Le aziende del farmaco in Italia sono ai primi posti per produttività, export e innovazione. E Farmindustria esulta. Ma siamo sicuri che questo sia un parametro di cui gioire? Se le aziende che producono e vendono farmaci sono quelle che in Italia vanno meglio e fanno più soldi, allora gli italiani sono malati e dipendenti dai farmaci.
Difficile trovarci qualcosa di cui andar fieri e per cui stare allegri. Ma è anche comprensibile la gioia di Farmindustria nell’annunciare i dati: per le aziende associate sono soldi a palate. E all’assemblea di Farmindustria ha partecipato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Ma siamo sicuri che i farmaci vogliano dire salute? Perché è così che ci hanno indotto a pensare. Non è invece più plausibile e logico pensare che più farmaci significhino più malattie, nuove, vecchie e iatrogene? E un ministro “della salute” perché partecipa all’assemblea esultante dell’industria “del farmaco”?
Secondo i dati della Banca d’Italia, inoltre, dal 2001 al 2013 la farmaceutica ha aumentato la produttività: +55% rispetto al +1% della media nazionale. L’Istat, rileva Farmindustria, «mostra poi come anche nel 2014 il settore farmaceutico stia dando un forte contributo alla tenuta industriale, con una crescita manifatturiera del 2,6%, ossia oltre 3 volte superiore alla media, pari allo 0,8%». Ed i numeri dell’industria farmaceutica chiariscono il suo peso: 174 fabbriche; 62.300 addetti; 28 miliardi di produzione (71% destinato all’export); 2,3 miliardi di investimenti (1,2 in R&S e 1,1 in produzione).
POI UN DATO CHE CONGELA: Le imprese del farmaco finanziano oltre il 90% della ricerca svolta. DOV’E’ QUINDI LA RICERCA INDIPENDENTE, SLEGATA DAI CONFLITTI DI INTERESSE? Bisogna cercarla con il proverbiale lanternino in quel 10%.
Altri dati: i farmaci e i vaccini biotech (prodotti con l’ingegneria genetica quindi la manipolazione del DNA) in sviluppo nel mondo sono 907. In Italia sono attualmente in sviluppo 403 molecole. A fronte di tali cifre,
sottolinea Farmindustria, la spesa pubblica per medicinali in Italia è «più bassa che nella media dei grandi Paesi Ue del 27%», ma «l’Italia detiene il record Ue di vincoli nazionali e regionali per l’accesso ai nuovi farmaci con implicazioni sui tempi, più lunghi rispetto ai big Ue». Cos’ha voluto dire Farmindustria? Che l’Italia mette troppi lacci e lacciuoli, dovrebbe allargare le maglie e accelerare i tempi. Dovremmo però sapere con che conseguenze per la sicurezza.