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Lotta alle fake news o stretta sulle informazioni scomode?

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Lo scorso aprile l’Unione Europea annunciava una stretta sulle cosiddette fake news, illustrando una serie di misure che ad alcuni opinionisti sono sembrate un tentativo di disfarsi delle “voci” scomode. Vediamo cos’è accaduto e sentiamo cosa ne pensa Andrea Strozzi, autore di Terra Nuova, bioeconomista, consulente e fondatore del blog Low Living High Thinking.
Nel gennaio 2018 si mette al lavoro a Bruxelles la task force europea che si era data l’obiettivo di contrastare le cosiddette fake news online. Tra i 39 esperti, anche quattro italiani del mainstream: la dirigente di Mediaset Gina Nieri, il vicedirettore del Corriere della Sera Federico Fubini, l’ex direttore del Tg1 Gianni Riotta e il docente di diritto all’università Bocconi Oreste Pollicino.
In marzo il gruppo ha prodotto un documento che nel titolo conteneva proprio l’ormai screditata espressione fake news che lo Shorenstein Center di Harvard chiedeva di eliminare dal dibattito accademico.
Ma cosa si intende esattamente per fake news? L’espressione è inadeguata a cogliere la complessità della fattispecie “disinformazione online”, poiché non tutta è completamente falsa, molta mischia vero e falso, e non tutta riguarda “notizie”, come spiega Fabio Chiusi. Inoltre, può essere un’arma con cui i potenti possono interferire nella circolazione di informazione o si può con le fake news attaccare o danneggiare media indipendenti.
E sempre Chiusi si chiede: siamo proprio sicuri che i media ritenuti affidabili (quelli mainstream) non spaccino disinformazione, pur se di natura diversa da quella di un blog o un sito che intende solo monetizzare l’analfabetismo scientifico?
In aprile l’Unione Europea ha poi annunciato la stretta, con «misure per i social network da Facebook a Twitter e aiuti ai media tradizionali per sostenere l’informazione di qualità, nonchè la nascita della prima piattaforma targata Ue per fact-checkers ‘certificati’»
Cosa scatterà esattamente? Una nuova forma di censura online o una vera e propria lotta alla disinformazione in tutte le sue forme?
Ne parliamo con Andrea Strozzi, autore di Terra Nuova ( “Vivere basso, pensare alto”, consulente in bioeconomia e fondatore del blog Low Living High Thinking.
La linea dura della UE sulle cosiddette fake news si può prestare a diverse interpretazioni. Cosa ne pensi?
Penso che, essendo esponenzialmente aumentati – grazie al web – i modi per esprimere liberamente e gratuitamente posizioni culturali “ostinate e contrarie” alla dittatura del pensiero unico, il Potere stia conseguentemente adottando le contromisure per non vedersi scippata la sua possibilità di omologare indisturbato l’opinione pubblica. Se ci pensiamo bene, il primo provvedimento che ogni totalitarismo ha adottato, in qualsiasi zona geografica e in qualsiasi epoca, è stato l’assoggettamento dei sistemi di comunicazione massivi. In questa fase storica, in cui i vecchi canali di comunicazione – sebbene agonizzanti – non sono ancora morti e i nuovi – ossia internet – ancora non raggiungono capillarmente le teste e le coscienze di tutte le fasce di popolazione (sia geografiche che anagrafiche), è in corso una lotta senza quartiere per il controllo dell’informazione. Curiosamente, è proprio in questa fase che diventa pressoché impossibile riconoscere – da una parte e dall’altra – i divulgatori di fake news. Da un lato c’è infatti chi non ha mai dovuto scontrarsi con alcuna opposizione intellettuale e ha quindi sempre approfittato – per ignoranza o malafede – di questa condizione di privilegio: si pensi alla pretestuosa favoletta delle armi chimiche possedute da Saddam Hussein per legittimare nel 2003 la guerra contro l’Iraq. Dall’altro lato c’è invece il pressapochismo (o, anche in questo caso, la malafede) di chi abusa di un canale informativo libero e gratuito come il web, per veicolare ogni sciocchezza con lo scopo di manipolare il pensiero dei propri lettori. Il problema delle fake news innegabilmente esiste. Ma, lo si deve ricordare, esiste da entrambe le parti. Quindi, se si volesse essere intellettualmente onesti, i controlli e le limitazioni dovrebbero essere a 360 gradi: sulle pagine Facebook, così come negli studi di Porta a Porta. Ma sappiamo bene dove, almeno nel futuro prossimo, si concentreranno gli sforzi…
La stessa definizione di fake news ha confini tutt’altro che chiari, elastici, multiformi; il significato tende a cambiare a seconda dei casi. Può questo secondo te rappresentare un rischio per le garanzie dei diritti fondamentali di libertà di pensiero, di parola e di scelta?
