Heneghan e Jefferson sul Telegraph: «Non ci sono prove scientifiche a supporto della regola dei due metri»
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«E la regola dei due-metri di distanza sta impattando seriamente anche sulle scuole, sui pub, sui ristoranti e sulla possibilità per tutti noi di vivere il nostro quotidiano». I due studiosi si chiedono quali prove ci siano a dimostrazione del fatto che mantenere distanze di sorta possa fare la differenza nel contagio da Covid.
Una revisione della rivista Lancet, come spiegano i due ricercatori, ha esaminato evidenze da 172 studi a supporto del distanziamento sociale di un metro o più. «Questo suona senz’altro di una certa impressione, ma tutti gli studi erano retrospettivi e soffrivano di alcuni bias che minavano alla base l’affidabilità delle conclusioni» scrivono Heneghan e Jefferson, che spiegano anche come le potenziali storture aumentino quando «i partecipanti non ricordano con precisione gli eventi pregressi e quando gli studi considerano momenti ormai passati» per ricostruire ex post i movimenti o le abitudini delle persone.
«Cosa ancora più preoccupante è che solo cinque studi su 172 riguardano nello specifico l’esposizione al Covid e la vicinanza a persone con l’infezione – proseguono gli studiosi – Tali studi hanno riguardato solo 477 pazienti con appena 26 casi di infezione. Solo in uno studio era riportata una misura specifica sulla distanza» e il risultato non mostrava effetti sul contagio.
In un altro studio su 121 operatori sanitari esposti a pazienti con Covid 19 non riconosciuto, tre operatori hanno presentato un test positivo, ma il fatto che non usassero protezioni nel contatto con i pazienti «rende impossibile individuare gli specifici effetti della distanza. Lo studio era stato progettato per verificare l’associazione tra qualità del sonno, stress e rischio di infezione, non la distanza».
Di altri 15 studi inclusi nella revisione, «in 13 abbiamo osservato numerose inconsistenze nei dati, errori numerici e metodi non solidi».
Heneghan e Jefferson ribadiscono anche che ancora non è stato determinato con certezza come il Covid si trasmette e «mancano ancora informazioni fondamentali»
Lancet afferma che «sono necessari solidi studi randomizzati per avere prove migliori sulla validità degli interventi [distanziamento sociale]».
Anche i Centers for Disease Control Prevention americano si sono espressi su questo, come fanno notare i due ricercatori, e in una revisione delle misure non farmacologiche in relazione all’influenza pandemica hanno concluso che la scelta del distanziamento si basa soprattutto su studi osservazionali, su evidenze di scarsa qualità e che occorrono studi controllati per chiarirne l’efficacia.
«Le prove dimostrano che il rischio di prendere l’infezione è più alto negli ambiti sanitari rispetto alla comunità sociale in generale ed è più alto all’interno che all’esterno – proseguono Heneghan e Jefferson – Ciò che le prove non riescono a dirci è se ci sia qualche distanza misurabile che riduca il rischio. La tendenza a sviluppare, interpretare e riportare informazioni che confermino le convinzioni iniziali ha distorto i metodi convenzionali usati per formulare linee guida e che dovrebbero basarsi sulle migliori prove disponibili».