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Dai mercati alla persona: il libro di Gesualdi

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È uscito il nuovo libro di Francesco Gesualdi, “Risorsa umana”, che denuncia tutti i limiti dell’economia capitalista. Lo abbiamo intervistato e la sua analisi, puntuale e graffiante, ci fa riflettere.
Francesco Gesualdi, allievo di don Milani, è fondatore e coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa), una realtà che oltre a organizzare campagne di cittadinanza attiva e a studiare il comportamento delle imprese, ricerca nuove formule economiche capaci di garantire a tutti i bisogni fondamentali nel rispetto del pianeta.
Di Gesualdi è uscito ora nelle librerie il nuovo “Risorsa umana”, un’analisi lucida delle follie e delle deriva dell’economia capitalista.
Il paradigma della crescita infinita si è rivelata fallimentare. Quali sono i limiti evidenti e chi ancora oppone resistenza di fronte a questa constatazione?
«I danni sono constatabili sul piano dell’esaurimento delle risorse e dell’inquinamento ambientale. La furia produttivista ha seriamente compromesso le riserve di petrolio, di gas, di minerali. Il pianeta terra ci ha messo milioni di anni per costituirle, ma noi, generazione di passaggio le abbiamo saccheggiate fino compromettere il futuro delle generazioni che verranno. La nostra smania per la crescita ossessiva è riuscita a mettere in crisi perfino risorse rinnovabili come l’acqua, la fertilità dei suoli, il cibo. L’Istituto sull’impronta ecologica ci avverte che di questo passo nel giro di pochi anni avremo bisogno di due pianeti terra solo per le risorse rinnovabili. Per non parlare dell’accumulo di rifiuti e in particolare dell’anidride carbonica che è alla base dei cambiamenti climatici. Gli unici che continuano a negare la realtà sapendo di mentire, sono le grandi multinazionali del petrolio, delle sementi ogm, della chimica, che in nome del profitto immediato dimenticano che su questo pianeta ci abitano anche loro e ci vivranno pure i loro figli dal momento che non abbiamo altri pianeti su cui rifugiarci».
Il capitalismo mercantile ha creato un mondo iniquo che oggi è sotto gli occhi di tutti. Quali sono secondo lei le aberrazioni maggiori?
«L’iniquità è la nota dominante del nostro tempo a tutti i livelli: nelle nazioni e fra le nazioni. Tanto per rimanere nel nostro paese, il 10% delle famiglie più ricche dispone del 50% del patrimonio privato nazionale. Al gruppo delle 50% più  povere spetta solo il 10% del patrimonio. Ma le iniquità più scandalose si rilevano a livello globale: il 10% più ricco della popolazione mondiale dispone dell’80% di tutto la ricchezza privata, l’1% addirittura del 48%. E mentre a Milano si celebra la sceneggiata dell’Expo, pretendendo che è organizzata per nutrire il pianeta, un miliardo di persone soffre la fame. Ma se vogliamo,  la realtà è ancora peggiore: tre miliardi di persone vivono in condizione di povertà assoluta, ossia non riescono a soddisfare neppure i bisogni fondamentali. Triste conseguenza di un sistema che ha incanalato tutte le scoperte scientifiche e tutta la crescita economica solo al servizio dei facoltosi, perché un sistema basato sulle vendite non ha interesse a distribuire la ricchezza, ma a concentrarla».
La strada per uscirne? Le tappe? Da cosa e da dove cominciare?
« Se ne può  uscire solo invertendo la rotta. L’economia va  tolta di mano a chi vuole gestirla  per arricchire chi è già  ricco per riprendercela noi, cittadini  che vivono del proprio lavoro, con l’obiettivo di garantirci in via prioritaria le sicurezze di base. Un popolo intelligente e con un po’ di morale fonderebbe la propria economia su tre capisaldi: garanzia dei  bisogni fondamentali per tutti,  piena inclusione lavorativa e sostenibilità. Tre obiettivi che si tengono insieme riducendo il ruolo del mercato, del denaro e del lavoro salariato perché è quando si è costretti a soddisfare i propri bisogni solo tramite l’acquisto  che si entra nell’assurda spirale di spingere i consumi sempre più su per  creare posti di lavoro. L’unico modo per rompere questa dipendenza è cambiare funzione al lavoro. Non deve servire a guadagnare un salario ma a soddisfare direttamente i nostri bisogni. Perché solo così possiamo lavorare quanto basta e non ci disperiamo se in nome della salvaguardia ambientale diminuiamo i nostri consumi. Perciò dobbiamo potenziare il fai da te  e l’economia comunitaria dove i bisogni sono soddisfatti in maniera gratuita attraverso il lavoro gratuito di tutti. Molti oggi cominciano a capire che questa è la strada da battere, tornando a fare l’orto, a costruire la propria casa, ad autoriparare tutto il possibile. Il passo successivo è il fai da te anche in ambito comunitario, tornando a gestire collettivamente servizi e beni comuni.  Il volontariato sociale è ben presente, ma va istituzionalizzato, ad esempio tramite l’introduzione del servizio civile obbligatorio».
Un messaggio da inviare agli analisti economici che ancora parlano in tv per slogan e alla gente che li ascolta?
«Agli economisti dobbiamo chiedere di smettere di ingannarci. Gli economisti pretendono di presentarci il mercato come una legge di natura. Ma l’economia  non è una scienza esatta,  bensì  un’invenzione umana come il galateo.  Qualche popolo pensa che ruttare sia segno di gradimento del cibo, altri una forma di insulto.  Chi pretendesse di elevare il rutto al rango di valore assoluto commetterebbe un falso ideologico, allo stesso modo di chi vuole presentarci il mercato come l’unica forma di economia possibile. Di economie possibili ne esistono tante, ciascuno con le sue regole in base ai principi che la animano, agli obiettivi che si prefigge, alla classe sociale che vuole servire. Ogni volta che gli economisti  ci offrono le proprie ricette, dovrebbero premettere che ci stanno proponendo le soluzioni che rispondono alla logica di arricchimento delle imprese, dei banchieri, dei creditori, contro i lavoratori, la comunità, i debitori. Ma nel loro interesse farebbero bene ad aprire gli occhi e capire che questa economia iniqua e insostenibile ci sta portando  tutti verso il baratro. Non sarà un onore, per loro, passare alla storia come i servi ciechi e sordi che pur di rimanere nelle grazie dei dominatori, hanno negato perfino l’evidenza dei fatti».
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