Terra Nuova ha da tempo ben chiara la necessità di questo cambio di paradigma. Insieme ad un
tavolo tecnico composto dai rappresentanti delle realtà che in Italia danno voce alla “scuola che cambia”, è partita la
mappatura delle esperienze. Ancor prima l’esigenza di informare sulle alternativa ad una istruzione istituzionale sempre più rigida aveva visto la pubblicazione del libro
“Liberi di imparare” e l’uscita di
diversi articoli sul tema.
Un lavoro costante e continuo che porterà a un momento di confronto pubblico aperto a tutte le famiglie e agli operatori che si sta organizzando per il prossimo settembre e di cui presto daremo notizia nel dettaglio.
Abbiamo chiesto a Maria Grazia Cecchini di aiutarci a definire il concetto di libertà nell’educazione. Maria Grazia Cecchini è psicologa, psicoterapeuta Gestalt e sistemico-relazionale; è patrona della Fondazione Claudio Naranjo e dal 1994 collabora con lo psichiatra Claudio Naranjo nei programmi SAT in Europa, America e Asia. È presidente dell’Istituto Atmos-artiterapeutiche di Roma.
In una società come quella attuale e soprattutto alla luce dell’attuale sistema educativo convenzionale, è ancora possibile di parlare di libertà nell’educazione?
«É importante definire il contesto nel quale inserire il concetto di libertà. Se facciamo riferimento al contesto sociale in senso ampio, vediamo che l’educazione si sia ridotta a mera istruzione, ad un passaggio di informazioni e competenze finalizzateteoricamentead avviare le giovani generazioni ad una futura realizzazione professionale. In realtà realizzarsi professionalmente significa inserirsi in un ingranaggio che gira su se stesso con lo scopo solo di mandare avanti uno status quo. Si chiede ai giovani di realizzarsi in una società che solo vuole perpetuare il suo meccanismo di controllo e che appiattisce le menti al servizio di un sistema economico e politico mediocre culturalmente e solo finalizzato a perpetuare il benessere di pochi, basato sullo sfruttamento delle risorse naturali e umane. Numerosi economisti stanno denunciando l’aumento della povertà a livello globale, connessa con l’aumento del livello di ricchezza di un piccolo gruppo. E’ indicibile il livello di cinismo a cui assistiamo oggi giorno verso le diversità, inclusi donne e bambini. C’è una reviviscenza di valori fascisti e razzisti che spaventa e che certo non ci fa respirare un clima di libertà. Sta l’istituzione-scuola aiutando i giovani a coltivare realmente la partecipazione e la solidarietà? Possiamo dire un chiaroNo. Non esiste libertà se non è collegata alla solidarietà e alla partecipazione sociale. Claudio Naranjo parla di educazione all’amore. Nelle istituzioni questo viene recepito naif o troppo vicino alla “religione”, ma dobbiamo essere consapevoli che se non aiutiamo i giovani ad amare se stessi e l’altro, tutti gli altri valori come la libertà o la pace, sono parole vuote. Se però, prendiamo in considerazione il micro-contesto, l’aula nella scuola, assistiamo a un lavoro prezioso di molti insegnanti, che malgrado oppressi e affaticati dall’obbligo di programmi, orari e valutazioni senza senso e connessione con i bisogni degli alunni, coraggiosamente inventano, creano, parlano con i loro studenti, favoriscono la libertà del pensiero e dell’espressione emotiva. Io ho contatti con gli insegnanti che frequentano i nostri programmi SAT e posso dire che quando li sento parlare, mi commuovo per la forza con cui portano avanti i loro ideali. E so che di questi insegnanti ce ne sono tanti».
Quanto importante è il concetto di libertà e autodeterminazione nel processo di crescita e maturazione dei giovani, che dovranno essere gli adulti di domani?
«Dobbiamo superare l’idea comune che la libertà sia libertà di “fare” a livello individuale, per comprendere che la libertà può essere vissuta solo con gli altri. E’ molto difficile per un giovane – ma anche per gli adulti – conciliare l’essere liberi e il vivere con l’altro. Si può raggiungere questo equilibrio solo attraverso un processo di maturazione che veda in primo piano la soddisfazione dei bisogni profondi: essere amato, essere valorizzato, esprimere se stesso in tutte le potenzialità. Questo significa recuperare l’istintualità, il piacere e l’espressione emotiva. Ma se questa soddisfazione non è vissuta dentro le relazione a che serve? Allora dobbiamo aiutare i giovani a capire esperimentareche la propria autorealizzazione è piena solo se condivisa e compartecipata. Io ho imparato molto, nel mio processo di crescita con Naranjo, che la mia felicità viene più dalla capacità che ho di amare che non dal bisogno compulsivo di essere amata. L’insegnante può compiere questo miracolo per i giovani: aiutarli a credere nella propria creatività e ad avere il coraggio di essere se stessi. Oggi si dà peso alla maschera che crediamo ci permetterà di essere accettati e importanti, falsifichiamo noi stessi con la conseguenza di vivere un vuoto interiore che viene colmato perseguendo il denaro, il successo e il potere. Pure illusioni, tra l’altro in contraddizione con le condizioni pratiche ed economiche che vengono realmente offerte ai giovani. Gli adulti di domani dovrebbero essere aiutati a essere profondi e autentici, solo così abbiamo speranza che siano una nuova classe di adulti maturi».
