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«Decreto vaccini: ecco i punti di incostituzionalità»

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Riguardo al decreto (in attesa di conversione in legge e soggetto ancora a modifiche) che introduce 12 vaccini obbligatori, il gruppo Giuristi per l’Azione Popolare ha redatto un documento che sottolinea i punti che, secondo gli avvocati di questo movimento, si connotano per incostituzionalità.
Il gruppo Giuristi per l’Azione Popolare è costituito dagli avvocati Stefano Stefàno (coordinatore gruppo di lavoro), Giovanni Crosta, Fausto Gianelli, Michela Manera, Damiano Marinelli e Francesco Scifo e ha redatto un documento che sottolinea i punti di incostituzionalità del decreto legge del 7 giugno scorso.
Vi proponiamo il documento integrale del gruppo di giuristi (lo trovate scaricabile in pdf in fondo all’articolo):
«Il gruppo Giuristi per l’Azione Popolare, sulla base del comunicato stampa n. 30 del Consiglio dei Ministri, che annunciava il Decreto Legge “Lorenzin”, aveva individuato alcuni possibili profili di incostituzionalità. Dopo la pubblicazione del D.L. in Gazzetta Ufficiale il nostro studio del Decreto Legge parte proprio da uno di quei profili che è rimasto invariato, per poi affrontare gli altri quattro.
1) La disparità di trattamento tra scuole dell’infanzia e scuola dell’obbligo
La disparità di trattamento tra scuole dell’infanzia e scuola dell’obbligo a fronte della identica fattispecie della mancata presentazione della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni (art. 3, 3°co. D.L.); in violazione del principio di ragionevolezza della legge ed in relazione all’ articolo 3, 1°co., della Costituzione. Il provvedimento pubblicato distingue la disciplina della vaccinazione obbligatoria (art. 1) da quella dell’iscrizione scolastica (art. 3). A differenza di quanto “annunciato”, da una parte ci sono le sanzioni pecuniarie per la mancata osservanza dell’obbligo (a prescindere dall’iscrizione scolastica), dall’altra le conseguenze scolastiche di tale inadempimento; superando così la disparità tra asilo e scuola dell’obbligo, circa l’applicabilità della sanzione pecuniaria, che ora colpisce entrambe le fattispecie. Tuttavia, il D.L. mantiene, rispetto a quanto “annunciato”, la rilevata disparità ditrattamento tra servizi educativi per l’infanzia e scuole dell’infanzia (da una parte) e gli altri gradi d’istruzione (dall’altra), sul versante della presentazione di idonea documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie imposte dall’art. 1; elevandola a requisito di accesso, ma solo nel primo caso (art. 3, 3°co.). Al contrario, la mancata presentazione comporterà la sanzione della non iscrizione del bimbo/a ai servizi educativi per l’infanzia e scuole dell’infanzia, mentre – in linea col pur abrogato art. 47, 2°co., D.P.R. n. 1518/1967 – non comporterà il rifiuto dell’ammissione per l’alunno/a degli “altri gradi d’istruzione” scolastica (ovvero, della scuola c.d. dell’obbligo). L’articolo 3, 3°co., del D.L. diventa così il cuore del provvedimento (poichè la sanzione pecuniaria amministrativa, pur se con importi sensibilmente inferiori, è già vigente nel nostro ordinamento per tali fattispecie) venendo a costituire la leva su cui agire ed il deterrente per forzare l’ottemperanza all’obbligo della triplicazione delle vaccinazioni. Qui occorre appuntare maggiormente l’attenzione, allora, per verificare se detta forzatura non travalichi i limiti della legittimità costituzionale.
Ora, se:
– dallo stesso fatto della mancata presentazione della documentazione, discendono differenti trattamenti tra “servizi educativi per l’infanzia e scuole dell’infanzia” e “gli altri gradi d’istruzione”, per lo stesso diritto fondamentale (come l’aggettivo “altri”, preceduto dall’articolo determinativo, tradisce);
– continua a ravvisarsi la violazione dell’art. 3, 1°comma, della Nostra Costituzione. Anche in considerazione delle conclamate, esigenze di “straordinaria necessità ed urgenza”, che (qualora sussistenti, ancorchè non meglio precisate) sarebbero in contraddizione manifesta con la summenzionata disparità di trattamento prevista dall’art. 3, 3°co., del D.L.
