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Quasi cinque mesi on the road con il libro “Genuino Clandestino”

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Cinque mesi in lungo e in largo per l’Italia a presentare il libro che ha fatto conoscere al grande pubblico il movimento e la rete di Genuino Clandestino, realtà rurali che hanno ben chiara una cosa: la terra è un bene comune. Sono gli autori di un libro che racconta un futuro che è già qui.
Il libro “Genuino clandestino” ha quattro autori:  Michela Potito, Roberta Borghesi, Sara Casna, Michele Lapini che hanno trascorso mesi girando l’Italia, invitati da associazioni, gruppi, movimenti per presentare il loro lavoro. Roberta Borghesi ci offre un resoconto di questo viaggio, ricco di emozioni e di scoperte, per chi ha ascoltato e per chi ha raccontato.
«Il sottotitolo provvisorio inziale era “Inchiesta itinerante sulle resistenze contadine”.Quello definitio è diventato “Viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere”.
Certo “ai tempi delle grandi opere” è un espressione impegnativa, come impegnativa è la lotta per difendere la terra e le persone, per creare sistemi eco-sociali altri, ma forse dà un senso un po’ mitico di cui abbiamo bisogno: nella lotta tra Davide e Golia c’è bisogno anche di aggrapparsi al mito, per resistere. Tuttavia questo sottotitolo ha avuto fortuna ed è risultato vicino alla realtà soprattutto per il “viaggio”.
Oltre che di un libro senza dubbio parliamo di un viaggio. Nostro, come autori, tra le agri-culture resistenti, nelle campagne, ma anche attraverso i movimenti urbani, attraverso quella cultura che passa per le pratiche, la politica del quotidiano, che sia vissuta in campagna o in città.
Agri-cultura non è solo retorica “contro” le grandi opere, ma messa in opera di forme concrete di resistenza, possibili oggi, qui e ora.
Il capitale ha le grandiopere, un sostantivo, che cristallizza la realtà in base alle esigenze dell’economia astratta, mentre chi abita i territori ha l’operare: un verbo, un movimento, un vissuto, di chi quotidianamente lavora la terra, cura gli animali, produce cibo e senso, costruisce reti e cultura sui territori.
Ma il libro rappresenta anche un viaggio collettivo, che ha portato e sta portando conoscenze, amicizie, idee e che, lentamente, sta contribuendo a incrementare la rete, a mettere in contatto realtà e soggetti che animano i territori da nord a sud (e viceversa). Infine un viaggio in cui – speriamo – possa accompagnarci anche chi legge il libro, chi cerca un contatto tra i nodi della rete, chi osserva le fotografie.
Siamo fortunati perché non siamo soli, non siamo stati soli. Spesso in questi mesi di presentazioni in giro per l’Italia siamo stati accompagnati e sostenuti dalle reti di Genuino Clandestino, esistenti o nascenti, dalle contadine e dai cittadini che hanno introdotto le serate, organizzato dibattiti e assemblee, dando a questo libro uno dei ruoli che immaginavamo e speravamo: porsi come strumento per diffondere e riprodurre le pratiche.
Nelle sue tre anime, di fotografie, racconto e saggio, non è uscito come un album/racconto/manuale statici, ma come insieme di spunti, narrativi, fotografici e informativi, da ridiscutere a livello locale, da meditare a titolo personale, da utilizzare ognuno sul proprio campo e nella proprie battaglie, forti dell’appartenenza a un percorso comune e della comune resistenza.
Inaspettatamente il libro ci ha portato anche fuori. Fuori dalle nostre reti locali, fuori dagli appuntamenti nazionali del movimento Genuino Clandestino e dalle amicizie e compagnie già consolidate. Purtroppo, a causa del calendario fissato in anticipo, soprattutto rispetto ai tempi lenti dei movimenti, non siamo potuti essere al compleanno di Mondeggi, all’incontro a Caicocci, alle assemblee delle reti locali… ma il viaggio per il libro ha coinciso con un viaggio personale fuori dai “nostri” territori, fuori dalla “comfort zone”, ha trovato coincidenze con nuove ricerche, progetti o cambiamenti di vita.
A parte i discorsi personali, la percezione è che la rete si stia allargando. Una rete che rimane aperta e inclusiva, senza gerarchie, che non si risolve in un’etichetta, seppure genuina clandestina, che non si pone l’obiettivo di caricarsi delle tante lotte, contadine o ecologiste, in corso sui territori, ma piuttosto che rappresenta un comune denominatore, ideale e pratico.
Una rete concreta, esperienziale, che passa attraverso cibo, vino e convivialità – diciamocelo – di un livello superiore. Una rete dalle maglie larghe e mobili, con le mancanze di tutti i movimenti, che però crollano quando le resistenze contadine diventano piacere, quando si toccano con le labbra, la lingua, la pancia e, perché no, quando qualche bollicina di alta qualità arriva al cervello. Lì si crea un’unità di intenti che sarà lenta, ma anche irreversibile.
Che non può ma neanche vuole competere con tavolini di finto legno, in stile pseudo rustico e confezioni simil contadine degli scaffali delle Eataly o Coop di turno.
Chi fa le cose veramente e dal basso avrà sempre una comunicazione insufficiente rispetto a chi dispone delle armi del capitale e del marketing, ma forse nessuno slogan può competere coi sapori veri, appunto, genuini. Fior Fiore o Vivi Verde non suonano parole vuote se a farti pagare il conto è la grande distribuzione?
Saremo lenti, ma inesorabili. Lo dicono le azdore* che fanno la spesa ai mercati bolognesi e non sanno niente di agroindustria, Expo, Ogm, globalizzazione. Anzi, forse ora, dopo tutti questi anni, cominciano anche a saperne qualcosa.
Dopo questi primi cinque mesi intensi di presentazioni attraverso lo stivale ci sentiamo senza dubbio di ringraziare quanti sono stati e sono con noi in questo viaggio, ma soprattutto siamo testimoni fortunati di una ricchezza di progetti, persone, attività che danno tutta un’altra visione della “crisi” che tanto ci preoccupa e limita. Non solo abbiamo raccontato esperienze positive nel libro – per altro appena dieci – ma tante più persone e soggetti e abbiamo incontrato in questi mesi di presentazione in giro per l’Italia, un Italia che appare tutt’altro che in crisi, anche se in contesti magari piccoli o nascosti.
Crisi vuol dire scelta e questo paese così complesso, per non dire complicato, appare pieno di persone e realtà che stanno facendo scelte precise. Scelte radicali e semplici, coraggiose e inevitabili, che danno l’impressione, a chi come noi ha avuto occasione di conoscerle un po’ più da vicino, che dalle crepe della civiltà del cemento, tra i capannoni dismessi o i borghi abbandonati, ci siano vene di terra fertile capaci di ritornare a donare bellezza, equilibri ecologici e sociali di lungo periodo. Lenti, inesorabili, resistenti, resilienti».
* L’azdora in bolognese è la “reggitrice”, della cucina, della famiglia, colei che si occupa della cucina con competenze potremmo dire professionali.

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