Le sedi degli eventi saranno il 29 e 30 Settembre il
Teatro Wanda Capodaglio e l’1 ottobre il
Condominio ArteBenessere, sede della Fondazione Terra Franca a Castelfranco di Sopra (Arezzo).
QUI il programma completo.
Terra Nuova è media partner dell’evento.
Sono gli stessi promotori e organizzatori a spiegarci cosa significa pensare alle economie del terzo millennio. Flora Grandis, presidente della Fondazione Terra Franca – Il Paese che Vorrei – Onlus, va dritto al sodo.
Di fronte alla ormai non più ignorabile consapevolezza che la crescita non può essere infinita e che la cattiva distribuzione delle ricchezze porta ingiustizie e terremoti sociali, quale può essere il paradigma di una economia del terzo millennio?
«Faccio una premessa scomoda che non piacerà a chi crede ancora nei politici: la cattiva distribuzione delle ricchezze è solo l’aspetto materiale dei nostri individualismi, sia dei “poveri” che dei “ricchi”. Tutte le ingiustizie sociali che stiamo vivendo non provengono solo da scelte politiche, ma derivano dalla concezione comune che esiste una torta limitata da spartire e che bisogna accaparrarsi il pezzo più grande possibile, se vogliamo sopravvivere. Il nostro cervello pensa ancora in modalità combatti e fuggi, condizionato com’è dai media che alimentano le nostre paure e ci fanno sentire costantemente in pericolo e bisognosi di ogni tipo di sicurezza. Per questo scegliamo politici che ci sembrano “svegli, furbi”, che siano in grado – nel nostro immaginario – di far prevalere l’Italia sulle altre nazioni – i nemici – proiettando su di loro la stessa nostra paura di essere sopraffatti dagli altri. Per questo ci illudiamo che più si ha meglio si sta e non vogliamo aprire gli occhi su ciò che appare evidente: per prima cosa la vita è di per sè una pericolosa avventura, è un continuo movimento e nessuno ci può difendere dalla sua imprevedibilità; secondo, in questo mondo tutto è ciclico, ha un inizio ed una fine, la lineare e tranquilla crescita infinita che vorremmo non esiste. Affrontiamo con disagio la polarità insita nella vita che alterna gli opposti e siamo abituati da sempre a dare la colpa di ciò che succede agli altri, alla società. Ma la società è fatta di noi singoli individui: se ognuno di noi assume questa consapevolezza ed incomincia a cambiare se stesso, l’economia cambia di conseguenza in modo automatico. Se sostituiamo la competitività con la collaborazione, se ci rendiamo conto che mettere i nostri talenti e le nostre potenzialità negli ingredienti della torta, produce una torta più grande e più buona che tutti possono mangiare perchè tutti hanno partecipato ad imbandire la tavola. Se guardiamo agli altri con benevolenza, come dice Confucio, e senza rivalità, sicuramente ne potremmo trarre dei vantaggi. Questo vale anche per chi è escluso dalla rete decisionale: se l’atteggiamento è quello di tentare di sfruttare chi ha di più, esattamente come il “capo” tenta di sfruttare gli operai invece di coinvolgerli in un progetto aziendale comune, non cambia niente perchè non si capisce che l’unica cosa che può funzionare è un SISTEMA ricco di biodiversità, che imiti la complessità dell’Universo, le sinergie e reciprocità dei sistemi naturali, in cui tutti gli elementi sono ugualmente importanti. Invece di imparare dalla Natura abbiamo voluto sopraffarla, o meglio, abbiamo creduto di poterla sopraffare. Puntualmente, ciclicamente, la Natura ci dimostra la propria forza, mettendoci di fronte alla nostra presunzione. Come specie biologica, non possiamo ignorare che la cura della vita fisica è fondamentale per vivere ogni altro tipo di vita (culturale, artistica, etc). Quindi dobbiamo vivere in un sistema adatto agli esseri umani. L’economia, intesa come gestione di ciò che abbiamo e che ci serve, deve favorire le attività vitali, non distruggerle. Ogni elemento del sistema deve essere funzionale agli altri. Nella pratica quindi bisogna attuare sinergie locali che guardino al bene della comunità, mettere il bene collettivo davanti al proprio, usare le risorse che ci sono per il territorio invece che tenerle in banca e adottare monete complementari, scambi e baratti, almeno finchè non torneremo sovrani. Questi sistemi nuovi di collaborazione locale sono gli unici che potranno traghettarci verso il futuro. Usare le disponibilità che ci sono per promuovere agricoltura e mestieri di base, oltre ad essere necessario per la nostra sopravvivenza, leva linfa e sostanza al sistema istituzionalizzato.
