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La sharing economy grande opportunità per l’Italia

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Al convegno Sharitaly di Milano si è fatto il punto della situazione sull’economia collaborativa. Un giro di affari di oltre 56 milioni di euro dall’inizio del 2015. Dalle piattaforme di sharing a quelle per il crowdfunding
Sempre più economia condivisa e collaborativa. La sharing economy in Italia sta crescendo in modo esponenziale. Se ne è parlato a Sharitaly (www.sharitaly.com), l’evento dedicato all’economia collaborativa svoltosi gli scorsi 9 e 10 novembre a Milano e organizzato da Collaboriamo, piattaforma di informazione e consulenza sull’economia collaborativa, e da TRAILab, laboratorio dell’Università Cattolica che si occupa di ricerca-intervento sulle azioni trasformative.
Secondo le ricerche presentate è 187 il numero complessivo delle piattaforme italiane di economia collaborativa (comprese quelle internazionali con sede in Italia), con un incremento del +35,5% rispetto allo scorso anno, quando erano in totale 138. Di queste, 118 sono piattaforme di sharing, 21 in più del 2014 (97), dato che corrisponde a una crescita del +21,6%. Le piattaforme attive specializzate nel crowdfunding risultano invece 69, 28 in più dello scorso anno (41), con un incremento quindi del +68,2%.
Le piattaforme di sharing economy censite sono suddivise in 12 settori. Quelli in cui si concentrano maggiormente le aziende dell’economia collaborativa italiana rimangono, come l’anno scorso, i trasporti, che rappresentano il 19% delle piattaforme analizzate, lo scambio di beni di consumo (15%), il turismo (15%), l’alimentare (9%), cui quest’anno si aggiunge la cultura (9%) che lo scorso anno non era presente. Marta Mainieri, ideatrice e curatrice insieme a Ivana Pais di Sharitaly, mette in risalto come «le piattaforme di sharing economy continuino a crescere in tutti i settori, a dimostrazione che la sharing economy non sia un settore ma un modello di servizio che si applica in tutti gli ambiti».
Nonostante l’incremento dell’offerta, la domanda è ancora carente, con molti margini di crescita. Il 51% delle piattaforme di sharing ha un numero di utenti inferiore a 5mila. In compenso l’11% ne registra però oltre 100mila, un numero che inizia a permettere alle piattaforme di innescare circoli virtuosi. Lo stesso vale per le piattaforme di crowdfunding: il 49% ha un numero di donatori inferiore a 500, e il 9% supera i 50mila. “D’altra parte, le piattaforme di sharing italiane sono ancora molto giovani, la maggior parte ha poco più di due anni di vita”, commenta Mainieri.
Il giro d’affari generato dalle piattaforme di crowdfunding è però in forte crescita: con i suoi 56,8 milioni di euro dall’inizio del 2015, registra un +85% rispetto ai 30,6 milioni di euro del 2014. Il 45% delle 69 piattaforme attive si basa su ricompense, il 19% su donazioni, un altro 19% è rappresentato da piattaforme equity e il 4% si fonda sul debito.
Interessante inoltre evidenziare che a frequentare le piattaforme di sharing economy sono quasi in ugual misura uomini (47,2%) e donne (52,8%), con un’età compresa prevalentemente tra i 25 e i 44 anni (60%). Sempre in relazione all’aspetto demografico, emerge come gli imprenditori delle piattaforme collaborative (sia di sharing che di crowdfunding) siano prevalentemente uomini, sotto i 40 anni, laureati, con una formazione in ambito economico o ingegneristico. Circa 2 su 3 sono uomini, mentre le donne rappresentano il 32% per il crowdfunding e il 27% per la sharing.
Nel mercato Italiano iniziano a intravedersi alcune piattaforme che crescono e si consolidano. Manca tuttavia un ecosistema capace di far decollare questi servizi. L’81% delle piattaforme di sharing e il 65% di quelle di crowdfunding dichiara di aver utilizzato prevalentemente risparmi personali per lanciare il servizio. Ancora minime le percentuali riservate a forme di investimento più strutturate. In generale, infatti, gli imprenditori della sharing economy per crescere chiedono più finanziamenti (73% sharing, 50% crowdfunding), più cultura (73% crowdfunding; 47% sharing), partnership con aziende (50% sharing, 58% crowdfunding), e solo il 16% delle piattaforme di sharing e il 29% di quelle di crowdfunding chiede più norme.
Fonte: Eco dalle Città

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