L’epidemiologa e biostatistica Sara Gandini ha pubblicato sul blog che tiene sul sito de Il Fatto Quotidiano un intervento (co-firmato da Thomas Fazi, saggista, giornalista, traduttore e autore di documentari) dal titolo “Le alternative al lockdown esistevano, ma si è optato per la strada peggiore” che offre interessanti informazioni e spunti di riflessione.
L’epidemiologa e biostatistica Sara Gandini ha pubblicato sul blog che tiene sul sito de Il Fatto Quotidiano un intervento (co-firmato da Thomas Fazi, saggista, giornalista, traduttore e autore di documentari) dal titolo “Le alternative al lockdown esistevano, ma si è optato per la strada peggiore” che offre interessanti informazioni e spunti di riflessione.
Scrivono Gandini e Fazi: «Il fatto che in Italia si torni a parlare come se nulla fosse di lockdown – o meglio, che le autorità si possano permettere di farlo senza ritrovarsi la gente in piazza coi forconi un attimo dopo – è la dimostrazione dell’assoluta mancanza di consapevolezza, a livello di percezione generale, di quanto siano stati fallimentari i lockdown passati. E non ci riferiamo alle loro devastanti conseguenze in termini economici, sociali o psicologici – ormai stranote –, ma al fatto che i lockdown degli ultimi due anni hanno clamorosamente fallito anche in base all’unico criterio che esiste per giustificarli: quello di “salvare vite”, ridurre la mortalità da Covid ed evitare la saturazione degli ospedali».
«I numeri parlano chiaro. L’Italia ha avuto, per buona parte dell’ultimo anno e mezzo, il primato delle restrizioni più dure tra le democrazie occidentali: la media dello Stringency Index compilato dall’università di Oxford mette l’Italia al primo posto tra i paesi democratici occidentali. L’Italia ha anche avuto uno dei maggiori numeri di giorni in cui era in vigore il divieto di uscire di casa eccetto che per usufruire di pochi servizi essenziali. Infine, l’Italia ha anche vinto la triste gara di chi ha tenuto le scuole chiuse più a lungo, a parte qualche Stato americano».
«Insomma, siamo stati i più lockdownisti di tutti. Il concetto di lockdown nazionale, dopotutto, l’abbiamo inventato noi: prima che lo adottassimo non era mai stato preso in considerazione in nessuno dei piani pandemici esistenti fino a quel momento a livello mondiale. Peccato che allo stesso tempo l’Italia abbia anche uno dei record peggiori in termini di morti pro capite tra tutti i paesi occidentali – ben al di sopra di Regno Unito, Spagna, Francia, Germania, Svezia e di molti altri paesi che hanno seguito misure molto meno restrittive. E c’è ancora chi ha il coraggio di parlare di “modello Italia”. Ora, la vulgata (alimentata da governo e media) vuole che questo sia avvenuto nonostante il lockdown – e che senza di esso le cose sarebbero andate senz’altro peggio. In realtà vi sono buone ragioni per credere che il pessimo risultato dell’Italia in termini di morti sia stata anche una conseguenza del lockdown».
«Come spiegano molto bene Piero Stanig e Gianmarco Daniele, due professori dell’Università Bocconi, nel loro ottimo libro Fallimento lockdown, se hai a che fare con un virus altamente infettivo, che si diffonde soprattutto al chiuso (come la maggior parte dei virus) e che prende di mira quasi esclusivamente gli anziani, la cosa peggiore che puoi fare è rinchiudere gli anziani dentro casa con altri membri della loro famiglia e allo stesso tempo vietare per legge a quegli stessi anziani – e al resto della popolazione – di stare nel luogo in assoluto più sicuro di tutti: all’aperto (dove in pratica non ci si contagia, come già sostenevano in tanti all’inizio della pandemia)».
«Purtroppo questo è esattamente quello che è successo quando, in seguito all’annuncio del lockdown e della chiusura delle scuole, migliaia di famiglie si sono trasferite dai nonni per assisterli ma anche per farsi aiutare da loro nella cura dei bambini (visto che molte persone continuavano a lavorare in smart). Come scrivono Stanig e Daniele: “Si può legittimamente speculare (anche alla luce della ricerca medica sul contagio in famiglia) che in certa misura il lockdown, combinato con la chiusura delle scuole, abbia contribuito allo sviluppo dell’epidemia invece di rallentarlo”».