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Fare pace sul lavoro

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Quasi tutti hanno momenti di tensione e liti sul luogo di lavoro e questo genera stati d’animo negativi e sofferenze che si trascinano. Ma c’è il modo di uscirne, di ritrovare la pace e l’equilibrio. A spiegarlo è il monaco zen Thich Nhat Hanh.
Alzi la mano chi non ha mai avuto un momento di tensione o un litigio sul luogo di lavoro! Magari più d’uno. Stando alle statistiche, gli italiani così fortunati sono veramente pochi e questo perché la gestione costruttiva dei conflitti e della conflittualità non è affatto scontata negli ambienti di lavoro, dove spesso ci sono persone che alimentano proprio quello stress che invece tante altre vorrebbero evitare. Ebbene: che fare? Mai disperare, questo è certo. «Qualunque sia il tuo lavoro, puoi fare molto per aiutare gli altri e creare un ambiente felice, un luogo dove lavorare con gioia e in armonia, senza stress e tensioni» dice Thich Nhat Hanh, il monaco zen vietnamita che ha vissuto 39 anni di esilio dalla sua terra, fondatore del Plum Village in Francia. Ed è così, animato da questa convinzione, che ha scritto una sorta di vademecum che “cattura e rilascia” l’energia della presenza mentale, necessaria secondo Thich Nhat Hanh per mantenere un baricentro che consenta non solo di non subire le tensioni ma anche di alleggerirne i colleghi. Nel libro “L’arte di lavorare in consapevolezza” ci si ritrova, ci si riconosce nei mille ostacoli e problemi quotidiani, ma soprattutto si intravede la via d’uscita.
Le tre fasi
I momenti vanno vissuti a fondo con presenza e lucidità nelle tre fasi ideali della giornata che per tanti di noi ruotano intorno alle ore trascorse al lavoro: i momenti prima di recarsi sul luogo di lavoro, il tempo trascorso durante il lavoro e il ritorno a casa. Tre sono anche i poteri che possono costruire un modo nuovo di lavorare: la comprensione, l’amore e il lasciar andare. Poi Thich Nhat Hanh indica i cinque “addestramenti” alla consapevolezza: il vero amore; l’ascolto profondo e la parola amorevole; il nutrimento e la guarigione. Per poi giungere alla conclusione che c’è per tutti e per tutto un risveglio collettivo, una prospettiva che conforta e sostiene. Ma andiamo per ordine ed esaminiamo le tre fasi che consentono di tessere la rete del quotidiano. «Al risveglio è bene ringraziare per il dono che della vita, un’altra giornata per noi – spiega Thich Nath Hanh – poi occorre chiarire a noi stessi come vogliamo vivere questo tempo. Se nel profondo desideriamo portare gioia al mondo e aiutare gli altri a soffrire di meno, quello è un genere di nutrimento sano che ci darà molta energia. Se il nostro desiderio più profondo è vendicarci, uccidere o distruggere, allora si tratta di un veleno che farà soffrire molto noi stessi e gli altri». L’inizio è già un segno e arriva poi l’esortazione ad assaporare le piccole cose, vestirsi, lavarsi i denti, fare colazione, lo sguardo all’intorno quando si esce di casa. Ma le cose non vanno sempre lisce: «Magari sei riuscito a iniziare benissimo la mattinata, rilassato e consapevole, ma appena ti avvii al lavoro dimentichi tutto quanto» prosegue il monaco zen. «Allora non lottare, accetta, mettiti comodo e sorridi a te stesso. Riconosci di essere vivo e che il momento presente è l’unico attimo di vita che hai a disposizione: non sprecarlo».
Poi si arriva al lavoro e inizia la seconda fase. «Possiamo trovare il modo di lavorare trovando occasioni di gioia, senza bloccarci nell’abitudine di patire lo stress o la pressione. Quando pratichiamo la presenza mentale possiamo praticare la gioia di lavorare. Se in ogni cosa che facciamo mettiamo per intero il cuore e la mente, ci apriamo alla possibilità di provare libertà e gioia facendolo». E quando subentrano le tensioni «bastano alcuni respiri fatti in presenza mentale per diventare liberi, per rilassarsi e rilasciare le tensioni nel corpo e nella mente. La pratica della presenza mentale consiste proprio nell’essere pienamente consapevoli del respiro. Ci permette di vedere a fondo quello che c’è qui e ora e di entrare in contatto con le meraviglie della vita, così da essere sufficientemente forti e lucidi per gestire le situazioni difficili che incontriamo al lavoro». Per tutto Thich Nhat Hanh esorta a non abbandonare mai la consapevolezza: nel respiro, nel sedersi, nel camminare, nel mangiare e nel rispondere al telefono, ritagliandosi però uno spazio per il rilassamento concentrandosi su se stessi e ogni parte del proprio corpo, fosse anche solo per pochi minuti. «Ogni persona ha difficoltà e sofferenze personali che porta con sé al lavoro. Quando si arriva al lavoro pronti, felici, sereni e in pace con se stessi, si aiutano i colleghi a sentirsi allo stesso modo. Ci si prende cura di qualcosa di più della semplice qualità del lavoro o della prestazione professionale. A volte non ci sentiamo accettati o abbiamo paura del rifiuto; non ci sentiamo al sicuro né sicuri. Ma occorre che impariamo ad accettarci per quelli che siamo. L’intero universo ha concorso a farci manifestare in questo modo; siamo bellissimi come siamo».
