Serve a prevenire e contrastare malattie autoimmuni e cronico-degenerative, ma protegge anche dall’obesità, dai disturbi del sistema nervoso, rafforza il sistema immunitario e ha una funzione antitumorale. È la vitamina D, un vero toccasana per la nostra salute, di cui però la popolazione italiana e mondiale risulta sempre più carente, sia per la ridotta esposizione al sole, dovuta a una vita sempre più al chiuso e sedentaria, che per il non sufficiente apporto per via alimentare. Ci sono poi individui che presentano una resistenza geneticamente trasmessa all’utilizzo biologico di questa vitamina. La sua carenza è talmente frequente da essere considerata un’epidemia silenziosa. La maggior parte dei medici non richiede un dosaggio ematico di tale sostanza, se non episodicamente e spesso solo in relazione a patologie scheletriche.
Si stima che oltre un terzo della popolazione mondiale abbia bassi livelli di vitamina D, mentre in Italia si arriverebbe addirittura all’80%, stando ai dati forniti dalla Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro (Siomms). Eppure, come spiega il dottor
Paolo Giordo, autore di
Vitamina D, regina del sistema immunitario (Terra Nuova Edizioni), «un giusto apporto garantirebbe la prevenzione di molte malattie, anche gravi». Inoltre, «va preso atto del fatto che, in caso di malattie conclamate, la vitamina D ad alte dosi ha effetti terapeutici evidenti e assai significativi».
La quantità giusta
Né carenza né eccesso, ciò a cui si punta è la giusta quantità di vitamina D. Ma qual è? La dose giornaliera raccomandata, nota come Rda, è stata individuata sulla base di livelli stabiliti nel 1997 per consentire la prevenzione del rachitismo e altre malattie scheletriche. «È ancora in vigore e prevede 400-600 UI giornaliere, cioè unità internazionali» prosegue Giordo. «I ricercatori dell’università della California a San Diego e della Creighton University del Nebraska hanno però contestato questi valori, affermando che la Rda è sottostimata di almeno 10 unità di grandezza. Basti pensare che dall’esposizione al sole la nostra pelle può sintetizzare fino a un massimo di 15-20.000 UI al giorno, eppure non si ha mai un sovradosaggio, in quanto il nostro corpo distrugge l’eccedenza. Ciò serve a capire quanto siano distanti le 400 UI raccomandate rispetto alle 15.000 naturalmente prodotte. L’attuale Rda può scongiurare il rachitismo ma non le molteplici alterazioni del sistema immunitario alle quali siamo esposti nella nostra vita moderna. Il dottor Bruce W. Hollis, professore di pediatria, biochimica e biologia molecolare alla Medical University of South Carolina di Charleston, ha dimostrato che, somministrando a donne in gravidanza 4.000 UI di vitamina D al giorno, cioè circa 10 volte la dose raccomandata, non si verificano effetti collaterali di alcun tipo. Anche un’istituzione molto conservatrice e prudentissima come l’Institute of Medicine americano parla di 10.000 UI al giorno come limite sicuro di assunzione per la vitamina D».
Le malattie da carenza
Oltre ai classici problemi di rachitismo e osteomalacia, la carenza di vitamina D è stata messa in relazione anche con l’obesità, le patologie metaboliche come il diabete o la sindrome metabolica, le malattie infettive ricorrenti, i dolori muscolo-scheletrici cronici, la sindrome da fatica cronica, le malattie autoimmuni (sclerosi multipla, rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn, psoriasi, artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, vitiligine e altre), le malattie degenerative come il cancro, il deterioramento cognitivo senile e l’Alzheimer, le malattie cardiovascolari e l’asma bronchiale.
La presunta tossicità
Spesso si sente dire che la vitamina D ad alte dosi è tossica. È vero? « La
vitamina D è in realtà un ormone e come tutti gli ormoni deve essere usata con prudenza, specie nelle persone sane» aggiunge il dottor Giordo. «Comunque il problema della presunta tossicità normalmente non esiste per quantitativi sino a 10.000 UI, che rappresentano l’assunzione fisiologica, cioè il quantitativo di vitamina D che il nostro corpo produce in media quotidianamente per un’esposizione solare completa di 20-30 minuti. Altre dosi devono essere monitorate da un medico esperto per evitare qualunque effetto collaterale. Normalmente non vengono somministrate dosi elevate se non in presenza di quelle patologie autoimmuni legate alla carenza di tale vitamina.
Le dosi elevate possono causare una certa tossicità alle persone che metabolizzano normalmente la vitamina D, ma non a coloro che presentano resistenza all’azione di questa sostanza. Questo ci porta a considerare la differenza tra l’uso preventivo e quello terapeutico. Quest’ultimo deve essere monitorato da un medico che abbia esperienza specifica e possa determinare la dose corretta, i suoi effetti biologici e la modulazione della terapia in base ai vari parametri ematochimici».
