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Dossier. Vivere senza bollette…

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Vivere senza bollette… e tanti altri modi per uscire dalla griglia. Riflettere, scegliere, decidere, agire per un nuovo paradigma che sia veramente e urgentemente rivoluzionario. Ricostruendo le comunità e accogliendo la complessità.
Dossier. Vivere senza bollette…
Vivere senza bollette… e tanti altri modi per uscire dalla griglia. Riflettere, scegliere, decidere, agire per un nuovo paradigma che sia veramente e urgentemente rivoluzionario. Ricostruendo le comunità e accogliendo la complessità. Passo dopo passo.

No, non dobbiamo reinventare il capitalismo…

All’incirca un anno fa, nel dossier The great greenwashing pubblicato sulle pagine di questa rivista, ci ponevamo due domande: dobbiamo fidarci della versione rassicurante e caritatevole con cui il mainstream ci presenta il “nuovo capitalismo green”? E: una “nuova” versione del sistema che ci ha condotto fin qui può essere veramente la soluzione per uscire dall’empasse? Gli esperti intervistati, impegnati nel sociale, nell’economia solidale dei beni comuni, nello sviluppo di un nuovo paradigma necessario, già allora, erano arrivati alla conclusione che no, non era possibile.
Oggi quella conclusione è divenuta convinzione diffusa; stiamo assistendo a un tentativo di greenwashing di dimensioni globali che reitera i principi della crescita infinita, del neoliberismo, del consumo e del consumismo, e si rifiuta di considerare tutto ciò che potrebbe far deragliare dai binari l’utilissimo e vantaggioso (per pochi) treno del capitalismo a oltranza. Con un “aggravante”: lo sdoganamento del concetto che se all’obiettivo non si arriva con le buone, sono lecite anche “le cattive”. E qui si innesta una riflessione sulla shock economy, il capitalismo dei disastri e della sorveglianza.
Ma andiamo per ordine e proviamo a mettere insieme qualche tassello in più. Tenendo presente che, sebbene possa sembrare una tenzone fra Davide e Golia, non è affatto il momento di gettare la spugna.
Cosa ha, di fatto, accelerato in questi ultimi due anni la corsa in una direzione che era già abbastanza chiara? Cosa ha permesso di giustificare la necessità di bruciare le tappe?
Di solito ad avere questo effetto è uno shock, una situazione da disastro emergenziale, che può fungere, diciamo così, da “cavallo di troia”?
E ciò che si sta protraendo dall’inizio del 2020 è proprio una super emergenza globale che non ammette dubbi, obiezioni, riflessioni. Abbiamo visto tutti come questa percezione di “urgenza estrema” ha potuto far passare in secondo piano persino i diritti e le libertà fondamentali che, proprio perché sono tali, non vanno subordinati a criteri di concessione; e ha permesso di giustificare la criminalizzazione del dissenso e del pensiero critico.
Viene alla mente il libro che Naomi Klein pubblicò anni fa proprio sulla shock economy, fondamento di quel “capitalismo dei disastri” che coglie l’occasione di uno stato di shock (attualmente politico, sociale ed economico) per effettuare un cambiamento rapido, permanente e irreversibile nella società. Oggi si può forse anche distinguere un passo ulteriore verso una “sorveglianza post-disastro”, che appare funzionale a garantire che tutto proceda esattamente come previsto. Sara così? O potrebbe rivelarsi un’interpretazione azzardata?
Intanto, vale la pena prendere nota che sul sito dell’ormai famoso World Economic Forum si può leggere un articolo dal titolo “Per ricostruire meglio, dobbiamo reinventare il capitalismo”1 firmato da Peter Bakker, Ceo del Wbcsd, World business council for sustainable development (notare le ultime due parole: sviluppo sostenibile), organizzazione di cui fanno parte2 colossi notoriamente “dal cuore d’oro” come Bayer, Arcelor Mittal, Cargill, Chevron, Daimler, DuPont, Edf, Enel, Eni, Roche, Gsk, Google, Microsoft, Michelin, Mitsubishi, Nestlè, Novartis, Philip Morris e così via.