Ci sono momenti in cui, continua Thich Nhat Hanh, «ci sembra di fallire in ogni cosa che tentiamo di fare; cerchiamo di dire o fare qualcosa per migliorare la situazione ma non funziona. Quello è il momento per tornare al nostro eremo e chiudere tutte le porte e le finestre. Torna “a casa” a te stesso tramite il respiro consapevole e riconosci le sensazioni che hai dentro. Forse in te ci sono sensazioni di rabbia, di paura, di ansia o disperazione; qualunque sensazione ci sia, riconoscila e abbracciala con grande tenerezza. La rabbia che provi è il tuo bambino; la disperazione che provi è il tuo bambino. Il tuo bambino ha bisogno che tu vada a casa e te ne prenda cura. Va subito a casa, nel tuo eremo, nell’isola del sé e prenditi cura del tuo bambino. L’energia della presenza mentale è la madre; con quell’energia puoi tenere fra le braccia il tuo bambino».
Gestire le emozioni
«È molto importante imparare a gestire le emozioni forti che proviamo sul luogo di lavoro per mantenere buoni rapporti con gli altri, per mantenere aperta la comunicazione e per non creare un’atmosfera di lavoro negativa o opprimente» dice ancora il monaco vietnamita. «Esistono pratiche che ci aiutano a gestire le nostre emozioni forti; occorre che le impariamo nei momenti tranquilli, prima che sorgano tali emozioni, così quando sarà il momento sapremo che cosa fare. La prima pratica consiste nel rendersi conto che tutte le emozioni sono impermanenti: sorgono, rimangono per un po’ e poi passano. Quando arrivano dobbiamo fermarci subito e tornare al respiro, praticando la respirazione addominale profonda. Questa è la seconda pratica. Occorre distogliere immediatamente l’attenzione dalla persona, dalla cosa o situazione che si crede essere la causa della rabbia o della frustrazione e tornare al proprio corpo, seguendo l’inspirazione e l’espirazione. Se ci si arrabbia, non bisogna fare nè dire nulla; si esce immediatamente e si pratica la meditazione camminata e il respiro in consapevolezza. Fermiamo ogni attività di pensiero e concentriamoci solo sui passi e sul respiro. Poco a poco le emozioni si calmeranno. Quando sorge la rabbia, occorre praticare la consapevolezza del respiro, espirando ci si prende cura della rabbia stessa. Così facendo non saremo reattiva, non saremo tentati di dire o fare qualcosa subito alla persona con cui ci si è arrabbiati. Dire o fare qualcosa sotto l’influsso della rabbia avrà solo un effetto distruttivo: meglio non dire nulla, non reagire. Limitiamoci a continuare la pratica della consapevolezza del respiro e dei passi».
Si torna a casa
«Spesso, quando torniamo a casa dal lavoro, siamo carichi dello stress e delle tensioni della giornata. Il nostro corpo soffre perché l’abbiamo sfruttato troppo: non ce ne siamo presi abbastanza cura» prosegue Thich Nhat Hanh. Allora, ci esorta, «quando torniamo a casa concediamoci il tempo di arrivare e di essere pienamente presente a noi stessi e per le persone che abbiamo intorno». «Se lavoriamo molto e ci sentiamo stressati, probabilmente in noi c’è una mancanza di comunicazione tra corpo e mente. Forse il corpo e la coscienza stanno cercando da molto tempo di dirci qualcosa ma siamo stati troppo occupati per ascoltare davvero. Il primo passo che dobbiamo fare tutti quando vogliamo tornare a casa, è portare l’attenzione a noi stessi e prendere nota di quello che succede nelle emozioni e nel corpo. Il corpo è la nostra prima casa; non ci possiamo sentire a casa nel mondo esterno se non ci sentiamo a casa in noi stessi. E quando in famiglia c’è sufficiente consapevolezza, trasformazione e gioia, sia noi che i nostri familiari diventiamo una fonte di forza e di sostegno per la comunità più ampia».
I tre poteri
Abbiamo poi la possibilità di pensare e agire in maniera efficace acquisendo consapevolezza dei poteri che abbiamo. Il primo è la comprensione: «Dovremmo saper coltivare il potere di capire la nostra sofferenza personale e quella degli altri. Questo genere di comprensione porterà con sé la compassione, che ci farà soffrire di meno. Quando comprendiamo, non siamo più arrabbiati e non vogliamo più punire nessuno. La comprensione è un grande potere: dà origine alla compassione». Poi l’amore: «Il potere dell’amore è come il fiume: se il nostro cuore diventa più grande, avrà spazio per tutti. Quando il nostro cuore è pieno d’amore, le piccole irritazioni diventano come la manciata di sale nel fiume: non ci danno fastidio e non soffriamo più». Il terzo è il lasciar andare: «Il terzo potere consiste nel sapersi distaccare dalle afflizioni come l’avidità, la rabbia, la paura e la disperazione e lasciarle andare. Quando si ha il potere di recidere tutti questi tipi di afflizione, si diventa persone libere e non c’è potere più grande: da persona libera si possono aiutare tantissime persone a soffrire di meno».
Trovare un equilibrio e una propria felicità sul luogo di lavoro non è dunque solo una conquista fine a se stessa, ma un elemento in un contesto ampio quanto il mondo. E Thich Nhat Hanh lo spiega chiaramente: «Qualunque lavoro tu faccia, la presenza mentale può aiutarti a seguire il cammino che porta al retto sostentamento e a una vita in cui ci sono più gioia, felicità, compassione e comprensione. Se lavoriamo in modo da incoraggiare questo tipo di pensiero e di azione potremo avere un futuro – noi, i nostri figli, i loro figli e l’intero pianeta».

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