Gli schiavi dell’industria asiatica
homepage h2
“Si è portati comunemente a credere che lo sfruttamento dei lavoratori nell’industria dell’abbigliamento sia un problema più acutamente avvertito in Asia dove sono ben documentati casi caratterizzati da livelli salariali da povertà, condizioni di lavoro pericolose e lavoro straordinario obbligatorio. Tuttavia, come dimostra la nostra indagine, questi problemi sono un fattore endemico in tutti i paesi produttori, e persino all’interno dell’Unione Europea si possono osservare, nei paesi che producono gli indumenti che acquistiamo in negozi prestigiosi, livelli retributivi miserrimi e condizioni di vita spaventose”.
“Il rapporto – che trovate in versione integrale nel Pdf allegato) – esamina i livelli salariali e le condizioni di vita in dieci paesi ed evidenzia il ruolo di retroterra produttivo a basso costo dei paesi ex-socialisti per i marchi della moda e i distributori dell’Europa Occidentale. La Turchia, uno dei giganti mondiali del settore, attinge invece al bacino della regione dell’Anatolia Orientale. Gli imprenditori turchi affidano inoltre lavorazioni ad aziende terze in una vasta area geografica che si estende fino al Nord Africa e al Caucaso meridionale. Uno dei cinque obiettivi prioritari del programma “Europa 2020, strategia per una crescita intelligente, sostenibile e solidale” è la riduzione della povertà per consentire ad una quota di popolazione di almeno 20 milioni di persone di uscire dal rischio di povertà o di esclusione sociale entro il 2020. La corresponsione di retribuzioni ad un livello dignitoso nel settore produttivo dell’abbigliamento e calzature rappresenta una misura molto concreta, potenzialmente capace di raggiungere un gran numero di persone e di migliorare in modo decisivo le loro condizioni di vita”.