Mezzo secolo, un anniversario molto importante sia per la comunità toscana che ne è protagonista, sia per la comunità teatrale internazionale considerando che il
Teatro Povero di Monticchiello è fra le più longeve esperienze di teatro di ricerca italiane. Semplice e strabiliante è quello che accade dal 1967, in questo borgo medievale della Val d’Orcia (Patrimonio UNESCO):un intero paese affronta la vita con il Teatro. Ogni estate va in scena uno spettacolo che è ideato, scritto e recitato dai suoi abitanti, che riflettono su loro stessi e sul mondo. Il momento dell’incontro col pubblico è il tentativo di creare un senso condiviso delle trasformazioni in corso, delle nuove sfide, riavvolgendo ogni volta quel filo rosso che riporta alle origini culturali, sociali e umane di quest’esperienza. Tutto iniziò “dal basso”, in un piccolo centro senza un teatro, senza alcun grande regista o esperto a guidare il progetto e accaddementre nel resto del mondo fervevano esperienze teatrali che dell’abbattimento del confine tra palcoscenico e vita avevano fatto il centro dell’indagine.
Il titolo di quest’anno racconta di una denuncia mai abbandonata, delle crescenti difficoltà per la sopravvivenza laddove il costante riferimento ai “numeri” ha segnato e segna un crescente abbandono del valore “umano” di chi vive realtà considerate insignificanti. E’ della scorsa estate la minaccia, per ora scampata, di chiusura dell’ufficio postale del paese ad esempio, presidio concretamente e simbolicamente fondamentale per un borgo dove, non essendoci una banca, la posta rappresenta la possibilità di vivere in un luogo o doverlo abbandonare. Il filo conduttore dello spettacolo numero 50 si snoda e si sviluppa intorno al tema di un “assedio”: siamo o non siamo sotto assedio? Sono i monticchiellesi ad essere assediati o lo sono gli altri? Chi vive difendendo pur con fatica uno stile di vita più a misura d’uomo o coloro che abitano posti in cui non mancano i servizi ma pensati per massimizzare il profitto invece che il benessere? “Assedio” inteso allora solo apparentemente come assedio tradizionale, con un esercito fuori dalle mura e un popolo dentro le mura poiché il riferimento è alla complicata situazione che stiamo vivendo, all’impossibilità di vedere con chiarezza quello che accade fuori, a valutare gli accadimenti senza paura. Si può anche ritenere, poi, che non ci sia un nemico e quindi nessun assedio e allora la percezione di un pericolo imminente trasforma la narrazione in visione dove la paura diventa l’unica entità da combattere. E intanto nella piazza di Monticchiello le maestranze del Teatro Povero – che quest’anno vedono la presenza anche dei tre profughi del Gambia, ospiti del paese dal novembre scorso – allestiscono ogni estate quella che è una macchina teatrale e scenografica assieme, in dialogo con le pietre e le facciate delle case, con gli alti statuari cipressi, le slanciate mura duecentesche della chiesa. Un’atmosfera dalla cui forza materica, prende vita uno spettacolo ora realistico, ora onirico e animato da un coro di voci popolari.La scelta, lo strumento per resistere fu ed è ancora il teatro.
Per la speciale occasione, durante tutto il periodo delle repliche, è prevista per le vie, le piazze e gli spazi del Teatro Povero un’esposizione fotografica che ne ripercorre la storia. Ad ottobre, inoltre (date e dettagli in via di definizione) è in programma un convegno che approfondirà la storia di questa straordinaria esperienza guardando anche al suo futuro.
Appuntamento tradizionale, prima o dopo lo spettacolo anche quello con la Taverna di Bronzone, lo “storico” ristorante gestito dal Teatro Povero che offre la migliore tradizione culinaria locale, con piatti a chilometro zero tra cui i famosi “pici”, la pasta fatta a mano più conosciuta della Val d’Orcia. La Taverna sarà aperta a pranzo e a cena per tutto il corso delle repliche. Il Teatro Povero di Monticchiello ha il sostegno della Regione Toscana e l’attenzione del Comune di Pienza di cui è frazione.
APPROFONDIMENTI
Ogni anno, a gennaio, a Monticchiello, iniziano le assemblee pubbliche per stabilire il tema più urgente per la comunità da cui nasce il soggetto del nuovo spettacolo del Teatro Povero e da cui poi viene tratto il copione, curato da Andrea Cresti, che guida anche le prove con la compagnia, che durano di solito da aprile al debutto di luglio.“Autodramma” lo definì con un’intuizione luminosa Giorgio Streheler, concetto che nulla ha a che vedere con “psicodramma” essendo qui esercitata una funzione costantemente critica e non legata all’espressione dell’inconscio.