All’inizio la spinta gentile…

Si legge nella presentazione del Wbcsd3: «Per passare dal business-as-usual alle trasformazioni accelerate che sono necessarie, i business leader devono fare propri tre nuovi approcci di pensiero: reinventare un capitalismo che premi la creazione di vero valore; focalizzarsi sulla costruzione di una resilienza a lungo termine; adottare un approccio rigenerativo che non faccia danno. Il business (il commercio, gli affari, il profitto, N.d.A.) deve assumere un ruolo guida, deve lavorare sulle trasformazioni dei sistemi progettandole, insieme a scienziati, decisori politici, esponenti della finanza e investitori, innovatori e consumatori. Solo una collaborazione che raggiunga livelli senza precedenti creerà l’impatto e la velocità necessari per raggiungere l’obiettivo di far vivere tutti bene sul pianeta entro il 2050».
Quindi, tutti “insieme” ma per rimanere strettamente entro i confini progettati proprio da quel sistema super centralizzato che ha generato i problemi e che oggi si presenta con l’abito nuovo per risolverli in nome del bene dell’umanità.
Un po’ dura da digerire.
È una “impalcatura” compatibile e affine all’idea che si ricava dalla lettura di alcuni passaggi del libro di Richard Thaler (premio Nobel nel 2017 per “il suo contributo negli studi sull’economia comportamentale”) e Cass Sunstein (docente alla Harvard Law School), Nudge. La spinta gentile; testo che può sedurre o inquietare (dipende da chi legge…). «Ci consideriamo paternalisti in quanto pensiamo che sia lecito per gli architetti delle scelte cercare di influenzare i comportamenti degli individui al fine di rendere le loro vite più lunghe, sane e migliori. In altre parole, siamo convinti che le istituzioni del settore privato e del settore pubblico debbano fare uno sforzo consapevole per indirizzare le scelte degli individui in modo da migliorarne le condizioni di vita. Per come lo intendiamo noi, un provvedimento è “paternalistico” se cerca di influenzare le scelte in modo da migliorare il benessere di coloro che scelgono»: dunque, a stabilire cosa è “bene” e “benessere” per gli individui saranno i “paternalisti”, che evidentemente considerano non accettabile né auspicabile il diritto all’autodeterminazione degli individui stessi.
Infatti spiegano: «Attingendo ad alcuni risultati comprovati nell’ambito delle scienze sociali, dimostreremo che, in molti casi, gli individui prendono cattive decisioni: decisioni che non avrebbero preso se avessero prestato piena attenzione e se avessero posseduto informazioni complete, capacità cognitive illimitate e totale autocontrollo». E ancora: «Gli architetti delle scelte pubblici e privati (…) cercano attivamente di spingere gli individui in una direzione che possa migliorare le loro condizioni di vita, pungolandoli».
Ci sono alcuni altri passaggi del libro che meritano di essere letti e conosciuti (ognuno trarrà le proprie conclusioni): «Chi rifiuta un approccio paternalistico spesso sostiene che gli esseri umani sono perfettamente capaci di fare le proprie scelte o, se non perfettamente capaci, sicuramente più capaci di chiunque altro (specialmente se quel chiunque altro lavora nella pubblica amministrazione). Che abbiano studiato economia o meno, molti sembrano accettare almeno implicitamente il concetto di homo oeconomicus: l’idea, cioè, che ognuno di noi sia in grado di ragionare e di scegliere in modo infallibile, conformemente all’immagine degli esseri umani che ci viene proposta nei libri di testo di economia. Se leggete un manuale di economia, scoprirete che l’homo oeconomicus ha le facoltà intellettuali di Albert Einstein, una capacità di memoria paragonabile a quella del Big Blue, il supercomputer della Ibm, e una forza di volontà degna di Gandhi. Davvero. Ma le persone che conosciamo non sono fatte così. Le persone vere riescono a malapena a fare una divisione lunga senza usare la calcolatrice, qualche volta dimenticano il compleanno del marito o della moglie e il giorno di Capodanno accusano i postumi di una lunga bevuta. Non appartengono alla specie dell’homo oeconomicus, ma a quella dell’homo sapiens. Per evitare di usare il latino, d’ora in poi nel riferirci a queste due specie, una immaginaria e una reale, useremo le espressioni “Econi” e “Umani”».
E ancora: «Centinaia di studi confermano che le previsioni degli Umani sono imprecise e distorte; anche il loro processo decisionale presenta numerosi difetti. (…) Secondo la nostra definizione, un pungolo è qualsiasi elemento che incide in misura significativa sul comportamento degli Umani ma che viene ignorato dagli Econi. Gli Econi reagiscono soprattutto agli incentivi. (…) Molte persone, essendo favorevoli alla libertà di scelta, rifiutano qualsiasi forma di paternalismo. Vogliono che il governo lasci i cittadini liberi di scegliere autonomamente. (…) Si oppongono al paternalismo, o credono di opporvisi, e guardano con scetticismo alla possibilità di ricorrere ai pungoli. Noi crediamo che il loro scetticismo sia basato su un falso presupposto (…). Il presupposto da cui partono è che pressoché tutti gli individui, quasi sempre, compiono scelte che sono nel loro migliore interesse o, come minimo, migliori delle scelte che verrebbero fatte da qualcun altro. Noi pensiamo che questo presupposto sia falso, palesemente falso. Anzi, pensiamo che nessuno, riflettendoci sopra, ci creda davvero».
Si inizia così; poi magari, se il pungolo o la spinta gentile non bastano più, per non perdere tempo nel raggiungere gli obiettivi stabiliti dai “paternalisti”, c’è chi non esclude maniere più forti…e sempre in velocità.

