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Salvati dal macello centinaia di cani

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L’associazione Human Society combatte nel Paese il costume di crescere cani per venderne la carne: 2,5 milioni di vittime l’anno. Chiusi i primi 5 allevamenti. Un gestore «pentito» racconta la sua storia: «Rendeva tropo poco». I cuccioli salvati già adottati negli Usa e in Canada.
«Ho iniziato ad allevare cani destinati ad essere macellati per finire sulle tavole dei ristoranti più o meno cinque o sei anni fa. Ora ho deciso di smettere e di fare altro per vivere». Inyoung Gong è uno dei cinque contadini della Corea del Sud che ha accettato l’invito offerto dalla HSI, l’associazione animalista Human Society International, e si è impegnato a «riconvertire» il suo allevamento in un’altra attività. Niente più gabbie piene di cani ululanti giorno e notte, niente più guaiti nel tragitto verso il macello dove i cani venivano uccisi per essere venduti nei mercati. Sì, perché in Corea del Sud i cani sono un cibo molto consumato: si ritiene (erroneamente) che la loro carne abbia la capacità di raffreddare il sangue, perciò durante la rovente estate asiatica se ne consuma di più. Ma anche nel resto dell’anno per i cani questo è un Paese da incubo (nella foto Human Society, uno dei cani salvati e diretti alle famiglie adottive negli Usa).
Dieci euro al chilo per Fido
Destinati alle tavole dei ristoranti o di quei sudcoreani ancora convinti che quella carne faccia bene, migliaia di cani vanno al macello. O andavano. Il cinquantacinquenne Gong è di poche parole. «Ho smesso perché i soldi bastavano solo a sopravvivere. La carne di cane si vende a circa 7 mila, 8 mila won coreani ogni 600 grammi (tra gli 10 e gli 11 euro al chilo). Poi ho sentito parlare dell’HSI: aiutavano i contadini a smantellare le gabbie degli allevamenti, a scegliere una nuova attività, a trovare i mezzi per iniziarla. E così mi sono deciso». La campagna anti macelli di Human Society (nella foto dell’associazione, sopra al titolo, lo sgombero dei cani dall’allevamento di Gong) arriva ai primi successi parallelamente all’azione di altre associazioni. La World Dog Alliance si batte, soprattutto in Cina, contro l’utilizzo alimentare della carne di cane e l’8 giugno alla Camera ha presentato — grazie alla sua portavoce in Italia, l’ex ministro Michela Brambilla — una mozione parlamentare per invitare il nostro governo, insieme ai partner europei e all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, a far leva sui governi dell’Estremo Oriente al fine di vietare il consumo e il commercio della carne di cane. Animal Equality ha diffuso tre anni fa le immagini choc degli allevamenti di cani cinesi e anche nei giorni scorsi si è scagliata contro il festival cinese di Yulin: «Un incubo, non un festival, dove in una giornata vengono macellati, cotti e mangiati oltre 10mila cani».
In volo verso la libertà
Paesi come le Filippine e Taiwan hanno approvato leggi che ne vietano il consumo. Il divieto è in vigore anche ad Hong Kong, mentre è rimasto a livello di proposta (del 2010) in Cina. Sul commercio di carne di cane, a Seoul — dove si celebrano a breve «i giorni del cane», quelli più caldi, durante i quali più si consuma la carne di questi animali — i sudcoreani hanno posizioni ambivalenti. «Secondo le stime del governo in questi allevamenti ogni anno si producono circa 2 milioni e mezzo di cani – spiega Wendy Higgins di HSI – un’attività che rimane in un limbo, tra il legale e l’illegale. I giovani cominciano a disprezzarla e la vivono con vergogna. Gli anziani difendono le vecchie tradizioni e fanno fatica a staccarsene». Gong ha collaborato attivamente allo smantellamento del suo allevamento. Quando gli operatori dell’HSI sono arrivati, alcune settimane fa, ha dato una mano a trasportare i cani dalle gabbie dove erano rinchiusi giorno e notte, ai camion che li avrebbero trasportati fino ai voli predisposti per raggiungere gli Stati Uniti o il Canada, dove gli animali scampati alla morte sarebbero stati adottati grazie al network di HSI.
«Andranno a stare in posti più belli»
Gong non mostra nessuna particolare emozione, però. «Voleva bene a questi cani? Gli era affezionato? Lo sa che mangiare carne di cane può portare malattie?» «Non lo sapevo. Non avevo mai sentito nulla in proposito — si limita a dire — so che andranno a stare in posti belli. Io sto cercando una nuova attività. Ma non ho ancora deciso quale. Per ora cerco di capire quali sono le possibilità che ho». Gong però non è l’unico ad aver deciso di smettere.
«Pensano che quelli d’allevamento siano diversi»
«È il quinto allevatore che riusciamo a convincere — spiega ancora Wendy — per noi è un grandissimo risultato anche se siamo consapevoli di essere solo all’inizio di un lungo e complicato processo che ha come obiettivo una nuova consapevolezza rispetto a questo commercio. Ma i sudcoreani sono tradizionalisti. Sono soprattutto i giovani, i figli, che li spingono a smettere. La maggior parte di loro non è mai entrata in un allevamento. Pensano che i cani d’allevamento siano diversi da quelli da compagnia che hanno nelle loro case. Quando scoprono che non è così rimangono scioccati».
Migliaia di «fattorie» per un commercio orribile
Le «fattorie per cani» sono migliaia in tutto il Paese e gli esemplari salvati con queste operazioni degli animalisti sono solo qualche decina. Forse qualche centinaia. «Stiamo lavorando ad un programma che ci permetterà di raggiungere molti altri allevatori — aggiunge — e vogliamo lanciare una campagna di sensibilizzazione a livello nazionale. Anche perché viene molto apprezzato l’aiuto che forniamo a quegli allevatori che vogliono trasformare in altro la loro vecchia attività. Molti di loro conoscono il nostro lavoro e quando li raggiungiamo hanno già maturato la loro decisione, ma non hanno le capacità per farlo, perché non sanno fare altro. Noi, grazie anche al fatto che abbiamo in squadra anche operatori sudcoreani, riusciamo a fornirgli quel sostegno di cui hanno bisogno».
L’aiuto della tivù sudcoreana
La loro ultima chiusura di un allevamento è stata trasmessa in tivù, «ed è stata molto apprezzata». Per i cani, inconsapevoli del loro sfiorato destino di morte, si apre una nuova vita al di là dell’Oceano. «In Sud Corea l’adozione di queste creature sfuggite al macello non è ancora una pratica diffusa, anzi c’è molta diffidenza. Ma soprattutto negli Stati Uniti e in Canada, dove abbiamo una rete di rifugi molto ampia, siamo riusciti a trovare famiglie felici di adottarli. Facilitati anche della leggi di questi Paesi a riguardo».
Adozioni difficili e rieducazione
Le adozioni sono più difficili in altri Stati, come il Regno Unito. «In Italia ancora nessuno ha mai adottato uno dei nostri cani salvati. L’importante è che per loro, prima di arrivare nella casa di chi li ha scelti, ci sia una rieducazione: la possibilità di adattarsi ad una vita che non hanno mai conosciuto, a partire da quelle piccole banali attività che i nostri cani conoscono bene. Passeggiare sull’erba, ad esempio». Un lusso che i cani sudcoreani non hanno mai potuto provare.

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