Si è aperta la caccia ai colpevoli per il fallimento e il seguente salvataggio di CariFerrara, Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti. E una cosa è ormai chiara: questa finanza, oltre a non essere etica, è una bomba innescata. Ma Finance Watch si muove…
Una cosa è ormai chiara, come spiega anche
Andrea Baranes della campagna
“Non con i miei soldi”: «Non è possibile, al continuo ripetersi di ogni problema, scandalo, truffa, fallimento, salvataggio o disastro finanziario continuare a parlare delle proverbiali poche mele marce, concentrarsi sul caso singolo perdendo di vista il quadro generale. È l’intero sistema finanziario a essere autoreferenziale, ipertrofico e intrinsecamente instabile. Solo uno dei paradossi attuali. I manuali di economia spiegano che le banche lavorano con i risparmi depositati dai clienti, e sono vigilate da un ente di controllo, solitamente la banca centrale. Oggi la situazione è diametralmente opposta».
Dall’1 gennaio 2016 entrerà in vigore anche in Italia la nuova normativa europea che prevede il bail-in: in caso di crisi, le risorse dovranno arrivare dall’interno della stessa banca: prima gli azionisti, poi i detentori di obbligazioni, e in ultimo eventualmente da chi ha un conto corrente con più di 100.000 euro. «Ma ancora prima che le nuove regole entrino in vigore – dice Baranes – il governo decide di intervenire con un consiglio dei ministri domenicale che vara in tutta fretta un decreto secondo il quale è invece il sistema bancario italiano nel suo insieme a doversi fare carico del salvataggio dei quattro istituti oggi in difficoltà. Un intervento di emergenza dopo mesi di scambi di opinioni, mezze frasi e mezze interpretazioni dell’Unione. Con il decreto “salva-banche” si decide di attingere al fondo di risoluzione, un fondo che dovrebbe servire per le banche cosiddette “sistemiche”, ovvero quelle di maggiore dimensione che rischiano di contagiare l’intero sistema in caso di fallimento. Le quattro banche in difficoltà molto probabilmente non sono “sistemiche” e quindi non dovrebbero accedere a questo particolare meccanismo di salvataggio. Tutto al condizionale, perché tra l’altro il fondo di risoluzione è ancora in costituzione ai sensi di una Direttiva europea che ancora non è in vigore in Italia. Non solo. Si chiede di colpo alle banche di versare in questo fondo molto di più di quanto era stato già previsto e comunicato. Ciliegina sulla torta: anche le banche di piccole dimensioni, “non sistemiche” e che non potranno quindi accedere al fondo di risoluzione, sono però chiamate ad alimentarlo, con contributi variabili e imprevedibili, per intervenire da subito con una normativa che verrà recepita in Italia dall’1 gennaio del 2016. A Banca Etica era stato richiesto un contributo al fondo di risoluzione di 130.000 euro sia per il 2015 sia per il 2016. Ogni euro in meno significa 12 euro in meno di credito erogabile alla clientela. In parole povere, c’è una cinghia di trasmissione diretta tra il decreto salva-banche e la possibilità di Banca Etica di erogare più credito al sistema economico di riferimento, al terzo settore, alle rinnovabili, al commercio equo. Una situazione kafkiana, in cui viene penalizzata la finanza etica».
E POI, Che fine ha fatto la separazione tra banche commerciali e di investimento, che limiterebbe drasticamente la necessità di salvataggi? Dov’è l’Europa sulla regolamentazione del sistema bancario ombra o sui derivati?
ORA Finance Watch ha riunito diverse organizzazioni della società civile europea ed esperti di finanza per provare a mettere in piedi un ragionamento:posto che questa finanza non funziona, cosa faremmo se fossimo noi a scrivere le regole del gioco?Cosa si aspetta la società dal settore finanziario? Una volta definiti i compiti e gli obiettivi, come misurare se e quanto l’attuale finanza li svolge o meno? E in caso negativo, in quale direzione dobbiamo cambiare e quale modello vogliamo costruire?
Sono questi i punti di partenza delDashboard of financeo “cruscotto della finanza”, il progetto presentato in questi giorni. Come dice il nome, al centro del progetto c’è l’idea di un vero e proprio cruscotto, come quello delle automobili che misura la velocità o il livello della benzina. In questo caso sono stati presi in considerazione decine di indicatori, riuniti in sei categorie: potere e influenza; investire e non scommettere; stabilità e dimensione; ambiente e sostenibilità; lavoro e benessere; fiducia e trasparenza.
Una primissima versione del sito è già online ed è possibile vedere quali sono i primi cinque criteri adottati, anche se il progetto si svilupperà nei prossimi 18 mesi, rivedendo e affinando gli indicatori e le misurazioni, e cercando di coinvolgere sempre più esperti, organizzazioni e reti interessate a fornire un contributo sia di idee e opinioni sia dal punto di vista economico per sostenere e rafforzare il progetto. La Fondazione Culturale è tra le prime realtà ad avere aderito al progetto, che potrebbe essere uno strumento di grande importanza tanto per i decisori politici, quanto per il pubblico in generale, quanto per lo stesso sistema bancario e finanziario