Tumore al seno: campagna contestata
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Le promotrici della lettera al ministro hanno anche lanciato un appello in rete a sottoscriverla e nei primi due giorni sono già state raccolte circa 200 firme. Le autrici della lettera hanno anche lanciato in rete una petizione a sottoscriverla. A quanto riportato da Redattore Sociale il paradosso è che la Tatangelo si sarebbe sottoposta a un intervento di mastoplastica additiva, e rappresenta un modello di cattivo gusto rispetto a quelle donne che a causa della malattia il seno sono costrette ad asportarlo.
Secondo le firmatarie “la campagna punta a offrire un’immagine sessualizzata della malattia. Anche a livello nazionale dunque la Lilt ha scelto di avvalersi di un uso strumentale del corpo femminile come già accaduto negli anni scorsi per campagne di gusto per lo meno dubbio, quali quelle promosse ad esempio dalla sezione di Torino che, nell’ottobre del 2014, ha patrocinato l’iniziativa ‘Posso toccarti le tette?’”.
Ricordiamo che solo nel 2012 sono morte di cancro al seno 12 mila donne (dati Istat) e nel 2014 si sono registrate 48.200 diagnosi tra la popolazione femminile (dati Aiom-Airtum). La patologia colpisce, sebbene in misura minore rispetto alle donne, anche gli uomini. I programmi di screening si rivolgono alle donne in età compresa tra i 50 e i 69 anni. La morte per cancro al seno sopravviene a seguito della diffusione dal seno ad altri distretti corporei(ossa, fegato, cervello e polmoni nella maggioranza dei casi).
La polemica però riguarda anche la presenza di sponsor ingombranti, come quello di una casa automobilistica, la Peugeot. Secondo le promotrici della lettera studi scientifici recenti dimostrano l’elevata incidenza del cancro al seno tra le donne impiegate nella produzione di materie plastiche per il settore automobilistico. “La partnership tra Lilt e Peugeot si configura chiaramente come un caso di pinkwashing, termine con cui si indica la pratica di pubblicizzare e/o vendere prodotti che aumentano il rischio di ammalarsi di cancro al seno attraverso ingredienti e/o processi di lavorazione, collegandoli a campagne di sensibilizzazione o a raccolte fondi per la ricerca”. Per questo le firmatarie chiedono il ritiro della campagna Nastro Rosa 2015 che “consideriamo lesiva della dignità e della salute delle donne”.