Come se il caso straordinario si fermasse al termine della scuola materna, per poi rientrare nei ranghi dell’ordinarietà con l’esordio in prima elementare. E si consideri che, tale disparità, trattandosi di bambini/e che crescono, potrebbe paradossalmente riguardare la stessa persona, in fasi differenti della sua vita. L’evidente incongruità di tale disposizione, rispetto al fine che il Governo dichiara di perseguire, induce a ritenere violato anche il principio di ragionevolezza della legge, così come elaborato nel corso degli anni dalla Corte Costituzionale.
2) La compressione della libertà di scelta
La compressione della libertà di scelta in ordine a un trattamento sanitario tramite la triplicazione delle vaccinazioni obbligatorie (art. 1, 1°co. D.L.); in violazione ancora del principio di ragionevolezza, imposto dall’articolo 3 della Costituzione ed in raccordo con la violazione dell’articolo 32, 2°comma, Costituzione, per cui “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La seconda violazione dell’art. 3 Costituzione emerge dalla lettura del Decreto Legge n. 73/2017 ed in particolare dell’art. 1, 1°comma, laddove vengono prescritti i 12 vaccini (dalla lettera “a” alla lettera “n”) in raccordo con la violazione dell’art. 32, comma secondo, secondo periodo, nel quale si legge che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La predetta moltiplicazione del numero di vaccini obbligatori deve condurre a rimettere in discussione la nuova disciplina sotto il profilo dei criteri di “proporzionalità e ragionevolezza” fino ad oggi invero ritenuti sussistenti dal giudice delle leggi; il quale, tuttavia, si è finora espresso su un sistema di vaccini obbligatori di gran lunga più contenuto rispetto a quello introdotto dal D.L. in esame. Affinché un provvedimento normativo possa considerarsi conforme al criterio della ragionevolezza questo deve esser “coerente” e quindi idoneo al raggiungimento del fine che la legge si propone di raggiungere; in secondo luogo, specialmente ove si discuta di questione afferente alla tutela di interessi supremi e costituzionalmente garantiti, quale il diritto alla salute individuale e collettiva, il provvedimento deve esser “necessario”, nel senso che rispetto ad esso non esistono misure alternative ugualmente efficaci e al contempo meno rischiose; infine, il provvedimento deve essere coerente al criterio della proporzionalità quindi “adeguato”, ossia capace di conseguire, dal punto di vista dell’ordinamento giuridico, un corretto bilanciamento tra i contrapposti interessi rilevanti.
La Convenzione di Oviedo (“Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’esser umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina”) e la relativa legge di ratifica n. 145/2001, afferma principi che rilevano nella fattispecie. Infatti, il capitolo 2° della Convenzione di Oviedo, con l’articolo 5, pone quale regola generale che ogni intervento nel campo della salute abbia quale suo necessario presupposto il “libero ed informato consenso della persona interessata”, che deve fondarsi “innanzitutto su un’informazione adeguata sullo scopo, sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi”. Sulla questione dei vaccini, fino ad oggi, viceversa, nel nostro paese si è operato sulla assiomatica convinzione dell’assenza o quasi di rischi e su una informazione preventiva del tutto inadeguata. Il principio summenzionato inoltre risulta ulteriormente rafforzato dalla previsione del successivo articolo 28, ove è espressamente previsto che ciascuno Stato firmatario si impegna a che “siano oggetto di dibattito pubblico appropriato alla luce, in particolare, delle implicazioni mediche, sociali, economiche, etiche e giuridiche pertinenti, e che le loro possibili applicazioni siano oggetto di consultazioni appropriate”.
