Bob Filner, membro del congresso e profondo conoscitore di questo mondo non poteva essere più chiaro: “E’ un’epidemia che non è mai stata affrontata pienamente, dobbiamo fare di più di quello che stiamo facendo”.
In media, ogni giorno e mezzo nel mondo muore un soldato a stelle e strisce, mentre sul territorio americano si conta ormai un suicido ogni 80 minuti, per un totale annuo di oltre 6.500 vittime.
Perché?
La causa scatenante più comune per i suicidi e i crimini commessi dai veterani è il disturbo post-traumatico da stress (PTSD), molto spesso accompagnato da traumi cerebrali.
Tale affezione psichica si manifesta a seguito di forti sofferenze psicologiche o a causa di eventi traumatici e, se non adeguatamente curata, può provocare comportamenti violenti e paranoici.
Le stime dello stress post-traumatico e dei traumi al cervello variano ampiamente, ma una cifra approssimativa indica che almeno uno su cinque dei reduci dall’Afghanistan e dall’Iraq soffre di tali patologie.
E uno studio specialistico rivela che il rischio di problemi di tipo mentale aumenta di addirittura quattro volte per i soldati che sono alla loro terza o quarta missione in zone di conflitto.
E’ questo il problema?
No, non è solo una questione di suicidi.
Bisogna infatti considerare la difficoltà nel ricostruire i rapporti sociali una volta di ritorno dalla guerra, dove le interazioni umane sono dominate dallo spirito cameratesco e da regole ben definite.
I veterani diventano degli emarginati per molte ragioni: la crisi economica, la disoccupazione, l’assenza di sostegno familiare e sociale, le conseguenze a lungo termine del trauma e delle ferite di guerra, l’alcolismo e altre dipendenze.
Tra i veterani arruolati dopo l’11 settembre, la disoccupazione è il 50% per cento superiore al tasso nazionale.
E nei prossimi anni, precisamente tra il 2012 e il 2016, gli Stati Uniti si ritroveranno con un altro milione di persone che, dismesse le divise, cercheranno una collocazione lavorativa.
Di certo, il problema del reinserimento dei veterani nella società è una questione che si protrae da diversi decenni e, a partire dalla guerra del Vietnam fino ad arrivare all’Afghanistan e all’Iraq, Washington ha sempre mostrato notevoli carenze nella capacità di assistenza sociale e sostegno economico nei confronti dei suoi ex-combattenti.
Un sostanziale cambiamento di tendenza è avvenuto negli ultimi anni, in particolar modo tra il 2007 e il 2011, quando il comitato della Camera per gli affari dei veterani a guida democratica ha eseguito più di 200 udienze e approvato oltre 135 decreti a favore dei reduci e delle loro famiglie.
Tra i successi, una legge del Congresso che ha permesso un incremento del 60% nel budget per le cure mediche dei veterani e per il loro recupero psicofisico, ed un progetto governativo che mira ad inserirli nuovamente nel mondo del lavoro.
Tuttavia qualche settimana fa, durante un audizione al Congresso, le Organizzazioni dei veterani hanno espresso forti preoccupazioni riguardo l’incapacità del Department of Veterans Affairs di elaborare efficaci politiche in grado di soddisfare sia la qualità che la quantità del sussidio alla luce della crisi economica statunitense.
In particolar modo, le associazioni si lamentavano della eccessiva lentezza con cui vengono assegnati le sovvenzioni, denunciando un periodo superiore ai 135 giorni per concludere la pratica.
Negli Stati Uniti, secondo una stima del 2011, i veterani hanno già raggiunto quota 22 milioni, di cui 12 e 800 mila tra i 18 e i 64 anni.
Secondo il regolamento, l’ammontare del sussidio mensile erogato va dai 127 dollari per gli handicap più lievi fino ai 2.769 per le menomazioni più gravi, e comporta tutta una serie di esenzioni, comprese le cure mediche.
Nonostante il budget del dipartimento per gli Affari dei Veterani ammonti a 132 miliardi di dollari (suddivisi in 62 di fondi discrezionali e 70 in spese obbligatorie), un tale volume di denaro non sembra ancora essere sufficiente per i molteplici problemi da affrontare.
Uno studio della Brown University effettuato nel 2011 ha dimostrato come il costo delle cure sanitarie per i veterani della ‘Guerra al Terrore’ raggiungerà il picco tra 30-40 anni, quantificando la spesa totale tra i 600 e i 1000 miliardi dollari all’anno.
Ed è proprio questo dato a spingere l’amministrazione statunitense a cercare di correre ai ripari, creando crediti fiscali e programmi di educazione ed insegnamento per l’integrazione degli ex soldati nell’ambiente lavorativo.
Le aziende che impiegheranno un veterano potranno contare su un fondo di 5600 dollari, che aumenterà a 9600 in caso di ex combattenti che hanno riportato menomazioni durante il servizio militare.
Fonte: OsservatorioIraq