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La “Visual protest” di Banksy contro guerra e consumismo

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L’arte come protesta e disubbidienza al sistema diventa spiazzante se il protagonista su cui si esprime il no alla guerra e al consumismo più feroce diventa il muro di un contesto urbano. “A Visual Protest” il nome della mostra di Bansky in esposizione al Museo delle Culture di Milano fino al 14 aprile.
Nei dipinti e nelle stampe di Banksy, artista inglese la cui identità resta tuttora nascosta, c’è sempre un elemento incongruo che attira e calamita l’attenzione di chi osserva. Impossibile non soffermarsi ad osservare in modo più approfondito quello che abbiamo di fronte per capirne il significato se incappiamo in un leopardo che si libera da una gabbia a forma di codice a barre o se abbiamo davanti agli occhi figure ammantate che si inginocchiano davanti ad un cartello che recita  “Oggi fine saldi”, in venerante attesa di una nuova stagione di sconti.
Messaggi politici e sociali compaiono come grandi dazebao sui muri di molteplici città toccando temi diversi e spesso scottanti. Nella mostra proposta al Mudec di Milano, che raccoglie circa 80 lavori tra dipinti, prints numerati (edizioni limitate a opera dell’artista), oggetti, fotografie, video e circa 60 copertine di vinili, si toccano i temi della ribellione, dei “giochi” di guerra e del consumismo. Su quest’ultimo tema Banksy prende di mira il capitalismo e in particolare il mercato dell’arte dove i consumatori sono spesso senza capacità di critica necessaria per comprendere l’arte stessa. Il consumo diventa così principio e fine di una dinamica sociale che rende l’individuo sempre più incline all’acquisizione di beni materiali e all’ossessione del possesso: una dinamica basata su un’aspettativa di felicità che pur venendo sempre disattesa, crea dipendenza, come mostrano le tante stampe in mostra.

I ratti come metafora

Sui muri delle città, come segno distintivo del passaggio dell’autore, si riproducono copiosi i famosissimi topi di Banksy, riproposti anche nella mostra. I ratti assumono per Banksy una dimensione metaforica: “Esistono senza permesso. Sono odiati, braccati e perseguitati. Vivono in una tranquilla disperazione nella sporcizia. Eppure sono in grado di mettere in ginocchio l’intera  civiltà” dichiara l’artista. Nelle sue opere i ratti sono vandali armati di vernice e pennelli, borghesi con l’ombrello e abiti alla moda, scassinatori operai, rapper e sabotatori. I ratti sono un po’ il paradigma dei writers che pittano i muri: vivono le aree degradate, i cunicoli, le zone abbandonate delle metropoli moderne così come i graffitisti che si muovono di notte per marchiare i muri, i cancelli, le serrande, sempre allerta e pronti a scappare dalle forze dell’ordine.
Anche questi ultimi non sono risparmiati da Banksy: spesso e volentieri gli uomini in divisa sono raffigurati con smile emoticon al posto del volto.

Il “capitolo” della guerra

Un grande capitolo delle opere dell’artista è dedicato alla guerra. Gran parte dei soggetti che lui rappresenta sono infatti manifestamente contro tutte le logiche che la producono: dalla religione all’industria fino allo sfruttamento del territorio. La posizione dell’artista è umana e culturale più che politica. Da qui l’invito alla resistenza e l’incitamento ad opporsi alle cause come unico modo per scongiurarne gli effetti.  Nel 2017, proseguendo nella sua missione di attirare l’attenzione del pubblico sulla situazione in Palestina, Basky ha aperto a Betlemme il Walled Off Hotel di fronte il muro di separazione. L’hotel dispone di dieci stanze  con vista sulla controversa barriera che separa  Israele dai territori palestinesi. Contiene decide di opere dell’artista , un bar a tema, installazioni interattive ed è dotato di uno spazio temporaneo per mostre dedicate ad artisti emergenti. L’idea è di invitare le persone a recarsi  in una città la cui economia è stata pesantemente danneggiata dai sempre più rigidi controlli sugli spostamenti tra i due Paesi.

I murales

A chi gli chiede perché protestare attraverso i murales e la tecnica dello stencil, Bansky risponde così: “Amo i graffiti, amo questa parola.  I graffiti sono per me il sinonimo di meraviglia. Qualsiasi altro  genere artistico in confronto è un passo indietro, non c’è dubbio. Se operi fuori da questo ambito, operi ad un livello più basso. L’altra arte ha meno da offrire alla gente, ha meno significato ed è più debole”.
Per il linguaggio semplificato degli stencil di Bansky, l’estetica punk ha agito come un bacino espressivo a cui attingere. La forma è volutamente lasciata grezza e spigolosa per una comunicazione diretta e senza fronzoli. Camminare tra le sue opere significa immergersi nel territorio metropolitano e nelle realtà urbane colonizzate sempre di più da negozi, offerte commerciali e abitate da cittadini-consumatori in cerca di promozioni e sconti.  Sperimentatore  e fervente sostenitore della “psicogeografia”, (tecnica per cui l’artista racconta con la sua arte il territorio e lo spazio in cui si trova), Banksy ricorda gli artisti del situazionismo anni ‘50 con cui condivide l’aspetto performativo, ma anche il plagio in cui sia la fonte che il significato dell’opera originale vengono sovvertiti per creare un nuovo lavoro nel quale vengono spesso utilizzati i comics.
Sempre dalle teorie situazioniste del passato l’artista ripropone con forza la lotta contro ogni forma di proprietà privata, compresa quella intellettuale del copy-right. Ed ecco allora che alcune opere famose appaiono modificate, ritoccate e rimodellate. Provocante e mordace, Bansky merita di essere seguito e scovato sia nella mostra che nel suo ambiente più consono: i muri delle città.
Il museo: www.mudec.it

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