La genesi e l’esito di questo processo creativo hanno il merito di attirare sia addetti ai lavori e studiosi che un pubblico ampio (circa 4000 sono le presenze medie delle ultime edizioni), in tanti casi forse neanche abituale frequentatore di sale. Un’esperienza trasversale perché sincera, poetica e culturalmente rilevante, originata da una necessità e veicolata da una precisa linea artistica. Un percorso che riunisce da 50 anni palcoscenico e platea: sono in molti, infatti, fra interpreti e spettatori a non aver mancato neanche un’edizione di questo vero e propriorito di drammaturgia partecipata che, anno dopo anno, ha tracciato quella che può anche essere considerata un’unica lunga, originale, coerente storia, idealmente divisa, ad oggi, in cinquanta capitoli composti dell’intreccio fra la vita del borgo e il contesto sociale, politico e culturale nazionale. Si racconta della crisi della mezzadria degli anni‘60 e ‘70,della mercificazione dei valori degli anni’80 e ’90, del boom turistico degli anni 2000, della Val d’Orcia e la conseguente paura per Monticchiello di diventare “un museo vivente”, delle difficoltà di coinvolgere le nuove generazioni nel Teatro Povero, della crisi prima ancora che economica, politica e culturale, degli ultimi anni. Come in un’unica storia i personaggi/abitanti sono sempre gli stessi (molti di loro sono infatti ultraottantenni) e spesso interpretano loro stessi, finendo così per diventare quasi delle“maschere”. Il Teatro Povero di Monticchiello è restato vivo tutti questi anni, senza sclerotizzazioni, perché è ontologico il suo mettersi ogni anno in discussione, ragionando sul contemporaneo e sul futuro (arrivando ad essere talvolta profetico tanta è stata la precisione dell’analisi) tenendo, allo stesso tempo, le radici saldamente ancorate alla memoria di questo borgo e del “paese Italia”. E’ riuscito a farsi “specchio” di vicende e sentimenti comuni, in cui chi guarda, qualunque sia la sua provenienza, può riconoscersi. Il centro della ricerca è sempre l’identità, la difesa dei valori e in questo senso Monticchiello, con i suoi 200 abitanti circa è un osservatorio privilegiato essendo allo stesso tempo “nel mondo” e “fuori dal mondo”.
Il Teatro a Monticchiello non si esaurisce con l’appuntamento estivo che è l’esito di un’intera vita incentrata sul teatro durante tutto il corso dell’anno, non solo e non tanto perché esiste una piccola sala teatrale al chiuso dove nei mesi invernali si svolgono attività laboratoriali e spettacoli, ma perché il Teatro ha portato alla nascita di una cooperativa (la Compagnia Popolare del Teatro Povero di Monticchiello, nata nel 1980) con una sede, “il Granaio”, che è luogo nevralgico per le esigenze degli abitanti: servizi sociali, sostegno alla comunità, attività di inclusione, integrazione e formazione. In altre parole significa che lì arrivano i giornali, lì vengono ordinate e ritiratele medicine non essendoci una farmacia, lì c’è internet, lì vengono riparati all’occorrenza gli elettrodomestici di chi ne ha bisogno, lì vengono accolti i turisti che arrivano da tutte le parti del mondo e molto altro. Ma soprattutto, il Teatro vive a Monticchiello tutto l’anno perché gli spettacoli restituiscono in larga misura le dinamiche della comunità del borgo e questa poetica, per sua stessa conformazione, si autoalimenta giorno dopo giorno, anche quando formalmente non ci si sta dedicando alla preparazione del nuovo autodramma.
Il successo dell’”esperienza Teatro Povero di Monticchiello”, come osservato nelle motivazioni dei premi Hystrio ed Ubu ricevuti nel 2011, non è solo artistica ma anche in termini di “economia culturale”. Gli spettatori di questi quarantanove anni, provenienti da tutti i continenti, dimostrano una notevole capacità di “fare cassa”. Una sala che è spesso da “tutto esaurito”, fatto non comune in ambito teatrale di questi tempi, è diventata da dieci anni a questa parte anche un’esigenza stringente del Teatro Povero prodotto quasi completamente da lavoro su base volontaria ma afflitto dalla drastica diminuzione di finanziamenti pubblici e privati. Il risultato è garantito anche dal contributo di una notevole eco mediatica avviata dall’impronta decisa di Mario Guidotti, figura chiave del Teatro Povero, originario di Montepulciano, giornalista e saggista, capo ufficio stampa della Camera dei deputati, che dal 1969 scrisse per un decennio tutti i copioni e che grazie ad una grande lungimiranza intravide da subito le potenzialità anche di attrazione di questa macchina teatrale. Con lui, se si pensa alla storia vanno citati anche Don Vasco Neri, il parroco di Monticchiello che aiutò i primi passi del Teatro Povero mettendo a disposizione la cripta della Chiesa e la sua non comune cultura e Arnaldo Della Giovampaola, geometra di Pienza, appassionato di teatro che ha curato la regia dalle origini a tutti gli anni’70, che ha aiutato la gente di Monticchiello a sviluppare l’arte della recitazione e che per primo offrì risposte originali ai problemi posti dalla messinscena nelle piazze del borgo.