Escalation degli eventi e scenari non tranquillizzanti

È una escalation che si è vista in Italia, per esempio, nella gestione delle restrizioni per la pandemia, nella enorme diffusione di un sentimento di profonda paura e nella criminalizzazione del pensiero critico, ottenendo un generale ottundimento della popolazione, per cui passano “inosservati” e vengono accettati con rassegnazione fenomeni come l’inflazione galoppante, lo sblocco dei licenziamenti che ha visto falcidie significative negli stabilimenti produttivi, l’aumento dei prezzi delle merci e delle bollette, lo smantellamento implacabile del servizio sanitario pubblico a vantaggio dei privati, i decreti legge del potere esecutivo (strumenti che dovrebbero avere carattere eccezionale e che invece sono diventati la prassi, tutti ratificati dal Parlamento spesso con l’imposizione del voto di fiducia) che hanno visto, tra l’altro, l’assalto alla diligenza dei servizi pubblici locali4 e la macellazione della privacy5, il freno posto all’abbandono delle fonti fossili, poi una legge di bilancio6 all’insegna del neoliberismo e delle privatizzazioni. E se vogliamo guardare oltre, vediamo gli ennesimi fallimenti dei vertici sul clima, le continue distruzioni di habitat ed ecosistemi, ipersfruttamento di risorse (anche umane) e la «pianificazione di un salto di qualità nello sfruttamento della natura e dei territori, che ci verrà venduto come l’unica scelta possibile per “riattivare l’economia” dopo la crisi pandemica», come scrive l’Osservatorio sulla Repressione nel libro Umanità a perdere.
«La risposta istituzionale al Coronavirus ha privilegiato lo stato di guerra, i suoi linguaggi, le sue metafore, i suoi simboli» scrivono dall’Osservatorio. «Le leggi emergenziali adottate “contro” la pandemia hanno consentito un’accelerazione del processo di militarizzazione e sicurizzazione della società e dell’economia che non sarebbe stato possibile in tempi di “normalità”. Con la creazione narrativa dello status bellico e l’utilizzo dei linguaggi di “guerra” è stato sferrato un attacco mortale alle sempre più ridotte forme di partecipazione e lotta democratica e agli spazi di aggregazione politica e sociale».
Insomma, «si sono ulteriormente indeboliti gli anticorpi sociali».
Inoltre, si legge sempre nel volume, «la crisi pandemica ha dato ulteriore impulso al capitalismo della sorveglianza, a partire da tecnologie e dispositivi per il controllo».