Quale modello o approccio efficace potrebbe essere proposto per attuare una rivoluzione positiva nella consapevolezza delle persone?
«Io, dopo tante esperienze personali e sociali, riconosco nel modello proposto da Claudio Naranjo un’efficacia di trasformazione potente. E’ un modello che integra diversi approcci che vanno dalla conoscenza di se stessi alla capacità di stare in relazione. Un processo che attraverso strumenti terapeutici, artistici e contemplativi porta le persone a sperimentare un senso di esistere e di pienezza. Un senso di esistere nella vita quotidiana, la consapevolezza di poter essere attori della propria esistenza. Questo comporta l’acquisizione di strumenti per affrontare i problemi e gli ostacoli reali, con la coscienza che trasformando noi stessi possiamo facilitare una trasformazione del contesto sociale. Nel libro di Naranjo “La rivoluzione che stavamo aspettando” è detto ben chiaro: la vera crisi sta nella restrizione delle coscienze, aver prodotto individui che non hanno sviluppato la saggezza per vedere l’insieme degli eventi, l’intreccio delle connessioni, e quindi comprendere il significato profondo delle cose che accadono in se stessi e fuori di sé. Nella disgrazia abbiamo una fortuna: la società patriarcale che ha portato a questo non ha più benzina per andare avanti. La vera rivoluzione è quella della coscienza, solo cambiando il nostro presente possiamo sperare in un nuovo futuro».
Si può ritenere non più rimandabile un radicale cambio di prospettiva rispetto a quello attuale del materialismo e dell’economicità in tutti i campi dell’esistenza?
«Non solo non è più rimandabile, ma stiamo già capitolando sotto i colpi dei disastri provocati da questo tipo di economia e di gestione politica: tutti i giorni assistiamo a disastri ecologici con danni alle cose e alle vite umane; il 90 % delle popolazioni vive in uno stato di guerra che produce solo l’innalzamento del fatturato dell’industria bellica – l’unica in fase di sviluppo. La conseguenza di questo sono flussi migratori insostenibili per l’impossibilità di provvedere ai bisogni minimi vitali di queste persone. La disoccupazione è ormai uno stato sociale diffuso per i giovani, ma, ancor più grave, per gli adulti che non hanno la possibilità di riciclarsi nel mondo produttivo, o sarebbe meglio dire nella produttività basata sullo sfruttamento delle risorse. Mi sembra che siamo circondati da disastri a tutto raggio, mentre chi ci governa a livello economico e politico continua a manipolare l’informazione e le coscienze, con l’unico obiettivo di mantenerci ciechi. Voglio concludere con una citazione di Naranjo dal libro pubblicato da Terra Nuova:
“Viviamo in una cultura che è stata mantenuta immatura per mezzo di una sorta di piaga emotiva perpetuata attraverso le generazioni, interferendo con quella crescita emotiva che potrebbe portare le persone a esprimere pienamente le proprie potenzialità.(…)
se tenessimo in conto le cause della sofferenza nel mondo, ci si accorgerebbe che abbiamo bisogno di persone più sagge, coscienti e amorevoli, che in quanto più amorevoli sarebbero anche più virtuose,
e in quanto esseri umani migliori costituirebbero la base di una società più felice. Si può forse avere un tessuto sano senza cellule sane?
Ma sembra che parlare di queste cose sia quasi proibito e parlare di amore in un ambiente accademico o in un’istituzione educativa equivalga a non essere né scientifico né accademico, cioè a usare il cervello sbagliato. L’insieme di queste cose costituirebbe unapoliticadella coscienzae l’apparente irrilevanza di tutto ciò mostra esplicitamente che oggi impera unapolitica per l’incoscienza, dal cui punto di vista nulla di ciò che qui si è descritto è educare, né tantomeno è buono o rilevante”.».