Si chiamano “Avanzi Popolo 2.0”, un nome e un programma, è proprio il caso di dirlo. L’obiettivo? La condivisione del cibo come scelta concreta e come primo passo per la costruzione di reti a contrasto della povertà.
A raccontarci cos’è e come funziona “Avanzi Popolo 2.0” è Antonio Scotti, uno dei quattro ideatori del gruppo.
Antonio, spiegaci cos’è Avanzi Popolo 2.0?
Avanzi Popolo 2.0 rappresenta l’evoluzione concreta di una sperimentazione avviata l’anno scorso sul territorio di Bari e provincia, grazie al finanziamento di un bando regionale che sosteneva nuove pratiche di innovazione sociale. L’entusiasmo generato dai risultati positivi di questo progetto ci ha portato alla costituzione di una associazione di promozione sociale onlus (Farina 080) che avrà il compito di proseguire nel solco del lavoro svolto, lavorando in particolare sulla dimensione del foodsharing e della costruzione di reti di contrasto alla povertà, collegando pertanto i luoghi del bisogno con quelli dello spreco.
Che tipo di attività di lotta allo spreco state svolgendo?
Ne abbiamo svolte diverse. Ma con un approccio nuovo. Lavorando per un anno ci siamo accorti di come nella nostra città le realtà che operano per la donazione di alimenti spesso non si conoscano tra di loro. Ciò è di sicuro un grande problema, perché impegna più persone per azioni che potrebbero non solo essere ottimizzate in termini di tempo, ma anche più produttive rispetto al bacino di persone che vogliono servire. Senza dimenticare il problema dei vari colli di bottiglia organizzativi che finiscono per accentrare su pochi soggetti una responsabilità organizzativa sempre più grande.
Uno stile diverso quindi? E come avete dato seguito all’idea?
Faccio un esempio concreto ed emblematico. Proprio alcune settimane fa una coppia di sposi ci ha chiesto se potevamo aiutarli nella redistribuzione degli avanzi di cibo del loro banchetto. La festa si sarebbe celebrata in una città a circa 20 chilometri da Bari, con problemi quindi legati alla gestione degli alimenti trasformati. Così siamo entrati in contatto con una comunità che si occupa di minori abbandonati nella stessa città della sala ricevimenti. Abbiamo organizzato un incontro tra il ristoratore e il responsabile della comunità che non solo ha portato al salvataggio completo degli alimenti avanzati, ma anche alla sottoscrizione di un accordo per gestire altre eccedenze di cibo a seguito di ricevimenti e banchetti.
La comunità quindi sta rispondendo?
Si, molto bene. Tanto che aumentano le richieste di collaborazione a cui cerchiamo di rispondere proprio con un approccio che non polarizza le responsabilità gestionali ma individua un metodo di collaborazione diffuso e più sostenibile. Di recente ci siamo impegnati in una forma inedita di attivazione, almeno su Bari. Il responsabile di una Cooperativa Sociale ci ha offerto di venire a raccogliere il surplus di pomodori da insalata del loro orto urbano. Pomodori che entro 72 ore dovevano essere sia raccolti che distribuiti. Abbiamo lanciato una chiamata a raccolta attraverso la nostra pagina Facebook, chiedendo anche la collaborazione del Banco Alimentare cittadino. E’ accaduto che abbiamo raccolto oltre due quintali di pomodori rossi con la collaborazione di una parrocchia del quartiere che non sapeva della conoscenza di questo orto e che probabilmente presto organizzerà incontri formativi sul tema dell’alimentazione responsabile. I pomodori sono stati distribuiti il giorno dopo ad un gruppo di famiglie bisognose della città.
Una forma innovativa di foodsharing, quindi?
In questo caso abbiamo condiviso non solo i pomodori, che altrimenti non sarebbero stati raccolti, ma anche il tempo e la voglia di impegnarci per una causa sociale. Sul foodsharing in senso classico c’è un interesse notevole da parte di diverse persone che ci chiedono come funziona e cosa occorre fare. Abbiamo già registrato decine di scambi, ma non nascondiamo alcune difficoltà a replicare la pratica così come avviene in Germania o in altri Paesi di Europa: c’è da avviare un lavoro culturale verso un’ attività inedita che implica l’adozione di un grado di fiducia molto alto. E’ un lavoro di semina che registra giorno dopo giorno curiosità e partecipazione.
Cosa vi proponete di fare attraverso il foodsharing?
Ribaltare la logica donatore–beneficiario e costruire uno strumento che consenta alle persone, indipendentemente dalla propria condizione di reddito, di condividere il cibo in eccesso o a ridosso della scadenza. Una bottiglia di latte prossima alla scadenza e che non sarà consumata è più facile condividerla con il proprio vicino o con qualcuno interessata a non sprecarla. Non entra in gioco la possibilità di acquisto dei singoli, ma la necessità di contrastare lo spreco che ha dei costi ben maggiori della singola bottiglia di latte. Si tratta di una forma quindi di economia collaborativa, in cui le persone costruiscono relazioni e creano valore e forme di scambio e dono.
Che tipo di alimenti hanno scambiato gli utenti della vostra piattaforma?
Sul sito
www.avanzipopolo.it esiste una dispensa telematica dove chiunque può accendervi semplicemente registrandosi. Prendiamo in considerazione solo cibo non trasformato e non scaduto. C’è chi ha donato una colomba pasquale, chi ha ritirato una mezza forma di pecorino perché sapeva di consumarlo tutto. Oppure un genitore che ha messo a disposizione gli omogeneizzati che suo figlio non avrebbe potuto più consumare. Ci sono diversi esempi che ci inducono a pensare che esiste una sensibilità che merita di essere coltivata. Sappiamo che è complesso, ma a Bari ci vogliamo provare e i primi risultati sono incoraggianti.