Assolutamente sì. E questo è doppiamente pericoloso quando in ballo ci sono i diritti fondamentali della persona. Per fortuna, negli ultimi anni si è sviluppato un canale parallelo e alternativo a quello monodirezionale della tv. Fortunatamente il web è – almeno per ora – libero e incontrollabile. Esattamente come la televisione, il web non è alieno dall’accusa di veicolare notizie potenzialmente false. Anzi, Tuttavia il web, a differenza della televisione, ha una prerogativa fondamentale, che ha ben illustrato uno dei più lucidi e lungimiranti visionari dei nostri tempi, come Gianroberto Casaleggio: “Un messaggio in rete, se è falso, perde nel tempo la sua viralità.” In altri termini, internet è sì concepito per accogliere ogni notizia, ma è proprio la “democraticità liquida” del network che, esponendo ogni informazione al vaglio di chiunque, consente di trattenere, “coagulandole”, le sole notizie che il tribunale del passaparola riconoscerà come autentiche. Se pensiamo a internet come a un vecchio bar di paese (su vastissima scala), tutto risulta più facile: alla mattina, davanti al bancone del bar, può transitare qualsiasi pettegolezzo, ma poi le voci si diffondono tra i paesani, che si confrontano fra loro e, alla sera, saranno solo le voci che si sono rivelate fondate a diventare patrimonio permanente della cultura di quella comunità.
Cosa pensi dell’operazione che la UE sta mettendo in atto e della direzione che ha preso?
Penso che si tratti di una gravissima forma di limitazione alla libertà di espressione, anche detta censura. Se io ogni mattina volessi postare su Facebook che la Terra è piatta, non essendo questa affermazione un illecito, non vedo perché qualcuno dovrebbe preoccuparsi di impedirmelo. Sarà poi appunto la rete, come detto sopra, a selezionare se le mie affermazioni siano degne di ascolto oppure no.
La UE annuncia: “la Commissione sosterrà la creazione prima dell’estate di una rete europea indipendente di fact-checkers e a settembre di una piattaforma europea sulla disinformazione per aiutarli nel loro lavoro”. Chi selezionerà i fact checkers indipendenti? E indipendenza qui secondo te quali connotazione potrebbe assumere? Se non si definiscono i criteri assoluti per definire la disinformazione o le fake news, si potrebbero rischiare una generale censura e un pensiero unico imposto?
Certamente sì. Consiglio a tal proposito la lettura di “1984”, il capolavoro di Orwell. Il protagonista è esattamente quello che oggi la UE definirebbe un fact-checker, cioè una persona stipendiata dal “Ministero della Verità” per eliminare dai circuiti informativi tutte le notizie non organiche al pensiero unico. 1984 è stato scritto nel 1949, ma rivela con sconcertante precisione e dovizia di dettagli tutto quello che sta purtroppo avvenendo oggi. Nel mio mondo ideale, la sua lettura nelle scuole dovrebbe sostituire quella dei Promessi Sposi..
L’Ansa scrive: “L’esecutivo comunitario invita quindi gli stati membri a “prendere in considerazione schemi di aiuti” pubblici “orizzontali per rispondere ai fallimenti di mercato che danneggiano la sostenibilità del giornalismo di qualità” oltre a “misure di sostegno per attività specifiche come formazione giornalistica, innovazione di prodotti e servizi” di informazione”. Quindi si prospettano aiuti per sostenere con finanziamenti i media che perdono colpi ma ritenuti “di qualità”. Un paradosso? E se riceveranno denaro, potranno essere controllabili? Ossia, rischio di conflitto di interessi?
In un mondo dominato dal mercato e dal dio denaro, si scrive “giornalismo di qualità” ma si deve leggere “giornalismo funzionale a ricevere sponsor”. Come tutti sanno, il web sta drenando immani risorse economiche dal mondo dell’editoria tradizionale, che – dal suo punto di vista – non vuole ovviamente mollare l’osso. C’è sì un intento – come detto finora – di manipolazione della percezione pubblica, ma non dobbiamo nemmeno dimenticare i trend in picchiata delle tirature dei quotidiani e dell’informazione televisiva. Che, almeno nelle fasce più giovani della popolazione, fortunatamente non fa più breccia. Credo in altre parole che stiamo assistendo ai colpi di coda di un mostro agonizzante, quello dell’informazione griffata. Che cerca in tutti i modi di restare a galla promettendo al Potere di continuare a fargli da cane da guardia, in cambio di qualche favore. La vera domanda è: cosa avrà da guadagnarci Zuckerberg, in tutto ciò? Se infatti dovrà mettere la museruola alla sua creatura, assumendo (e pagando) decine di fact-checkers, quale sarà la sua ricompensa? Quanto costerà, in altri termini, comprarsi uno spazio pubblicitario di fianco all’editoriale delle “grandi penne” del giornalismo? No, in tutta onestà credo che questo tentativo di soppressione della libertà espressiva non sia destinato al successo: non si ferma il vento con le mani.
Se quella imboccata non ti sembra la strada giusta, come pensi possa essere gestita la questione delle oggettive falsità che circolano sul web, anche ai fini politici oltre che sociali? Non pensi che in assenza di una “politica” di gestione di questo fenomeno, le persone con meno strumenti, conoscenza e senso critico potrebbero restare “vittime” di manipolazioni o notizie fasulle?
No, perché tutte le persone, comprese quelle “con meno strumenti, conoscenza e senso critico” dovrebbero poter entrare ogni mattina in quel bar. E beneficiare alla sera della garanzia che, prima o poi nell’arco della giornata, in quel bar siano passati anche docenti universitari e ingegneri aerospaziali (se proprio vogliamo attribuire a queste categorie professionali una presunta superiorità morale e culturale). Di conseguenza, le notizie si sovrapporranno, si mescoleranno, si filtreranno reciprocamente fino a che, a resistere, saranno soltanto quelle che avranno resistito a un maggior numero di tentativi di falsificazione, quindi quelle con… maggiore fondamento.

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