Dieci anni dopo la
Terza Conferenza Internazionale sulla decrescita, la sostenibilità ecologica e l’equità sociale , un ampio gruppo di cittadini e comitati, guidati dall’associazione “Per la decrescita”, sta coinvolgendo una nuova rete di associazioni e istituzioni per promuovere un altro incontro a Venezia, di tre giornate, per fare il punto della situazione e per rilanciare idee e proposte concrete e per rendere visibile quel cambiamento profondo del modello di civilizzazione a cui siamo chiamati. Terra Nuova è mediapartner dell’evento.
«Immaginiamo questa nuova Conferenza come un’occasione non solamente di confronto e discussione ma come un momento fortemente proattivo di presentazione di progetti e proposte di lavoro comune, con metodologie aperte e workshop di approfondimento finalizzati ad elaborare campagne e iniziative condivise – spiegano i promotori – Venezia 2022 infatti non va intesa come un momento isolato, ma piuttosto come una prospettiva di lavoro. Deve essere l’orizzonte di un cammino di un anno di incontri, eventi, seminari, laboratori, attività formative ed esperienziali, organizzati dalle diverse realtà nei diversi territori, per preparare l’appuntamento collettivo. Tra i temi che intendiamo trattare ci sono quelli del cambiamento climatico, dell’agro-ecologia e della filiera del cibo, della salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, della tutela della salute, del ripensamento della produzione, della riproduzione e della cura, della lotta alle prevaricazioni e discriminazioni sessuali, generazionali, razziali e speciste».
Nel Manifesto dell’iniziativa scrivono Michel Cardito e Margherita Forgione, co-presidenti del Movimento per la Decrescita Felice, e Mario Bonaiuti, presidente dell’Associazione per la Decrescita:
«Nonostante le rassicurazioni delle narrative dominanti, siamo sempre più spesso raggiunti da notizie, dati, immagini e testimonianze che mostrano l’insostenibilità del sistema in cui viviamo. Questo potente flusso di messaggi, se non accompagnato da proposte, percorsi e tentativi collettivi di cambiamento, rischia di erodere anche la nostra stessa sensibilità. Cogliamo le tracce di questa erosione nell’indifferenza con cui assistiamo, quasi assuefatti, alle guerre per le risorse, all’estinzione delle specie viventi, alla mercificazione di ogni cosa, alla violenza verso altre persone e altri animali, ai ricorrenti naufragi dei migranti, alla diffusione di zoonosi e pandemie, allo stravolgimento del clima e alla crescita degli eventi climatici estremi. Tutto questo è accompagnato non da un reale ripensamento dei nostri sistemi sociali e produttivi, ma piuttosto da una proliferazione di un immaginario e un linguaggio – sotto il grande cappello dello “sviluppo sostenibile” – che si propongono di rassicurare e ricondurre tutto in binari predefiniti».
«Questo linguaggio narcotizzante nasconde il fatto che il mercato di per sé è più interessato a garantire la durevolezza del business, piuttosto che alla riproduzione della vita. Nasconde cioè il conflitto attorno alle priorità che devono orientare le nostre scelte politiche, economiche, sociali, sanitarie. Così molte idee e parole chiave proposte negli anni dai movimenti per l’alternativa sono state in qualche modo sussunte dal mercato capitalistico e trasformate in strumenti di potere o di profitto: sostenibilità, transizione, resilienza, circolarità, biologico, ecc… Ma la parola “decrescita” resiste a questa cooptazione. Rimane ancora oggi un’idea disturbante, guardata con sufficienza o con disprezzo. Resiste perché ci ricorda che le tecnologie da sole non ci salveranno e che occorre rimettere in discussione le nostre pretese e le nostre priorità per distinguere per cosa val la pena vivere e lavorare e cosa dobbiamo invece dismettere senza rimpianti. Ci ricorda che non c’è modo di realizzare una produzione sostenibile se non ripensando anche le nostre forme di consumo e aggredendo la crescita indiscriminata della domanda di risorse materiali, di energia, di merci».
«Accettando – a voler usare un linguaggio economicista – che la domanda non può non fare i conti con l’offerta, che l’offerta è limitata e che comunque i prezzi della produzione sono ambientali ma anche sociali, che esistono ingiustizie da affrontare. La parola “decrescita” ci ricorda che per realizzare una forma di prosperità equa e democratizzabile (ovvero non raggiunta a spese di altri) dobbiamo essere disposti a scegliere. Ci ricorda, in definitiva, che occorre rimettere in discussione i privilegi per poter condividere i diritti. Mira a un benessere reale e condiviso. Il punto che le élites economiche e politiche fingono di non capire è dunque che la decrescita non ha a che fare con il pauperismo, con il rifiuto della tecnologia o con una qualche acritica nostalgia di tempi passati».