In conclusione, finché si trattava di quattro vaccinazioni obbligatorie ritenute necessarie dalla Comunità scientifica, si poteva anche invocare il principio di “solidarietà sociale” di cui all’art. 2 Costituzione, ma ora che si tratta di 12 vaccinazioni, i cui effetti dannosi sono stati fatti presenti da illustri scienziati di tutto il mondo, vengono in prima evidenza i “limiti”che la legge deve rispettare, e non è dubbio che questi limiti sono stati superati proprio in virtù del “principio ermeneutico della ragionevolezza” imposto dall’art. 3 Costituzione. Dunque la legge che toglie la libertà di scelta in ordine a un trattamento sanitario, deve dichiararsi costituzionalmente illegittima per “mancato rispetto della persona umana” (violazione della libertà di scelta) e per “irragionevolezza”. Queste due censure, entrambe in relazione all’articolo 3 della Costituzione, e la seconda anche in raccordo con l’art. 32, 2°comma della Costituzione, costituiscono pertanto le fondamentali pregiudiziali di incostituzionalità del Decreto Legge n. 73/2017, in particolare dell’art. 1, 1°comma, nonchè dell’articolo 3, 3° comma, secondo l’autorevole parere del Prof. Paolo Maddalena, Vice Presidente emerito della Corte Costituzionale. Circa infine la valutazione della congruità della sanzione pecuniaria amministrativa, occorre invece rilevare che essa appartiene, per costante insegnamento della Corte Costituzionale (Ordinanza n. 264/2007; Sentenza n. 68/2012) alla discrezionalità del legislatore, con il solo limite della manifesta irragionevolezza, che può ravvisarsi a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (per cui, in difetto della indicazione di fattispecie omogenee che impongano sanzioni inferiori, su questo punto, gli unici rilievi potranno essere fatti nel merito politico).
3) L’assenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento provvisorio con forza di legge
L’assenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento provvisorio con forza di legge così come indicati dall’art. 77, 2°comma, della Costituzione; attesa la “straordinaria necessità ed urgenza” procrastinata per 19 giorni e poiché il Governo non indica quale sia lo stato di necessità che ne abbia legittimato l’adozione. Sono trascorsi 19 giorni da quando il Consiglio dei Ministri, il 19 maggio, ha approvato un Decreto legge contenente “misure urgenti in materia di prevenzione vaccinale” (stando alla lettura del comunicato stampa n. 30) sino al momento in cui lo stesso (?) D.L. è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 130 del 7 giugno. 19 giorni di gestazione sono davvero tanti per un provvedimento che, pur recando nella sua rubrica: “disposizioni urgenti”, nelle successive premesse, indica, nell’ordine:
– di aver “visto l’art. 77 della Costituzione”
– di ritenere “la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica e di assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale”;
– di aver visto ”la deliberazione del C.d.M. adottata nella riunione del 19.5.2017”.
Una contraddizione in termini, una cosa urgente, urge, si fa subito, come prescrive, per i decreti, appunto, l’art. 77, 2° comma, Costituzione, pur “visto” dal Governo. Se sussiste la “straordinaria necessità ed urgenza” ravvisata e si è lasciato trascorrere quasi 3 settimane, significa solo che o il pericolo non c’era; oppure se c’è, che la condotta del Governo è potenzialmente pericolosa per l’incolumità pubblica.  Ma il dubbio sulla sussistenza o meno del carattere dell’urgenza, che avrebbe costituzionalmente legittimato il D.L., viene fugato definitivamente da questa ulteriore premessa dello stesso provvedimento, che indica:
– di ritenere altresì “necessario garantire il rispetto degli obblighi assunti delle strategie concordate a livello europeo e internazionale e degli obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea”.
Ulteriore conferma del fatto che non sussiste alcuna situazione emergenziale cui far fronte con il decreto- legge in questione, visto che lo stesso piuttosto sembra dare attuazione ad “accordi” che sarebbero stati assunti dal nostro paese al “livello europeo ed internazionale”, quindi con ampio anticipo rispetto all’emanazione del decreto-legge stesso. Oltretutto non viene in alcun modo specificato a quali accordi europei o internazionali si faccia riferimento.