Purtroppo i cittadini non sono consapevoli dell’enorme ricchezza che ancora c’è e dell’enorme potere che hanno. Come dice Antonio Tricarico, i risparmi postali, per esempio, se usati bene, farebbero ripartire le economie locali. Oppure Enrico Caldari, per il quale ogni euro che spendiamo serve Gandalf o Sauron. Ogni nostro gesto quotidiano è una scelta che fa la differenza, ma scegliere per promuovere la vita richiede autodisciplina e grande responsabilità. Ognuno deve prendersi la responsabilità di ciò che fa e naturalmente questo è faticoso, occorre fare scelte difficili e controcorrente. Per questo la rete è importante. Aggiungo un’altra idea forse scomoda: bisogna pensare in grande! Per cambiare l’economia, bisogna essere convinti di poter cambiare l’economia! Io sono d’accordo naturalmente con l’idea portata avanti dal movimento della decrescita felice: dobbiamo diventare consapevoli dell’inutilità di tanti nostri consumi e dell’enormità dei nostri sperperi, ma intellettualmente bisogna pensare in grande, bisogna saper osare, bisogna saper immaginare fermamente un mondo meraviglioso con un’economia a misura d’uomo, in una reciprocità ampia come la terra intera. Altrimenti rimarremo piccoli schiavi rassegnati. L’immagine di tanti individui chiusi nelle case scatolette, ciascuno con la sua televisione, lavatrice, lavapiatti, automobile deve essere sostituita da un immagine ridente di abitazioni con piccoli spazi privati e grandi spazi comuni, servizi condivisi, strumenti condivisi. Il nuovo paradigma dell’economia del terzo millennio va inventato partendo dalle molte bellissime teorie che sono nate. Nessuno ha la ricetta, ma con una ferma visione positiva, sapendo cioè con chiarezza dove si vuole arrivare (un mondo collaborativo e sistemico di piccoli nuclei in rete), il nostro contributo comincia con il prossimo gesto che scelgo di fare: compro alimenti con olio di palma o prodotti ecosostenibili, guardo la televisione o vado a fare una passeggiata per ossigenarmi il cervello, mi guardo intorno per capire se nel mio paese c’è qualcuno che non arriva a fine mese o guardo per terra, mi compro dieci vestiti sintetici o mi faccio fare un vestito su misura dalla mia amica sarta, compro le fragole d’inverno o mi faccio portare una cassetta di frutta dal contadino?».
Quali i principi che non possono più essere applicati e quali invece i criteri nuovi che devono informare scelte individuali e decisioni politiche?
«Innanzi tutto ciò che noi pensiamo sia idealmente la politica, cioè la gestione della cosa pubblica, non esiste più. La politica è diventata la gestione della cosa di pochi. E d’altronde anche un bambino saprebbe far ripartire l’economia. Se le semplici azioni necessarie non vengono fatte, vuol dire che non c’è la volontà. Quindi è inutile continuare a sperare che un cambiamento economico arrivi dalla politica: dobbiamo pensarci noi cittadini. L’immaginazione, le scelte, le azioni necessarie a costruire una nuova economia sono esclusivamente nelle mani degli individui e dei piccoli gruppi – speriamo sempre più grandi – che si formano. Abbandonando competitività, isolamento, individualismo, sfruttamento e competizione, i criteri che devono alimentare il nostro comportamento sono responsabilità per se stessi e per il bene comune, collaborazione, condivisione, capacità di coordinamento, ampiezza di visione. Di certo, Economia non è finanza ma sviluppo di un sistema di creazione e scambio di tutto ciò che serve alla vita. Benessere non è accumulo ma tranquillità interiore, salute, rete di buone relazioni e utilizzo dei beni necessari alla vita materiale e spirituale; quindi qualità di cibo e alloggio, di vita sociale, di vita culturale. Parità è mettere tutti in grado di sviluppare la propria unicità. Tutti gli esseri hanno pari diritti, ma ogni essere è unico e deve essere messo in grado di conoscere e sviluppare quella combinazione di peculiarità e talenti che è solo sua. Inoltre il punto fondamentale che riguarda chi produce è la qualità. Bisogna aver ben chiaro che l’unica cosa che ci può salvare è la qualità, non i prezzi bassi di prodotti tutti uguali e scadenti che creano una guerra tra poveri. Robert Jhonson insegna: distinguersi per non estinguersi. Sopravviveranno soltanto le aziende che produrranno merci di qualità, che occuperanno quei settori delle eccellenze italiane che altri non sono in grado di coprire, che stabiliranno rapporti virtuosi ed etici con i fornitori, a loro volta etici e responsabili, filiere corte e controllate, diventando così aziende affidabili, che tessono relazioni durature, mantengono le promesse, non depredano il pianeta. Stefano Micelli,nel suo libro “Futuro artigiano”, spiega benissimo questo concetto».
Quale dunque l’idea di economia che proponete con il vostro festival? E quindi, quale l’idea di futuro?
«Tutto ciò che noi, come progetto Terra Franca e tanti altri ovunque nel mondo, facciamo è una sperimentazione, un “laboratorio di transizione verso un nuovo modo di abitare il pianeta”, come anni fa avevo definito la nostra azione. Noi siamo certi che questo mondo non ci piace e ne immaginiamo uno adatto agli esseri umani, ma non abbiamo una ricetta: se l’avessimo, non sarebbe necessario fare il Festival, ma basterebbe l’esempio e la sua divulgazione. Il Festival vuole proprio essere il punto di partenza di una serie di approfondimenti, sequel, confronti, esperimenti sul campo che, lavorando sui principi condivisi esposti sopra e comuni a tutte le nuove proposte di economia, riescano a riempire il vuoto che c’è tra le analisi profondissime e molto precise degli studiosi (che però restano sulla carta perché ci vorrebbe la volontà politica di attuarle) e il fermento quotidiano che anima i giovani e le persone di buona volontà. Il risultato finale sarà il nuovo paradigma che si sarà fatto largo tra leggi sbagliate, forme giuridiche non appropriate, pressioni fiscali e tutto quanto ci opprime. Di sicuro il nuovo paradigma sarà una rete sempre più vasta ed articolata di sistemi sinergici di economia locale che si sviluppano in spirali che si intersecano, scambiandosi risorse, competenze, conquiste, risultati, know how raggiunti ed esperienze. Quindi io immagino i tantissimi piccoli fuochi accesi nel mondo agire a livello locale, rimanendo però elastici ed aperti, con confini sfumati come un giardino zen. Quando questa rete sarà abbastanza solida, fatta di individui e comunità responsabili, non ci sarà più posto per quello vecchio. Il mondo parallelo creato sarà più vitale e renderà obsoleta la vecchia concezione».