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Carasau: organetto e pane quotidiano

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Un’esperienza musicale insolita quella dei Carasau, gruppo toscano guidato da Andrea Ceccarelli, musicista fornaio e cantastorie, che con voce e organetto offre fette di pane condite di protesta, ironia e ritmi travolgenti
C’è una musica per riconoscersi, seduti comodi sul divano, sorseggiando tisane e vini d’annata. E c’è una musica che scuote, che ti costringe a muoverti, agire, prendere posizione. Quella dei Carasau è di questo secondo tipo: la musica che scende in piazza, il canto degli ultimi, l’esperienza che scuote gli animi e provoca reazioni chimiche fin dentro alle ossa. Canti del sud, delle tradizione orale toscana, nenie dal sapore africano, che si accompagnano alle cose semplici, al vino servito nei fiaschi sui tavoli di marmo e al pane condito con olio e sale.
Il motore a scoppio che muove gli ingranaggi di questa macchina è Andrea Ceccarelli, cantante e organettista nato a Pietrasanta (Lu), pizzicato dalla taranta e dallo scorpione astrale, anima inquieta dal grande talento creativo e dalla voglia di scuotere le coscienze. Andrea è entrato a contatto con la tradizione popolare del Sud Italia, in un lungo viaggio di conoscenza, che ha incrociato la comune di Urupia. Poi ha proseguito gli studi in Toscana con Riccardo Tesi, incontrando nel suo percorso artisti locali quali Bobo Rondelli, ai tempi in cui ancora scorrazzava per due lire nelle case del popolo tra Livorno, Pisa e la Versilia.
Alcuni anni fa, ha realizzato uno spettacolo intitolato Canto da supermercato, la drammatizzazione di un’esperienza di fornaio nella catena della grande distribuzione, che ha portato in giro per l’Italia. Ma tutta la storia di Andrea è costellata da tante esperienze di vita che rimescola continuamente nel suo repertorio. Una vita che negli ultimi quindici anni ruota attorno al pane, il punto di riferimento più solido e concreto che esiste sulla terra. Musicista e fornaio, il suo pane, come la musica non è un prodotto qualunque ma il frutto di ricerca, impegno e sudore, nella scelta delle farine, nella costruzione di un forno a legna, nell’uso della pasta madre, nel dono che fa della sua arte nelle case della gente, in giro per gli uliveti e i sobborghi della Versilia.
Con l’organetto a tracolla il Ceccarelli compie lo stesso gesto, impasta la sua storia personale con la farina raccolta qua e là nei bar di periferia, nei bassofondi dell’anima, nel solco dei grandi cantastorie popolari.
Il gruppo propone ballate tradizionali e pezzi originali intrisi di ironia, in cui la denuncia sociale è sempre presente, in un canto gradevole che a suo modo assomiglia a un tipo di blues un po’ afro, un po’ terrone e un po’ toscano. Un boccone indigesto per i benpensanti, un pugno nello stomaco a tutti i manierismi e le sofisticherie dei musicisti e dei giovani di oggi, una bombola di ossigeno in soccorso agli spiriti liberi.
A tratti ruvido e provocatore, Andrea riesce a entrare in scena sulle piazze, nei bar, nei ritrovi paesani, con il suo organetto diatonico che indossa come una mitraglia scandendo una ritmica sempre precisa e quasi ipnotica. Poi a giorni alterni torna alla sua quotidianità fatta di pane caldo spolverato di farina, impastato con patate e grani antichi e cotto con legna di ulivo.
Questa premessa serve per comprendere bene perché il gruppo sia stato battezzato come Carasau, il celebre pane sardo, che in italiano è anche detto, pensate un po’, carta da musica per la sua caratteristica croccantezza. Un pane che non si può masticare senza produrre rumore. Un po’ come la musica di questo quartetto ben assortito, che non si può ascoltare senza cominciare ad alzare il culo o a batter le mani. Tra gli ingredienti di questa specialità dal nome sardo ci sono le percussioni e la chitarra genuina di Luca Luperini, il violoncello sempre garbato e versatile di Gabriele Fioritti, diplomato al conservatorio a pieni voti che suona un giorno in strada e uno in orchestra, il sax di Vittorio Palmerini, detto Vittò Picurina, che sconfina volentieri nei territori del jazz. In primo piano rimane sempre Andrea che nelle improvvisazioni mescola le parole alla musica e usa il corpo come un altro strumento. La prima loro registrazione è “Take me stronghe in this worldetto”.
“Come tradisce il nome, nella loro musica confluisce l’orgoglio della terra toscana, i paesaggi rupestri della loro infanzia e la rabbia esistenziale che a quarant’anni suonati non pare abbandonarli” dice di loro Andrea Binelli, docente universitario dell’Università di Trento. Le prossime date del gruppo sono il 21 dicembre alla Polveriera di Pietrasanta, il 31 dicembre al Vignaccio di Camaiore. Per la Befana al Bar dello Studio di Marina di Pietrasanta. Mentre ogni domenica dalle 17 alle 22 fanno tappa al Bar Pietrasantese die Piazza Duomo. Come sono soliti ripetere alla fine dei loro concerti: “A San Biagio dalla mì mamma”.

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