Survival International lancia
una nuova Guida, unica nel suo genere, che punta i riflettori su molte delle parole “neutre” o “scientifiche” utilizzate quando si parla di conservazione e cambiamenti climatici.
La
“Guida per decolonizzare il linguaggio nella conservazione” si rivolge a giornalisti, divulgatori, registi e attivisti. Mette a confronto molti termini familiari e rivela le storie nascoste dietro ad altri. Ecco qualche esempio:
– Qual è la differenza tra “bushmeat” e “cacciagione”? – Perché alcune persone che possiedono bestiame vengono definite “allevatori”, e altre “pastori”? – Perché spesso pensiamo alla “wilderness” come a una natura vergine e selvaggia priva della presenza umana, quando in realtà si tratta quasi sempre di terre abitate, plasmate e gestite dagli esseri umani nel corso di millenni? – Perché in Europa le persone possono vivere nei parchi nazionali mentre in Africa non possono farlo?
«Mettendo in discussione gran parte della terminologia in uso oggi, la Guida mira a smontare alcuni dei miti che stanno alla base del modello della “conservazione fortezza”, che ancora oggi prevale nell’industria della Conservazione e tra governi e ONG» spiega Survival.
«Ancora oggi, esattamente come in epoca coloniale, il modello dominante di conservazione è quello della ‘Conservazione fortezza’, che prevede la creazione di Aree Protette militarizzate, in terre indigene, accessibili solo ai ricchi» spiega Fiore Longo, responsabile della campagna di Survival per decolonizzare la conservazione.
«Questa “conservazione” sta distruggendo la terra e la vita dei popoli indigeni. Ciò nonostante, è proprio lì che confluisce la maggior parte dei finanziamenti occidentali destinati alla protezione della natura – prosegue Survival – Perché? Perché i miti che sostengono questo modello di conservazione permeano i testi scolastici, i media, i documentari sulla fauna selvatica, gli annunci pubblicitari delle ONG, ecc. Le immagini della “natura” con cui siamo cresciuti, e le parole che usiamo per descriverla, modellano il nostro modo di pensare, le nostre politiche e le nostre azioni».
«Tendiamo a dare per scontato che queste parole e immagini corrispondano alla realtà, come se fossero neutre, oggettive o “scientifiche”. Ma non lo sono. Ci auguriamo che la nostra nuova Guida permetta alle persone di fermarsi a pensare alle parole e ai concetti che usiamo quando scriviamo o parliamo di questioni ambientali. La violenza e il furto di terra subiti da milioni di indigeni e da altre popolazioni locali nel nome della conservazione derivano in gran parte da questi assunti».
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