerà, in Italia e nel mondo, ma non prima di aver lasciato nell’indigenza milioni di lavoratori e di giovani in cerca di occupazione, rendendo i ricchi ancora più ricchi, minando alla radice ciò che resta del ceto medio, rendendo ancora più precarie le condizioni di chi vive sotto il ricatto del lavoro sottopagato, impoverendo ancor di più chi povero già lo era».
«Le risorse messe finora a disposizione dal Governo a sostegno della Sanità e del lavoro sono oggettivamente inadeguate rispetto alla gravità della crisi, sia per il loro carattere emergenziale e transitorio, sia per la mancanza di un necessario approccio strutturale strategico. Occorre fare molto di più, chiamando alle proprie responsabilità anche chi è concausa del problema sanitario in Italia, in primis le compagnie del gas e del petrolio. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Italia detiene il macabro primato di 81.000 decessi prematuri, dovuti ogni anno alle conseguenze dell’inquinamento atmosferico provocato da auto, industrie, riscaldamento. Il fattore inquinamento, da solo, determina sul piano economico perdite pari al 5,6% del Prodotto Interno Lordo».
«Mentre il Patto di Stabilità che vincola i bilanci è stato temporaneamente sospeso, non è casuale che proprio in questa delicatissima fase la Lagarde abbia fatto quelle sconcertanti dichiarazioni.
L’obiettivo reale è infatti garantire una dinamica che avvantaggi l’egemonia economica tedesca in Europa. (…) Intanto, mentre i vari governi succedutisi in Italia tra il 2009 ed il 2018 sottraevano 37 miliardi di Euro al Sistema Sanitario Nazionale e le Regioni smantellavano i reparti di terapia intensiva, le attività fossili prosperavano, mietendo morti e distribuendo malattie in siti come Falconara, Brindisi, Taranto, Gela, Milazzo, Priolo, Porto Torres, nelle aree hub del gas della Lombardia, a Porto Marghera, così come a Viggiano, in Basilicata, dove Eni estrae l’80% degli idrocarburi su scala nazionale nella seconda piattaforma on shore più grande d’Europa».
«In quei siti le attività petrolifere causavano (dati accertati previa VIS) un aumento dell’11% del tasso di mortalità per patologie derivanti dall’ambiente e dal lavoro tra uomini e donne (in tutto 632 morti) ed un incremento del 14% delle malattie del sistema circolatorio rispetto al resto della Regione Basilicata. La mancanza di una sistematica attività di Valutazione di Impatto Sanitario estesa a tutte le aree di estrazione, raffinazione, stoccaggio, smaltimento, di gas e petrolio, non consente di avere a tutt’oggi una mappa scientificamente e statisticamente puntuale della gravità dei rischi, del tasso di mortalità delle malformazioni neo e perinatali, nonché delle affezioni croniche respiratorie e circolatorie, caratterizzata da forme persistenti di pandemia silenziosa. Alla colpevole assenza o mancanza di aggiornamento e validazione del registro tumori suppliscono pochi volenterosi medici di base. Peggio, come ad Augusta, a Pisticci Scalo, come nella Terra dei Fuochi, sono i parroci a celebrare a scadenze regolari la conta aggiornata delle vittime».
«Chi finanzia i costi che il Sistema Sanitario Nazionale deve sostenere a causa dell’aumento delle malattie dovute alla filiera dell’estrazione, trasformazione, distribuzione delle fonti fossili e suoi
derivati? Qual è il prezzo che le vittime “invisibili” di questo olocausto pagano insieme a noi tutti? Chi invece sarebbe tenuto a farsene carico e non lo fa? Chi con il gas e il petrolio si arricchisce. I petrolieri hanno precise responsabilità a livello globale: per il clima, per la salute, per l’ambiente, per i conflitti locali e per le guerre. Di conseguenza, anche per la pandemia presente e per quelle che dobbiamo aspettarci in futuro a causa dello sconvolgimento degli habitat naturali, dei cicli ecosistemici e delle catene ecologiche. Pandemie che le stesse guerre fomentate e perpetrate per difendere i loro – dei petrolieri – interessi di sfruttamento (citiamo solo la Libia per tutte le numerose altre, perché coinvolge più direttamente l’Italia e l’ENI) rischiano di condurre a livelli catastrofici di sterminio».