Cambiare schema di pensiero

Un problema non può essere risolto dallo stesso livello di conoscenza che lo ha generato: lo ha detto Albert Einstein. Se si accetta questa considerazione, allora per risolvere quel problema occorre cambiare schema di pensiero. Si può realisticamente affermare che a farlo possano essere gli stessi che da quel paradigma non vogliono uscire né farne uscire popoli e pianeta? Il lupo può travestirsi da agnello; ma può diventare agnello?
Se si conclude che non può diventarlo, allora andiamo incontro a una epocale operazione di greenwashing, the great greenwashing, per l’appunto, che avrà in sé una trasformazione globale e capillare della società.
E se si pensasse invece di cambiare la sostanza? E se ci si cimentasse nel cambiare radicalmente schema di pensiero? Che magari vada esattamente dalla parte opposta rispetto al “modello” che si evince dai paragrafi precedenti e che potrebbe esprimere un mix preoccupante di capitalismo-totalitarismo?
E se si desse ampiezza, corpo, azione e voce a quella rete di relazioni che ancora sopravvive (anzi, vive) e che vede connesse tante persone che invece delle divisioni e delle diffidenze vogliono coltivare sensibilità comuni, reciprocità, affinità, rispetto e vera sostenibilità umana, economica e ambientale? Potrebbe costituire una risposta/reazione sufficientemente forte da invertire la tendenza? Utopia? Se non si prova, non lo si saprà mai. Se si cominciasse a spostare tante più caselle e a giocare con tutt’altre regole, qualche circuito comincerebbe ad andare in tilt? In sostanza, si può agire e vivere smarcandosi dal capitalismo eterno?
Non ci sono ricette semplici o semplicistiche per individuare cosa si possa fare e come si possa agire per arginare la marea incombente. Ma sicuramente possiamo porci nella complessità, rimboccarci le maniche, uscire dalla nostra zona di comfort (che comunque non è destinata a durare) e diventare protagonisti di un paradigma differente.
Di seguito abbiamo voluto provare a fornire input, spunti, suggerimenti ed esperienze, che non sono affatto esaustivi ma che possono dare forma, corpo e voce a un’altra prospettiva.
 
Note
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Ripensarsi, resistere, rinnovarsi. Guida all’azione local

Prospettiva nuova e azione local: poche parole per un grandissimo significato: non solo cercare espedienti per riadattarsi alla meglio nel mutare veloce delle situazioni, ma anche e soprattutto passare a un differente modo di concepire acquisti, consumi, relazioni, denaro e impatti delle nostre azioni quotidiane.
Non si tratta di novità sconvolgenti, ma la loro forza sta nell’inserirsi in un contesto complessivo di cambiamento necessario; queste scelte possono essere concretamente calate, declinate e realizzate in un periodo difficilissimo come è quello in cui ci troviamo ad annaspare.
Se un numero crescente di persone mettesse in atto da domani anche solo la metà delle azioni che leggete di seguito, ce ne sarebbe a sufficienza da far incanutire precocemente tutti i neocapitalisti, filantrocapitalisti e navigati del greenwashing, che stanno solo aspettando che venga posato anche l’ultimo metro di recinzione.
Si ringrazia per la collaborazione Local futures, l’associazione di cui è promotrice Helena Norberg-Hodge, autrice del libro L’economia della felicità.

