Un libro di Claudio Muto che si propone, attraverso la narrazione della storia romanzata del protagonista, di abbattere le retoriche sulla cosiddetta economia della solidarietà. Uno sguardo critico verso le politiche e la gestione dei servizi del Terzo settore, ormai lontano dai valori originari.
Terzo Settore: una realtà completamente diversa da quella proposta dalle immagini romantiche degli operatori e degli enti, che appartengono alla ormai lontana fase pionieristica, a venti o trenta anni fa.
Il Terzo Settore è, nonostante la crisi, una ciclopica economia nazionale e internazionale, con centinaia di migliaia di addetti, milioni di volontari e utenti, bilanci e flussi di risorse da capogiro. L’esperienza qui raccontata mette in mostra le spregiudicatezze degli operatori, la ferocia e l’implacabilità degli apparati organizzativi e delle burocrazie aziendali, l’inefficienza e lo squallore dei servizi, la debolezza e l’impotenza dei pochi savi.
I personaggi positivi che emergono, con tutti i loro limiti e le loro scarse solidità, non sanno proporre riferimenti culturali e pratiche sociali alternative, ma sembrano piuttosto definitivi nella loro critica radicale di ciò che oggi il Terzo Settore, guardato con i loro occhi, sembra essere diventato. Perciò le loro storie possono essere di stimolo per una riflessione più ampia, che coinvolga tutti nella ricerca di nuove pratiche sociali.
Il libro I pappataci del sociale – Una storia nel Terzo Settore giunge a compimento nel marzo 2011, dopo alcuni mesi, da ottobre dell’anno precedente, d’intensa scrittura. L’idea concreta nasce qualche settimana prima di cominciare ad imbracciare la penna, a settembre, durante le mie vacanze calabresi nei paesi della solidarietà ai migranti. L’intenzione di scrivere del sociale, invece, c’era già da molto tempo, ossia da almeno un anno.
La giusta scintilla, per accendere la miccia delle polveri narrative, me la diede una lettura estiva: Le mosche del capitale, di Paolo Volponi. Dopo aver letto quel testo, non potevo più aspettare, non potevo più rimandare il tentativo di scrivere qualcosa sul terzo settore, e sul sociale in particolare.
E se ho scritto sul sociale, e se ho scritto in un determinato modo, lo devo appunto a questo autore; irraggiungibile ma trainante.
Le vicende raccontate colgono il protagonista, Moreno Cardillo, nel pieno della sua modesta carriera nella cooperazione sociale, con ruoli di responsabile in piccoli servizi animativi ed educativi. Immerso in una città ferita e velenosa, e in un contesto generale di decadimento e di imbarbarimento, Moreno nutrirà mediocri ambizioni di affermazione personale, in bilico tra la collusione con il dominio, del Consiglio d’Amministrazione e del Mega Consorzio, e l’arroganza di battersi con esso con i suoi stessi strumenti e sul suo stesso terreno.
L’inevitabile sconfitta, accompagnata da un alleato esercito di perdenti, di emarginati, di delusi, si compie a strattoni, a singhiozzi, in diversi round di intensità e di potenza. La disfatta, quasi casuale e senza importanza, dei personaggi coincide con il fallimento dell’economia della solidarietà che, come il protagonista, ha una perversione bipolare, tra la cooptazione politica e la mercificazione del suo capitale; coincide con la disumanizzazione della metropoli, popolata di mostri giganteschi, negromanti, creature ultraterrene, cose inanimate; coincide con quella che sembra anche la sconfitta del Novecento, o meglio di tutto ciò che quel secolo rappresenta.
Non è completamente una storia negativa. Tra le righe si può intravvedere ancora un sottilissimo filo di speranza, si può scovare ancora una possibilità per cambiare rotta, si può rimediare ancora un cerino con cui farsi luce nel nero tunnel. Anche il protagonista, sconfitto, amareggiato, disilluso, va incontro ad una sorta di boaliana catarsi attiva: ha sbagliato molte cose, è stato complice e strumento del potere, ha desiderato innalzarsi sopra gli altri; ma ha fatto esperienza. La sua caduta è forse la sua fortuna, perché altrimenti sarebbe diventato uno di loro e, prima o poi, avrebbe preso il posto di uno dei suoi oppressori.
Il libro è dedicato a tutti gli operatori sociali che si sono davvero impegnati ad aiutare chi è in difficoltà e a cambiare anche se stessi, condizione necessaria per essere utili agli altri.
Operatori rari, sia chiaro, molto rari.
Claudio Muto
I pappataci del sociale
Sensibili alle foglie, 2013
144 pagine
Collana Ospiti 95