Ha avuto grande seguito sui social network l’annuncio della raccolta firme per due referendum che puntano a ridurre stipendi e diarie dei parlamentari. Ma queste iniziative, pur lodevoli, non seguono la tempistica della legge vigente.
Il tam tam sui social network ha dato grande visibilità a due iniziative distinte che puntavano a raccogliere firme per indire un referendum che tagliasse stipendi e diarie dei parlamentari. Mano a mano che la notizia si diffondeva, è andato però crescendo anche un coro di obiezioni, alcune strumentali, altre nel merito della legittimità e della correttezza formale di queste raccolte firme. Cerchiamo di capire meglio cosa è accaduto e perché queste raccolte firme, al momento attuale, potrebbero non sortire alcun risultato utile, malgrado l’obbiettivo lodevole. Innanzi tutto le iniziative referendarie sono due, una promossa dal
Comitato del Sole la cui aspirazione è di tagliare di circa 12mila euro i riconoscimenti economici ai parlamentari, l’altra promossa da
Unione Popolare che invece mira a eliminarne una parte più contenuta, la diaria a titolo di rimborso spese per il soggiorno a Roma. Il Comitato del Sole, peraltro, ha già annunciato la sospensione della raccolta firme (finora ne ha raccolte 250mila contro le 500mila che sarebbero necessarie). La legge che regola le procedure referendarie è
la numero 352 del 25 maggio 1970. All’articolo 31 la legge recita: “Non può essere depositata richiesta direferendumnell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime”. L’Italia si trova effettivamente nell’anno anteriore la scadenza delle due Camere poiché nel 2013, presumibilmente in primavera, sono previste le elezioni politiche. A questa obiezione però
il Comitato del Sole aveva replicato sostenendo che la proposizione del quesito era stata da loro depositata il 24 aprile 2012 mentre la scadenza delle Camere dell’attuale legislatura, stando alle loro stime, è prevista per il 28 aprile 2013, stando quindi entro i termini di legge. Ma è poi stato successivamente chiarito che per “richiesta di referendum” si deve intendere il deposito delle 500mila firme necessarie e non la semplice proposizione del quesito. Peraltro per definire esattamente la scadenza delle Camere occorrerebbe chiarire se si tratta, nell’interpretazione corretta, di scadenza teorica o di effettivo scioglimento, che avviene per decreto del presidente della Repubblica. Sempre il Comitato del Sole ha poi citato,
in un’altra nota, alcuni decreti che hanno derogato alla legge referendaria (
DL n. 41 del 19 gennaio 1994 e il
DL n. 97 del 6 aprile 1993) e il
decreto legge di modifica del 1995, ma nessuno di questi ha mai toccato in alcun modo la parte riguardante la tempistica, che quindi resta immutata e che quindi vanifica l’attuale raccolta di firme. Il Comitato del Sole ha anche spiegato che, avendo finora raccolto solo la metà delle firme necessarie, la loro intenzione è quella di ricominciare in ottobre con l’aspirazione di depositare le firme l’anno prossimo, ma evidentemente il problema della tempistica sussiste immutato. Peraltro le firme raccolte fino ad ora non potrebbero essere ritenute valide poiché sempre la legge 352/1970 all’articolo 28 recita: “Salvo il disposto dell’articolo 31, il deposito presso la cancelleria della Corte di cassazione di tutti i fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali dei sottoscrittori deve essere effettuato entro tre mesi dalla data del timbro apposto sui fogli medesimi”. Quindi quando risulterà possibile depositare la richiesta di referendum le firme raccolte finora saranno “scadute”.
Lasciando comunque da parte la querelle, a tratti anche aggressiva e rancorosa, che si è instaurata tra i promotori dei referendum e alcuni altri movimenti, tra cui anche i 5 Stelle, si può concludere che se questa volta il tentativo ha mostrato i suoi limiti per errori di valutazione o di procedura, è comunque bene che la mobilitazione prosegua per arginare privilegi di casta che, soprattutto in una situazione come quella che vive l’Italia oggi, non trovano giustificazione alcuna e spesso sono dei veri e propri schiaffi al buon senso e al senso della misura.