«Citiamo in proposito le parole dell’illustre infettivologo Aldo Morrone, direttore del San Gallicano: “Se ci fosse una vera volontà di contrasto dell’epidemia bisognerebbe partire da un immediato stop alle guerre, da un immediato riconoscimento del diritto alla mobilità dei migranti e dei rifugiati, in sicurezza. Non è una fissazione pacifista, ma una necessità scientifica”.
Secondo un recente studio condotto della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), in collaborazione con le Università di Bari e di Bologna, l’inquinamento è concausa del contagio di Covid-19: le polveri sottili trasportano il virus e ne favoriscono la diffusione. Anche questa ipotesi spiega il dilagare dei contagi nella Pianura Padana, che, di fatti, è l‘area più inquinata d’Europa.
I petrolieri sono parte essenziale del problema dell’emergenza sanitaria del nostro Paese. In base al principio giuridico “chi inquina paga”, è necessario che lo Stato metta mano senza indugi al loro tesoretto, fatto di privilegi, sgravi ed agevolazioni varie, per sostenere la Sanità Pubblica, per fare le necessarie bonifiche, per rendere più verde il nostro sistema economico e sociale».
«Fare questo non vuol dire accontentarsi di sporadiche briciole di donazioni una tantum di Eni, Snam, Italgas ed altri, che sanno molto di propaganda e di auto segnalazione mediatica.
Nel frattempo le grandi banche private continuano ad investire in fonti fossili, nonostante le energie rinnovabili costituiscano il futuro per il pianeta e per l’economia globale. In primis JP Morgan, in cima alla lista delle 35 “banche più sporche” al mondo, che contribuisce all’industria fossile con un investimento di 268 miliardi di dollari solo negli ultimi quattro anni».
«Il rapporto Banking on Climate Change 2020 fa rilevare che le più grandi banche mondiali hanno investito 2,7 mila miliardi di dollari in settori come petrolio, gas e carbone dal 2015 in poi. Se, grazie all’Accordo di Parigi, gli investimenti fossili sono generalmente diminuiti, nel corso del 2019 gli stessi sono aumentati di circa il 40%. Abbiamo la conferma che le banche sono i principali soggetti trainanti della crisi climatica, pur sapendo che sono le energie rinnovabili ad avere il potenziale necessario per fornire migliore stabilità economica rispetto ai combustibili fossili in tempi di crisi. Secondo un recente studio dell’Institute for Sustainable Development (IISD), a livello mondiale vengono erogati annualmente più di 370 miliardi di dollari di sussidi per carbone, petrolio e gas, contro i soli 100 miliardi di dollari riservati alle energie rinnovabili. Destinare solo circa il 30% di questo spropositato flusso di denaro pubblico a sostegno dell’efficientamento e delle energie rinnovabili vorrebbe dire ridurre di molto le emissioni di carbonio, tra le principali cause del riscaldamento climatico in atto, e rendere più credibile una transizione energetica globale, generando centinaia di migliaia di posti di lavoro».
«A maggio scorso lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha attaccato i sussidi, affermando che: “Quello che stiamo facendo è usare il denaro dei contribuenti – che significa il nostro denaro – per aumentare gli uragani, per diffondere la siccità, per sciogliere i ghiacciai, per sbiancare i coralli. In tre parole: distruggere il mondo”. (…) Inoltre, secondo quanto prospettato da un precedente studio dell’IISD, che prendeva in considerazione 20 Paesi che erogano grandi quote di sussidi ai fossili, uno scambio del 30% di questi con finanziamenti diretti alle energie rinnovabili ridurrebbe le emissioni dell’11% o del 18%, mentre secondo le stime del FMI la cancellazione totale dei sussidi favorirebbe la riduzione delle emissioni globali di circa un quarto, dimezzando il numero di morti precoci per inquinamento atmosferico da combustibili fossili».
«Da dove cominciare, dunque? Innanzitutto si deve partire dall’evidenziare come le responsabilità di questa crisi vadano individuate in quelle politiche e in quelle logiche che da decenni hanno subordinato i diritti sociali fondamentali agli interessi economici e di profitto, oltre che ai vincoli di bilancio. Ci teniamo pertanto a ribadire con forza che tali diritti, compreso il diritto all’accesso all’acqua, nonsono comprimibili o sacrificabili sull’altare del mercato e che diviene quantomeno urgente ripensare i servizi pubblici in modo che siano efficaci strumenti capaci di garantirli appieno».