Il cibo

Gli sforzi vanno indirizzati verso un’economia alimentare locale per avere cibo sano, rivitalizzare relazioni e fiducia, supportare l’agricoltura biologica e la biodiversità e per non dipendere da un sistema centralizzato.
• Frequentate i mercati contadini (se non l’avete vicino a casa, pensate a organizzarne uno) e acquistate dai produttori; può tornare molto utile stabilire relazioni di fiducia per un cibo sano e sicuro.
• Raccogliete i vegetali che crescono spontaneamente nelle aree meno inquinate vicine a voi. Ci sono ottimi libri per imparare a riconoscerle.
• Organizzate (o partecipate a) frutteti od orti comunitari e food forest; si possono anche richiedere spazi pubblici. Spesso in molte aree urbane esistono già e attendono di essere rivitalizzate.
• Organizzate una (anche se piccola) autoproduzione alimentare coltivando vegetali commestibili nel giardino o sul balcone.
• Non acquistate alimenti, vegetali o animali, provenienti da coltivazioni o allevamenti intensivi. Cercate di ridurre il più possibili gli acquisti dalla grande distribuzione organizzata; in caso di scarsità di approvvigionamenti, la differenza la faranno appunto le relazioni e i contatti con chi vi può garantire cibo in loco.
• Cercate modi di recuperare o redistribuire il cibo che andrebbe sprecato: aiutate a raccogliere dove le coltivazioni sono in eccedenza e accordatevi per trattenerne per il vostro consumo personale o dei vostri conoscenti; accordatevi anche per recuperare e utilizzare e/o distribuire alimenti che andrebbero gettati ma che sono ancora buoni.
• Preservate i semi di tutto ciò che coltivate e ripiantateli; procuratevi semi autoctoni e coltivate vegetali robusti che possono essere riprodotti.
• Individuate produttori della vostra zona e andate personalmente a conoscerli; sostenendoli, si preserva anche l’accesso alla terra.
• Individuate Gruppi d’acquisto solidale(Gas) nelle vostre zone o piccoli empori di comunità e acquistate tramite questi canali locali.
Contatti utili: nell’impossibilità di fornire contatti capillari riferiti alle tantissime realtà presenti sul territorio nazionale, ci limitiamo a qualche riferimento. L’Associazione Rurale Italiane mette a disposizione una mappa di scuole di agricoltura, piccoli produttori, case delle sementi e Gas che trovate qui www.assorurale.it/mappatura-contadina.
Elena Tioli anima da anni la rete www.viveresenzasupermercato.it.
Potete consultare anche il sito della Rete Semi Rurali https://rsr.bio, quello della Rete dell’Economia solidale www.economiasolidale.net, quello dei gruppi d’acquisto www.e-circles.org.

Commercio, acquisti, artigiani

• Cercate di fare acquisti in piccoli negozi e di servirvi da artigiani locali; anche così si conquista e si consolidano indipendenza e autonomia sia vostre che della rete di economia di prossimità che può garantire approvvigionamenti anche nei momenti di difficoltà.
• Se fate parte di un circolo, di un’associazione, di un Consiglio comunale, organizzate campagne di sensibilizzazione per favorire gli acquisti locali.
• Individuate (o create) Gruppi d’acquisto locali anche per generi non alimentari: mezzi di trasporto a basso impatto ambientale, energie rinnovabili (sono state normate anche le comunità energetiche), accessori ecologici per la persona, ecc. Persino le occasioni per godere di espressioni artistiche e per trascorrere il tempo libero possono essere organizzate da gruppi determinati che prendono l’iniziativa.
• Organizzate una rete di baratto con i contatti di chi risiede nel vostro quartiere o tra la vostra cerchia di amici e conoscenti; gli oggetti (persino il cibo), dagli abiti agli utensili ai libri, fino addirittura ai mezzi di trasporto, possono rispondere a esigenze diverse e continuare a essere utilizzati (e riparati) senza innescare il bisogno di nuovi acquisti.
• Ideate anche vostre iniziative autogestite aprendole alle cerchie di amici e conoscenti.
Contatti utili: valgono i riferimenti del paragrafo precedente e potete anche cercare, online e con il passaparola, reti di baratto.

Denaro e finanza

• In questo campo le difficoltà e la centralizzazione sono massimi, quindi non c’è nulla di scontato. Innanzi tutto si può partire dalla scelta dell’organizzazione o ente a cui affidare i risparmi. Se optate per la banca assicuratevi che non abbia investimenti nei settori che non volete finanziare con il vostro denaro e che privilegi magari progetti locali e virtuosi; Banca Etica può essere una buona opzione. Poi ci sono le Mag, acronimo che sta per Mutua Auto Gestione, piccole cooperative che applicano criteri etici nella gestione del denaro che viene loro affidato. In Italia non sono molte, ma se i cittadini conoscessero meglio questa possibilità potrebbero anche rafforzarsi.
• Anche in questo caso la creatività e la fantasia possono essere di aiuto. Se avete denaro da investire, perché non pensare ad accordarsi con modalità certe per mettere a disposizione piccole somme (con prevista restituzione) a chi ha progetti virtuosi, local, a impatto positivo ed etici?
• Informatevi sulle monete alternative e magari aggiornatevi consultando anche le informazioni fornite dall’International Movement for Monetary Reform, che porta avanti il progetto della creazione di moneta libera da debito e per il pubblico interesse, e sul sito delle Reti Comunitarie di Scambio.
• Conoscete o avete contatti con fondazioni, bancarie e non? Allora sollecitate i referenti e i rappresentanti a disinvestire dagli ambiti delle fonti fossili, delle armi o delle attività che sfruttano risorse e bypassano diritti. Sappiamo quanto può fare la pressione dell’opinione pubblica che fa sentire la propria voce.
• Non sottovalutate l’efficacia e il potere dell’economia del dono e dello scambio, anche se si trattasse solo del vostro tempo. Un sistema che spinge tutti nel collo di un imbuto può essere spiazzato dall’imprevisto e dai paradigmi differenti.
Contatti utili: le Reti Comunitarie di Scambio mettono a disposizione le informazioni sul loro sito www.retics.org, dove trovate anche i contatti dei progetti di monete alternative e di sistemi di crediti; potete anche consultare il sito di Banca Etica www.bancaetica.it e delle Mag attive, quella di Verona ( www.magverona.it), quella di Reggio Emilia ( www.mag6.it), di Milano ( www.mag2.it), in Piemonte ( www.mag4.it), in Calabria ( www.magdellecalabrie.org) e a Firenze ( www.magfirenze.it).