Di fatto non può non considerarsi che nel settembre 2014, a Washington (USA), il ministro della sanità Lorenzin, unitamente all’allora rappresentante dell’AIFA (agenzia italiana per il farmaco) partecipavano al Global Health Security Agenda (G.H.S.A.), nell’ambito del quale il nostro paese “riceveva l’incarico” di guidare nei prossimi cinque anni a livello mondiale le strategie e le campagne vaccinali (cfr. comunicato stampa n. 387 del 29.9.2014 AIFA).
In conclusione, l’art. 77, 2°comma, Costituzione facoltizza il Governo ad adottare, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, in casi straordinari di necessità ed urgenza. Il Governo non indica nelle premesse del suo decreto quale sia lo “stato di necessità” (cui va ricondotto il sistema del decreto-legge, secondo la relazione del Presidente della Commissione della Costituzione, On. Ruini, nelle sedute del 16 e 17 ottobre 1947), cui far fronte, rendendo peraltro impossibile anche il successivo sindacato sulla sussistenza effettiva dei caratteri di necessità ed urgenza.
Dal provvedimento del Governo pertanto non emerge alcuna indicazione circa l’effettiva sussistenza di una diffusione della/e malattia/e “quale fatto che, secondo il diritto vivente, giustifica l’ordine sanitario ai genitori di sottoporre i figli a vaccinazione” (cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 142/1983). Verrebbero pertanto a mancare i presupposti per l’adozione del provvedimento provvisorio con forza di legge, così come indicati dall’art. 77, 2°comma, Costituzione.
4) La mancata previsione, a carico dello Stato, di un’equa indennità
La mancata previsione, a carico dello Stato, di un’equa indennità per il caso di danno derivante da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducibile alle nuove vaccinazioni obbligatoria imposte, riportato dal bambino vaccinato o da altro soggetto a causa dell’assistenza personale diretta prestata al primo, in applicazione della sentenza n. 307/1990 della Corte Costituzionale; e la conseguente mancata previsione della copertura finanziaria, in relazione all’ articolo 81, 3°comma, della Costituzione. Il Decreto Legge in parola abroga una serie di disposizioni, tra cui l’art. 3, 2°co., della Legge n. 51/1966, riguardante l’obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica. Orbene, quella legge è stata oggetto del sindacato della Corte Costituzionale, che, con la Sentenza n. 307 del 1990, dichiarò “l’illegittimità costituzionale della legge 4 febbraio 1966, n. 51 nella parte in cui non prevede, a carico dello Stato, un’equa indennità per il caso di danno derivante, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 2043 c.c., da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducibile alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, riportato dal bambino vaccinato o da altro soggetto a causa dell’assistenza personale diretta prestata al primo “.
Questo è un passaggio della motivazione della sentenza (punto 2): “con riferimento, invece, all’ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri. Un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute – e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell’imposizione del trattamento sanitario – implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento”.
L’imposizione dell’obbligo del trattamento sanitario operata dal Decreto Legge sembra incorrere nello stesso vizio della precedente Legge sulla vaccinazione antipoliomielitica e lo espone pertanto ad analogo sindacato di legittimità costituzionale, in quanto non prevede un’indennità come quella suindicata. Nè potrebbe opporsi che, a seguito di tale sentenza della Corte, il legislatore fu costretto a riconoscere un indennizzo alle vittime proprio di queste conseguenze, con la legge n. 210/1992, art. 1, 1°comma (e successive integrazioni: legge n. 229/2005) e che, quindi, ora delle leggi esistano; se, all’interno del D.L. non vi è alcuna norma di coordinamento con Legge del 1992 (nè con quella del 2005). Coordinamento che invece sarebbe opportuno, anzi necessario, anche sotto l’ulteriore aspetto delle disposizioni finanziarie, di cui all’art. 7 del D.L., e delle conseguenti coperture (previste dall’art. 8 della L. n. 210/1992, nella misura di 10 miliardi di Lire annui; nonché dall’art. 5 della L. n. 229/2005, nella misura di 30 milioni di Euro annui), poichè è facile prevedere – anche se non augurare – che la triplicazione delle vaccinazioni obbligatorie comporterà l’inevitabile aumento del contenzioso in materia nei tribunali italiani, qualora questo provvedimento, dovesse divenire legge.