«Appare irrinunciabile una radicale revisione della prima bozza del “Decreto Clima”, datata Settembre 2019, che prevedeva, tra l’altro, la progressiva riduzione di tutti i sussidi ambientalmente dannosi almeno del 10% annuo a partire dal 2020 sino al loro progressivo annullamento entro il 2040. Le risorse così recuperate dallo Stato potrebbero essere destinate ad investimenti per il rilancio della Sanità Pubblica, al finanziamento di interventi in materia ambientale, dando priorità alla revisione dei Sussidi Ambientalmente Favorevoli, alla diffusione ed innovazione delle tecnologie e dei prodotti a basso contenuto di carbonio, al finanziamento di modelli di produzione e consumo sostenibili. Ne gioverebbe anche il lavoro. Secondo stime elaborate nello studio “Rilanciare l’economia e l’occupazione in Italia”, a cura della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, una spesa per investimenti nel periodo 2020-2025 quantificabile in circa 190 miliardi di Euro (con costi di esercizio e manutenzione pari a 34,7 Mld €), attiverebbe la produzione per un valore superiore a 682 miliardi di Euro ed un concomitante valore aggiunto pari a 242 Mld €. Ciò significherebbe attivare in media ogni anno 114 Mld € di produzione, in gran parte nazionale, 40 Mld € di valore aggiunto e quasi 800.000 unità lavorative al 2025».
«Ora non sono più ammessi tentennamenti o ripensamenti: occorre decidere ed agire con senso di responsabilità e determinazione. Il primo appuntamento utile è l’approvazione del nuovo “Collegato Ambientale”, la cui pubblicazione viene data per imminente. Il Ministro dell’Ambiente ha già dichiarato che si sta lavorando per convertire i Sad (i Sussidi ambientalmente dannosi) in Saf (Sussidi ambientalmente favorevoli). Sarebbe intollerabile che, di fronte alla più grave crisi sanitaria di sempre, anche questa volta finisse tutto in una bolla di sapone, in ossequio ai ben noti potentati! Nello specifico del servizio idrico, in virtù del suo ruolo strategico, è inoltre necessaria una radicale inversione di tendenza rispetto al modello di gestione privatistico, che si può realizzare unicamente con la ripubblicizzazione della sua gestione ed un nuovo sistema di finanziamento, basato sulla leva tariffaria, sulla finanza pubblica e sulla fiscalità generale».
«E’ evidente come i cambiamenti climatici rappresentino una crisi ambientale collettiva e globale che minaccia il godimento di molti diritti umani fondamentali, compreso il diritto all’accesso all’acqua. L’emergenza idrica è una delle pesanti conseguenze del surriscaldamento globale; una delle soluzioni per mitigarne gli effetti è ripubblicizzare l’acqua, per cui deve essere approvata quanto prima la legge presentata dal Movimento per l’Acqua, che si pone l’obiettivo di promuovere una gestione pubblica, partecipativa ed ambientalmente ecocompatibile, con tariffe eque per tutti i cittadini, che garantisca gli investimenti fuori da qualsiasi logica di profitto ed i diritti dei lavoratori».
«A livello nazionale deve essere fermata altresì l’annunciata velleità del Governo di fare ricorso alle Grandi Opere come sostegno per fermare la prossima crisi economica, perché si tratta di una scelta profondamente sbagliata. Sbagliata perché non è in grado di rimediare allo shock economico e sociale che deriverà dalle decisioni adottate in questi giorni dall’Italia per fermare la Pandemia COVID-19; iniqua perchè destinata a finanziare le imprese di costruzione come richiesto da Confindustria. Sbagliata perché le Grandi Opere – come la Torino-Lione, il Tav Brennero, il Tunnel Tav di Firenze, ecc.-, incrementano il debito pubblico, sono senza ritorno economico, danneggiano l’ambiente e contribuiscono al Cambiamento Climatico».
«Anche a livello dell’Unione Europea, la Commissione ed il Parlamento Europeo non dovranno prevedere nel prossimo Bilancio 2021-2027 i fondi per le Grandi Opere: l’Unione Europea è già
largamente infrastrutturata. Il Governo e l’Unione Europea devono invece dirottare i fondi previsti per le Grandi Opere per dare risposte immediate ai problemi urgenti dei cittadini: da subito il contrasto alla pandemia COVID-19 e domani, come assoluta priorità, l’irrobustimento della Sanità Pubblica e la realizzazione di centinaia di piccole opere utili».