Energia e mobilità

• Passi importanti da muovere in questo ambito sono la riduzione dei consumi, il progressivo superamento di impianti che utilizzino fonti fossili e laddove possibile la realizzazione di sistemi che consentano l’autosufficienza energetica.
• La scelta di far parte o di promuovere la nascita di comunità energetiche è un buon passo (si veda l’articolo sul numero di novembre della rivista Terra Nuova) ed è necessario cercare il più possibile di approvvigionarsi da fonti rinnovabili.
• Ormai è fin troppo ovvio: una mobilità differente può fare la differenza e non è possibile né sostenibile pensare di convertire l’intero parco mezzi privato attuale in mezzi elettrici. Occorre fare ricorso molto di più ai mezzi pubblici (quelli sì magari elettrici), alla bicicletta e… spostarsi di meno e con meno frenesia. Ciò diventa possibile e realistico se si cambia modo di concepire il lavoro e i ritmi di vita. Non dimentichiamo poi i bike e car sharing, servizi di condivisione dei mezzi. Pensate a quale potenza e impatto potrebbe avere, per esempio, ridurre della metà in un anno gli acquisti di automobili! E non cadete nel tranello “eh, ma così si perdono posti di lavoro”, perché quelli si stanno già perdendo per i licenziamenti selvaggi e liberalizzati, le modalità capestro di sfruttamento, il subordinare qualsiasi scelta alla logica del profitto a ogni costo e la mancanza di rispetto per competenze, talenti e persone. È il modello capitalistico il problema, non ciò che può portare al suo superamento.
Contatti utili: sicuramente attivi dal punto di vista della consulenza e progettazione in tema di energie rinnovabili, risparmio e autosufficienza energetica e casa passiva sono l’associazione Paea ( www.paea.it) e il Parco dell’Energia Rinnovabile ( www.per.umbria.it). Ènostra è una cooperativa energetica che produce e fornisce ai soci energia sostenibile, etica, 100% rinnovabile ( www.enostra.it). Per bike e car sharing informatevi nella vostra città che reti sono attive.

Consumi: riduci, riusa, ripara

• Eliminare il superfluo, evitare tutto ciò che sappiamo essere stato prodotto con la “filosofia” dell’obsolescenza programmata, resistere a quella spinta che ci vorrebbe uniformati alla monocultura del consumismo e dello spreco: ecco, partiamo da qui.
• Organizzate (o partecipatevi se sono già attive) reti di vicinato per alimentare lo scambio, la condivisione, le relazioni, l’auto mutuo aiuto: dagli oggetti al cibo, dall’aiuto pratico quotidiano al tempo libero, tessete reti, cucitele con altre reti, investite la vostra creatività e vi stupirete delle potenzialità e della potenza di ciò che potrete costruire “dal basso”. E su cui potrete continuare a contare anche nei momenti peggiori.
• Praticate l’economia del dono, un passo ancora ulteriore rispetto al pur utilissimo baratto; il dono disinteressato e amorevole moltiplica “reazioni positive”. Quando le persone sono unite, quell’unione funziona come il cemento: difficile da forare!
• Cercate di eliminare il più possibile l’uso di ciò che non è recuperabile o il cui riciclo non è sufficiente, soprattutto la plastica e ancor più se usa e getta. Riscoprite i materiali come il legno, il metallo, la ceramica e riparate, riusate, recuperate. Oltre a risparmiare denaro e rifiuti, assaporerete una nuova soddisfazione personale di maggiore libertà perché ci si riscatta dalla schiavitù del consumo e dell’acquisto infinito.
Contatti utili: informatevi nella vostra città se sono attivi dei Restart Cafè, luoghi dove ci si ritrova per conoscersi e scambiarsi le informazioni per riparare e aggiustare un po’ tutto; poi le ciclofficine, i mercatini dell’usato e tanto altro che possa incentivare scambio e recupero.

