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A Novara un “laboratorio” di democrazia deliberativa

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In un’epoca in cui il massimo coinvolgimento alla vita pubblica per tanti sembra essere solo un “like” o un commento via social, esiste un’Italia diversa che ancora si rimbocca – letteralmente – le maniche. Ci sono tante esperienze nel nostro paese che stanno portando avanti e mettendo in pratica princìpi di condivisione, partecipazione, impegno civico e sociale. Noi ve ne raccontiamo una, a Novara; non certo perchè sia l’unica, ma perché è una bella storia. E invitiamo tutti i nostri lettori a farcene conoscere altre.
Cittadini attivi che, non solo completano e migliorano i servizi con le loro azioni di volontariato, ma sono anche capaci di ripensare ai modi della partecipazione alla vita politica e sociale: di questo c’è sempre più bisogno in Italia e le esperienze fortunatamente non mancano. Ce ne sono innumerevoli sul territorio, anche se magari spesso faticano a fare rete e a conoscersi.
Uno degli esempi di queste esperienze arriva da Novara dove da cinque anni esiste un “laboratorio” di democrazia deliberativa che ha valorizzato i metodi del dialogo e, recentemente, ha portato al recupero e alla valorizzazione di un bene pubblico dismesso.

La teoria della democrazia deliberativa

La teoria, complessa, della democrazia deliberativa è da tempo dibattuta nell’ambito della sociologia e delle scienze politiche ed è stata applicata soprattutto nel Sud America. In Italia è stata testata in diverse realtà sparse nella penisola, utilizzando metodi diversi. A Novara viene messa in pratica, orma da cinque anni, dall’ associazione Territorio e Cultura. Nel 2013 c’è stato il primo “test” con una grande agorà che ha coinvolto cittadini ed associazioni emblematiche dalla città. Nel 2014 a Novara è partito il progetto triennale in tre diverse aree della città. Proprio qui, nel “centro della periferia”, è germogliato maggiormente il seme della partecipazione dal basso.

Dalla parola all’azione

“Il contributo del progetto per la città non voleva essere solo quello di proporre un metodo innovativo di dibattito e discussione informata – spiegano i responsabili del team accademico che ha supportato la realizzazione del progetto, Giacomo Balduzzi e Davide Servetti – ma ambiva a passare dalla parola all’azione, tentando di supportare i cittadini e le comunità di quartiere nell’individuare soluzioni e proposte di intervento concreto che possano partire da una partecipazione attiva e diretta di singoli individui o comitati, gruppi, associazioni, in forma autonoma ma collaborativa con le istituzioni”.
Nella pratica, i partecipanti si dividono in tavoli dove prima si discute un problema specifico e poi si immaginano soluzioni da mettere in pratica dal basso. E così è avvenuto nel quartiere popolare della Rizzottaglia: l’ex consultorio di piazzale Donatello, in stato di abbandono da 15 anni, è stato recuperato da singoli cittadini e associazioni del quartiere, in accordo col Comune di Novara. Dopo la ristrutturazione, un anno fa è diventato “casa” di un fitto programma di servizi di pubblica utilità e attività aggregative gestite dagli stessi cittadini e dalle associazioni riunitesi nella rete A.G.O.R.A (Associazione Gente Organizzata Responsabile Attiva) – www.agoradonatello.it

«Miglioriamo il metodo»

“La sperimentazione è stata molto positiva in questo risultato specifico, ma non ci nascondiamo le oggettive difficoltà ad applicare il metodo su larga scala – concludono i responsabile del progetto Giacomo Balduzzi e Davide Servetti – I tempi di realizzazione di ogni singola azione, però, sono sempre molto lunghi e di non facile gestione”. Proprio per questo si lavoro ancora per migliorare il metodo della partecipazione attiva ed il caso Novara è stato al centro anche di pubblicazioni accademiche.
“Per noi – commenta il presidente della novarese Territorio e Cultura onlus Alberto Cantoni – è stato però importante lanciare un primo seme di partecipazione attiva. Un’esperienza che non è restata circoscritta ma continua a generare alte attività anche su temi diversi”. Negli ultimi due anni, infatti, a Novara sono partite e stanno partendo altre sperimentazioni basate sul confronto e sulla discussione informata e consapevole tra tutti gli attori del territorio. Come Civicneet progetto di inclusione sociale pensato per i Neet, i giovani tra i 15 e 29 anni che non studiano né lavorano. “Un altro ambito in cui la partecipazione e il coinvolgimento nella vita sociale resta un’esigenza fondamentale” concludono da Territorio e Cultura.

Letture utili

Molto utile a questo proposito può essere la lettura di Essere nel fuoco, uno dei testi più importanti di Arnold Mindell. Per l’autore “essere nel fuoco” significa offrire all’ostilità e ai conflitti un modo legittimo per esprimersi, nelle relazioni di coppia, familiari, di lavoro e a tutti i vari livelli della società.
Nel mondo ci sono persone e gruppi più o meno numerosi in conflitto. Per quanto si possa puntare il dito contro i crimini, le guerre, l’avidità, la povertà, come se fossero delle entità autonome, la verità è che i problemi derivano dalle persone.  
In Essere nel fuoco, l’autore sottolinea come nella nostra società, a causa di una radicata paura della violenza, si tenda spesso ad assumere comportamenti pacifici per evitare il conflitto senza però risolverlo: parlare uno alla volta, esaurire un argomento prima di passare al successivo. Secondo Mindell, questa modalità può risultare una strategia per risolvere i problemi attraverso un ordine imposto, che spesso non rispecchia, né accoglie, la realtà delle relazioni umane. 
L’intento del libro è quello di dimostrare che affrontare il fuoco del conflitto, invece di evitarlo, e uno dei modi più efficaci per risolvere le divisioni presenti a ogni livello della società.

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