«E su lavoro e reddito? L’attuale fase pandemica ha riaperto – semmai si fossero chiuse – le profonde cicatrici lasciate dalla crisi economica del 2008, facendo riaffiorare la strutturale debolezza di una società che, costruita sulle leggi del capitale, ha anteposto per sua stessa natura il profitto di pochi al benessere dei molti, il valore di scambio al valore d’uso. Questa emergenza ha avuto il merito di far riemergere la questione della riproduzione – centrale nel dibattito femminista − e spesso dimenticata o descritta solo come antitesi del lavoro produttivo. Il lavoro produttivo dispiega la sua essenza all’esterno − fuori di casa, nelle città o in fabbrica – mentre quello riproduttivo si svolge all’interno, dentro le abitazioni, lontano dalle strade, come una sorta di ombra del lavoro produttivo. Ma oggi, rinchiusi in casa e negli ospedali, vediamo emergere con forza tutte le forme della riproduzione sociale, capaci, nello stato generalizzato di necessità, di imporsi, di stare alla pari ed essere vincente sulla produzione economica, perché senza cura di sé e degli altri, senza cura dell’ambiente e del territorio, nessuna produzione è possibile. È necessario quindi decostruire la narrazione unica del modello economico attuale, per costruire una nuova economia su basi sociali ed ecologiche; una nuova società della “cura collettiva”, capace di escludere dal proprio orizzonte l’economia dell’accumulazione e dei profitti individuali. Questo possiamo farlo ora, perché questa “nuova” crisi apre contraddizioni e possibilità il cui esito naturalmente non è per nulla scontato, ma sta a noi rovesciare il paradigma produttivista di fondo per evitare che non siano i soliti soggetti deboli a pagarne il prezzo più caro».
«Per fare questo deve essere chiaro un concetto: nessuno deve rimanere indietro e nessuno deve tornare indietro, perché non è la normalità del “prima” quella a cui guardare: va immediatamente ripensato il senso intrinseco del lavoro e, al contempo, va garantito da subito il diritto al reddito. Con tutta evidenza la “normalità” di cui parlano il Governo e pezzi delle maggiori organizzazioni sindacali è quella di chi scambia il lavoro per salari da fame in assenza di ammortizzatori sociali. E’ la “normalità” dei lavoratori occasionali, degli stagionali, delle tante “invisibili” che svolgono il lavoro di cura (e riproduzione appunto) all’interno delle nostre case, di chi lavora in nero, di chi è sottopagato e sfruttato in agricoltura. Si tratta in genere di quella “normalità” del ricatto, che spinge milioni di precari a lavorare per la semplice sopravvivenza, letteralmente giorno dopo giorno, barcamenandosi tra bollette, affitti e mutui».
«Non è questa la normalità che vogliamo e non sarà di certo la speranza di un’uscita imminente dall’incubo della quarantena a garantirci una giusta dignità sociale ed economica, perché – come
sappiamo bene − non si tratta di una crisi iniziata con il virus, ma di una crisi che viene da molto più lontano. La richiesta che qui avanziamo è che le risorse recuperabili grazie al taglio dei Sussidi Ambientalmente Dannosi vengano destinate per intero, a partire dal prossimo Documento di Economia e Finanza, a favore del rafforzamento strutturale della Sanità Pubblica (in particolare, i presìdi salvavita: unità di terapia intensiva e rianimazione), per progetti di risanamento ambientale, per realizzare centinaia di piccole opere utili, per la ripubblicizzazione della gestione dei servizi essenziali, per il “lavoro verde”, per accelerare la transizione energetica. Inoltre, per noi resta imprescindibile rivendicare a gran voce una misura reddituale immediata e universale, per tutti, a prescindere da genere, settore produttivo, tipo di contratto. Una forma di reddito universale non “lavorista”, svincolata dal lavoro. Passare dalle parole ai fatti: questo è il solo modo per rendere concretamente giustizia alle migliaia di vittime da Covid-19 e causate dai veleni prodotti ogni giorno dalla filiera dell’estrazione, trasformazione, distribuzione, delle fonti fossili e suoi derivati».

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