Dopo l’avvio della raccolta di firme per il referendum che chiede l’abrogazione delle norme relative al Green Pass, si sono levate molte voci critiche, alle quali il comitato promotore ha replicato con una nota e una intervista pubblicata da ByoBlu. Vi proponiamo le motivazioni degli uni e degli altri.
Innanti tutto,
E qui di seguito vi proponiamo la nota di replica alle critiche diffusa dal comitato promotore costituito dall’avvocato Olga Milanese e dai professori Luca Marini e Francesco Benozzo.
«Ci giungono da più parti notizie circa le perplessità e le critiche espresse da alcuni in ordine all’opportunità, all’efficacia e alla “matrice” politica dell’iniziativa referendaria da noi intrapresa.
Premettiamo, per sgombrare subito il campo da questo argomento, che si tratta di un referendum voluto, organizzato e promosso da comuni cittadini per i cittadini, al di fuori di qualsiasi matrice politica. I promotori si sono mossi a livello individuale e si sono incontrati strada facendo, pubblicando libri, organizzando o partecipando a interventi pubblici, rivolgendo manifesti e appelli alle più alte cariche dello Stato: e subendo sulla pelle, da più di un anno e mezzo, le conseguenze delle loro reazioni a questa grottesca deriva antidemocratica. Del resto, che l’iniziativa referendaria non goda dell’appoggio di alcun partito politico lo dimostra proprio la “trasversalità” dei rilievi mossi ai promotori.
Passando alle critiche in ordine all’opportunità dell’iniziativa referendaria, è appena il caso di ricordare che quella più diffusa, secondo cui “il Green Pass è illegittimo e basta, e fare un referendum vuol dire solo legittimarlo”, sembra ignorare o dimenticare che l’illegittimità di un provvedimento può essere accertata e dichiarata soltanto in sede giurisdizionale, e non – per quanto ciò possa a taluni dispiacere – sui social media. Per tacere del fatto che il referendum è in generale uno strumento di democrazia partecipativa, di interlocuzione diretta e formale tra cittadini e istituzioni, e che questo referendum in particolare è volto ad abrogare – e non a legittimare – la normativa sul Green Pass.
Un’altra diffusa critica è quella secondo cui “se fallisce il referendum, il Green Pass diventerà obbligatorio per 5 anni o definitivo”. A parte il malaugurio, questa critica offre in realtà lo spunto per ricordare – a quei pochi che davvero non lo sanno – che il Green Pass è già obbligatorio, perché introdotto in forza di provvedimenti normativi adottati dal Governo, perfettamente vigenti, alcuni dei quali convertiti in legge da parte del Parlamento.
Sulla durata temporale del Green Pass è, del resto, difficile pronunciarsi: vuoi perché i cittadini – compresi i promotori del referendum – non hanno la sfera di cristallo per prevedere le mosse del Governo, come l’ultimo anno e mezzo ha ampiamente dimostrato; vuoi perché il Green Pass è stato istituito con legge e atti aventi forza di legge e non con un DPCM e, pertanto, non solo non decadrà con la cessazione dello stato di emergenza, ma sarà sempre possibile estenderne la validità ai prossimi 5 o 10 o 20 anni, fino a renderlo definitivo per tutti. Che è proprio ciò che il referendum vuole evitare, andando a colpire gli atti istitutivi della misura.
In questo senso, anche l’ulteriore critica secondo cui “lo stato di emergenza termina il 31 dicembre e poi niente più Green Pass”, perde ogni utilità.
E veniamo all’efficacia del referendum. Che quest’ultimo si concretizzerà in uno sforzo molto oneroso, quasi una sfida titanica, lo sappiamo bene, ma crediamo in tutta onestà che questa sfida vada intrapresa senza esitazioni e con ogni mezzo lecito. E quindi vorremmo spiegarvi la prospettiva corretta in cui, a nostro avviso, inquadrare l’iniziativa referendaria sul Green Pass.
In primo luogo, va appena ricordato che, di fronte ad un atto legislativo o avente forza di legge – quale il Decreto Legge istitutivo del Green Pass – l’ordinamento italiano mette a disposizione dei suoi cittadini una serie di rimedi tra cui, appunto, i referendum abrogativi. Questa proposta di referendum, in particolare, non costituisce un punto di arrivo, ma una delle diverse iniziative che i promotori stanno promuovendo per combattere il nuovo totalitarismo, e si inserisce in un quadro organico di azioni, di cui è utile esaminare la tempistica.
Se riusciremo a raccogliere le firme necessarie per andare alle urne, ciò non avverrebbe comunque prima dell’aprile 2022. Può sembrare un’attesa lunga, in cui ciascuno di noi sarà chiamato a resistere e ad agire nei modi più lucidi e consapevoli; ma nel frattempo il Comitato organizzativo avrà studiato altre azioni, quali i ricorsi in sede giudiziaria, anche internazionale, oltre a quelle iniziative di dialogo “politico” che normalmente dovrebbero intercorrere tra i cittadini e i loro rappresentanti.
Se uno di questi tentativi andrà in porto, il problema potrebbe dirsi, ottimisticamente, risolto “alla radice”. Se, invece, tutti questi tentativi dovessero fallire, il referendum abrogativo dell’aprile 2022 costituirà davvero l’ultima chance per chi, come noi, intende opporsi ad un odioso strumento di discriminazione personale e sociale.
Per allora, gli italiani avranno vissuto un nuovo anno di torture, avranno testato il fallimento del Green Pass come strumento di limitazione dei contagi e non ne potranno più di portare al collo un cappio che si stringe e si allarga a piacimento di un Governo privo di qualsivoglia legittimazione popolare: fatti, questi, che potrebbero far crescere il fronte del no al Green Pass e determinare un’ampia partecipazione popolare al voto referendario.
Se anche il referendum fallirà, le avremo davvero tentate tutte e non avremo perso niente; ma se il referendum avrà successo, sarà perché abbiamo piantato oggi i semi di quel successo.
La vera sfida è riuscire a raccogliere in un lasso di tempo molto breve le firme necessarie: i numeri ci sono, ce lo confermano i gruppi con cui siamo in contatto, le piazze che continuano a riempirsi, gli studenti che iniziano ad alzare la testa, le offerte di collaborazione dei tanti che vogliono aiutarci, ciascuno nella propria città. Certo, i tempi sono stretti, ma occorre comunque tentare.
E, a questo riguardo, valga un’ultima osservazione, che intende rispondere anche ad altre critiche. Perché proporre il referendum ora e non dopo, tenuto anche conto dei possibili, ulteriori provvedimenti che il Governo potrebbe adottare (come, ad esempio, quelli sull’obbligo vaccinale)? Semplice. Perché dopo non sarà possibile: a causa delle scadenze incrociate derivanti dalla normativa referendaria e dalla scadenza della legislatura, infatti, non sarà più possibile presentare proposte referendarie fino alla metà del 2024.
Pertanto, a chi parla di rischi connessi all’iniziativa referendaria rispondiamo semplicemente che l’unico modo per non correre rischi è sedersi a braccia incrociate e adeguarsi alle disposizioni governative, proprio mentre le si giudica illegittime e proprio quando è il momento di lanciare un segnale chiaro e forte al Governo e allo Stato.
E che i cittadini avallano questo odioso strumento di discriminazione proprio nel momento in cui si servono del Green Pass: non quando lo contestano.
Ecco perché ci stiamo provando, qui e ora; ecco perché ci serve anche l’aiuto di quanti contestano il Green Pass”.
Olga Milanese, Luca Marini, Francesco Benozzo».