L’uso terapeutico
La
vitamina D ad alte dosi ha un effetto terapeutico anche molto potente. Il protocollo più noto al mondo in materia è quello ideato dal neurologo brasiliano Cicero Galli Coimbra, presso il quale si è perfezionato il dottor
Paolo Giordo. Giordo è oggi uno dei pochi medici in Italia ad applicarlo e ci spiega di cosa si tratta e quali patologie è possibile affrontare.
«Molte persone, specialmente quelle affette da patologie autoimmuni, presentano una resistenza genetica all’utilizzo della vitamina D; in questi casi si deve forzare questa resistenza aumentando le dosi. Il protocollo terapeutico, ideato e utilizzato dal professor Coimbra, consiste nell’uso di dosi elevate di vitamina D per riportare in equilibrio il sistema immunitario e bloccare l’evoluzione delle patologie autoimmuni come la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, la malattia di Sjogren, il lupus eritematoso sistemico, la rettocolite ulcerosa, il morbo di Crohn, la psoriasi, la vitiligine e molte altre patologie che rispondono al meccanismo dell’autoimmunità, cioè dell’autoaggressione da parte di cellule del nostro sistema immunitario nei confronti di altre cellule scambiate per “nemiche”. Oltre alle patologie autoimmuni, la vitamina D si è rivelata utile ed efficace in altre patologie degenerative come il Parkinson, l’Alzheimer, la sclerosi laterale amiotrofica o in malattie legate al sistema immunitario come la fibromialgia e la sindrome da stanchezza cronica».
Il dottor Paolo Giordo
Laureato in medicina e chirurgia all’Università Cattolica di Roma, il dottor Paolo Giordo è specializzato in neurologia e in biotipologia e metodologia omeopatica presso la Scuola superiore di medicina olistica dell’Uuniversità di Urbino; è diplomato in fitoterapia all’università della Tuscia di Viterbo e ha conseguito vari titoli di perfezionamento in discipline olistiche e nutrizione. Si è perfezionato in terapia chelante presso la Sitec (Società italiana di terapia chelante) e nel metodo Gerson al Gerson Institute di San Diego (USA) con tirocinio presso la clinica Gerson di Tijuana in Messico. Si è specializzato nell’utilizzo del metodo con alte dosi di vitamina D studiando con il professor Cicero Galli Coimbra a Sao Paolo, in Brasile. Promuove la conoscenza delle terapie non convenzionali attraverso libri, conferenze, partecipazioni televisive, riviste, eccetera. È già autore per Terra Nuova di diversi libri su alimentazione e salute.
Cos’è la vitamina D
Per
vitamina D si intende un gruppo di pro-ormoni liposolubili(che si sciolgono nei grassi) costituito da cinque diversi composti che portano le sigle D1, D2, D3, D4 e D5.
Le forme più importanti sono la D2, o ergocalciferolo, di provenienza vegetale e la D3, o colecalciferolo, sintetizzata negli organismi animali e derivata dal colesterolo. L’unità di misura della vitamina D è espressa in unità internazionali (UI). La vitamina D ottenuta con l’esposizione solare o, in minima parte, attraverso la dieta è presente in una forma biologicamente non attiva e deve subire due reazioni di idrossilazione prima di essere trasformata nella sua forma attiva, il calcitriolo. Le quantità di vitamina D2 e D3 prodotte dipendono dalle radiazioni ultraviolette, dalla durata dell’esposizione solare, dalla superficie cutanea esposta, dal suo spessore e dalla pigmentazione. Nei mesi estivi la sovraproduzione di vitamina D ne consente un modico accumulo che può servire per il periodo invernale, anche se per poco tempo. A scopo terapeutico o di prevenzione e trattamento delle carenze, esistono gli integratori che contengono alte dosi di questa vitamina.
La carenza di vitamina D in Italia e nel mondo
Mentre in Italia si stima una carenza di vitamina D addirittura nell’80 della popolazione (dati Siomms), le informazioni messe a disposizione dal
British Medical Journal e aggiornate al gennaio 2017 fanno il punto sulla situazione a livello internazionale, basandosi su numerosi studi scientifici pubblicati in periodi diversi. Tra questi, alcuni sono stati condotti da Michael Holick, grande esperto dell’argomento, secondo cui quella da vitamina D è la carenza più diffusa al mondo, sia nei bambini che negli adulti. In Europa e negli Stati Uniti interessa oltre il 40% degli ultracinquantenni. Sono stati riscontrati bassi livelli ematici nel 48% delle preadolescenti bianche, nel 52% degli adolescenti ispanici e neri americani di entrambi i sessi, nel 32% dei giovani adulti sani. In Tibet e Mongolia, il 60% dei bambini soffre di rachitismo a causa della carenza di questa vitamina. Nel Medio Oriente viene riferita un’alta incidenza di rachitismo e osteomalacia in donne e bambini musulmani, probabilmente a causa dall’eccessiva copertura di abiti.