Comunità, lavoro, relazioni

• Chi l’ha detto che non c’è alternativa al lavoro ripetitivo, sfruttato, che ci costringe a essere “pezzi” manovrabili di un sistema che trasforma le persone in soggetti passivi o sottomessi? Una cosa è chiara: trasformare e cambiare un paradigma ormai cronicizzato nel nostro quotidiano non è facile né immediato, non si può improvvisare né realizzare gettandosi senza criterio in un mare di incognite. Ma iniziare a programmare e pianificare usando la creatività e ascoltando se stessi con fiducia può condurci verso lidi sorprendenti, e accompagnarci nell’azione e nella realizzazione. Teoria? Non proprio. Basta mettercisi, con impegno e convinzione. Chiedete a Paolo Ermani e Alessandro Ronca che sono arrivati alla cinquantesima (e oltre) edizione del workshop “Cambiare vita e lavoro. Istruzioni per l’uso” con una lista infinita di ringraziamenti e plausi per la “spinta” e le informazioni preziose che hanno fornito a centinaia di persone!
• Organizzate e/o create (o partecipate a) spazi di co-working, provate a dare vita a piccole “officine artigiane” per fornire risposte alle tante esigenze oggi senza risposta, esplorate il mondo del lavoro nei campi, provate a “catturare” la domanda esistente di servizi e mettetevi in gioco con le vostre competenze per fornire risposte gestendo voi, in proprio, la vostra attività. Sì, ci vogliono mente aperta, creatività e determinazione. E, sì, forse non è per tutti, ma badate che potreste scoprire in voi un pozzo di risorse inesplorate.
• Interessatevi a come vengono spesi dalle amministrazioni locali le vostre tasse e iniziate a organizzare campagne di sensibilizzazione e pressione per censurare scelte negative per l’ambiente, la salute e il benessere ed esigere investimenti in ciò che veramente può avere effetti positivi. I “rompiscatole” a fin di bene sono una splendida “invenzione sociale” che purtroppo è stata dimenticata e/o messa da parte!
• Avviate e/o organizzate (o partecipate a) gruppi in grado di proporre momenti musicali, artistici, teatrali autogestiti, persino biblioteche, da condividere in piccoli gruppi o con le reti di vicinato. È un modo splendido per fare conoscenza, condividere bellezza, risollevarsi lo spirito e comprendere che la vita si nutre anche di cose semplici auto-organizzate.
• Tessete relazioni, conoscete il vicinato, sorridete, sgombrate il campo da pettegolezzi o diffidenze, fate il primo passo, non irrigiditevi di fronte alle rigidità altrui ma cercate di scioglierle, portate fiducia e smuovete l’aria dove cala la pesantezza. Sarete medicina per voi e per gli altri.
• Esiste anche la possibilità di cercare altre famiglie o persone per avviare progetti di co-abitazione, a vari livelli di impegno, dal co-housing al vero e proprio ecovillaggio. In questo può aiutare sondare e conoscere le esperienze che nel nostro paese sono raccolte nella Rive, la Rete italiana degli ecovillaggi.
Contatti utili: la Rete italiana degli ecovillaggi ha un proprio sito – www. ecovillaggi.it – dove potete trovare informazioni e contatti; cercate nella vostra zona gli spazi attivi di coworking e coliving, si possono sempre tessere relazioni utili.
1/Continua

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