«Al contrario la proposta della decrescita è un’interrogazione profonda e assolutamente attuale attorno al senso di ciò che siamo stati abituati a dare per scontato – ovvero l’idea e le forme del benessere, del progresso, della ricchezza – con la consapevolezza che le risposte e le soluzioni che abbiamo dato fin ora non rispondono realmente alla domanda di una “buona vita”. Non solo per gli altri, per gli esclusi, gli emarginati, gli sfruttati, le donne, che da secoli pagano i costi più alti di questo sviluppo capitalistico distruttivo, ma anche per coloro che al “centro” del sistema hanno creduto per decenni di poter approfittare dei processi di innovazione e globalizzazione e che ora si riscoprono a loro volte esposti e impoveriti, deprivati delle condizioni di sussistenza e spesso anche di adeguate reti sociali. A minacciare di allontanarci da una vita degna di essere vissuta non sono solo la devastazione ambientale, la crescente diseguaglianza e la diffusione di nuove forme di povertà, ma anche la perdita di autonomia e la crescente dipendenza dal mercato per ogni necessità. Non è più tempo, dunque, per l’attendismo o per nascondersi dietro finzioni o etichette di comodo».
«Occorre avere il coraggio e la fiducia di intraprendere reali percorsi di transizione e trasformazione. Pensare la decrescita significa rinunciare alle ricette del passato accettando che occorre avere la maturità e la lucidità di affrontare per tempo una nuova era, rifiutare di credere che l’obiettivo delle società sia l’espansione costante della produzione e del consumo; significa contrastare la depressione dilagante e l’accettazione passiva della catastrofe ecologica e rilanciare invece la fiducia nell’umanità e nella sua capacità di convivere convivialmente con le diverse forme viventi, promuovendo forme di prosperità post-crescita e post-sviluppo».
«Solo attraverso la creazione collettiva di un diverso immaginario, decolonizzato da quello attualmente dominante, e la sperimentazione concreta di nuove forme di ascolto e riconoscimento, di proprietà e di gestione, di educazione e di lavoro, di produzione e di riproduzione, di condivisione e di scambio, di consumo e di rigenerazione, di modi di abitare e di viaggiare, potremo realizzare una forma di sussistenza – di prosperità diversa – all’altezza del nostro tempo perché si rimette finalmente al centro la cura e la rigenerazione della vita piuttosto che la ricerca del profitto. Una sperimentazione collettiva che richiama nei modi e negli obiettivi la sfida di una grande (e reale) transizione ecologica, democratica e pacifica. La decrescita non è tanto una necessità imposta dalla realtà del mondo fisico, quanto piuttosto una scelta positiva di vivere una esistenza piena e pacifica. Oggi possiamo infatti affermare – ribaltando quanto annunciava oltre mezzo secolo fa una famosa enciclica – che non lo sviluppo ma la decrescita è il nuovo nome della pace e della cura della vita».
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Letture utili
Nel libro ogni autore propone un tema e un approccio, rendendo concreta la molteplicità di accezioni e implicazioni che una scelta improntata alla decrescita porta con sé.
Bruna Bianchi si interroga sul ruolo delle donne, oggi e in una futura società post-sviluppista, illustrando il contributo reale che molte stanno già fornendo.
Paolo Cacciari suggerisce di porre al centro del vivere il rispetto dei beni comuni, cioè la condivisione delle risorse e dei beni, oltre il paradigma lavorista e produttivista.
Adriano Fragano si confronta con l’eticità delle nostre scelte quotidiane, da quelle relative all’educazione e all’impiego della tecnologia a quelle che riguardano il rapporto con le altre specie e con l’ambiente naturale.
Infine, Paolo Scroccaro offre una rassegna dei concetti e delle tematiche che più possono aiutarci nella transizione al doposviluppo, che implicherà tra l’altro l’uscita dall’antropocentrismo che oggi caratterizza la nostra società.
In coda al libro 20 FAQ analizzano le parole chiave della decrescita, offrendo anche un’utile bibliografia per chi intenda approfondire questo pensiero e pratica di vita.