5) La negazione dell’accesso al sistema educativo di istruzione e di formazione
La negazione dell’accesso al sistema educativo di istruzione e di formazione, nella articolazione della scuola dell’infanzia, per il caso della mancata presentazione della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni (art. 3, 3°co. D.L.); in relazione all’art. 34, 1°comma della Costituzione (forse anche all’art. 2) ed al principio del bilanciamento dei diritti. L’articolo 2, 2°co., lett. d), della Legge n. 53/2003 definisce il sistema educativo di istruzione e di formazione articolandolo così: “nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione professionale”. La scuola dell’infanzia, di durata triennale, che realizza la continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria fa parte integrante del sistema scolastico nazionale. Tant’è che viene “assicurata la generalizzazione dell’offerta formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell’infanzia” (art. 2, 2°co., lett. e, legge citata).
Se così è, perlomeno per la scuola materna, è possibile ravvisare un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, in relazione all’art. 34, 1°co. (forse anche all’art. 2) laddove, l’art. 3, 3°co. del D.L. prevede che la presentazione della documentazione di cui al comma 1 costituisce requisito di accesso del bambino/a alle scuole dell’infanzia. Un chiaro caso in cui confliggono due ordini di diritti fondamentali: il diritto alla salute, da un lato, il diritto alla scuola, dall’altro.
Un po’ come per il “caso ILVA” in cui la Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 85/2013, ha affermato un importante principio: “la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale”.
Non sembra proprio che il Governo abbia seguito questo principio del bilanciamento dei diritti delineato dal giudice delle leggi.
In sintesi, dalla prima lettura del Decreto Legge n. 73/2017, è possibile ravvisare questi profili di incostituzionalità, secondo l’autorevole parere del Prof. Paolo Maddalena;
1) la disparità di trattamento tra scuole dell’infanzia e scuola dell’obbligo a fronte della identica fattispecie della mancata presentazione della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni (art. 3, 3°co. D.L.); in violazione del principio di ragionevolezza della legge ed in relazione all’ articolo 3, 1°comma, della Costituzione;
2) la compressione della libertà di scelta in ordine a un trattamento sanitario tramite la triplicazione (da 4 a 12) delle vaccinazioni obbligatorie (art. 1, 1°co. D.L.); in violazione del “principio ermeneutico della ragionevolezza” imposto dall’articolo 3 della Costituzione ed in raccordo con la violazione dell’articolo 32, 2°comma, 2° periodo, della Costituzione per “mancato rispetto della persona umana” (violazione della libertà di scelta). Viceversa, per questi ulteriori profili, sarà opportuno un supplemento di riflessione:
3) l’assenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento provvisorio con forza di legge, così come indicati dall’art. 77, 2°comma, della Costituzione; attesa la “straordinaria necessità ed urgenza” procrastinata per 19 giorni e poiché il Governo non indica quale sia lo stato di necessità che ne abbia legittimato l’adozione;
4) la mancata previsione, a carico dello Stato, di un’equa indennità per il caso di danno derivante da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente riconducibile alle nuove vaccinazioni obbligatoria imposte, riportato dal bambino vaccinato o da altro soggetto a causa dell’assistenza personale diretta prestata al primo, in applicazione della sentenza n. 307/1990 della Corte Costituzionale; e la conseguente mancata previsione della copertura finanziaria, in relazione all’ articolo 81, 3°comma, della Costituzione;
5) la negazione dell’accesso al sistema educativo di istruzione e di formazione, nella articolazione della scuola dell’infanzia, per il caso della mancata presentazione della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni (art. 3, 3°co. D.L.); in relazione all’art. 34, 1°comma della Costituzione (forse anche all’art. 2) ed al principio del bilanciamento dei diritti.

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