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Mangi davvero made in Italy?

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Clamorosa protesta della Coldiretti alla frontiera del Brennero per dununciare il finto made in Italy. Un terzo degli ingredienti utilizzati per i nostri prodotti è straniero. Gli scandali alimentari riguardano soprattutto i prodotti esteri…
La Coldiretti ha dato vita a una protesta clamorosa, bloccando la frontiera del Brennero tra Italia e Austria, punto di confine tra Nord e Sud, due mondi tanto lontani e tanto dipendenti l’uno dall’altro.
La confederazione agricoltori esce con un dato allarmante: un terzo della nostra produzione agroalimentare contiene ingredienti stranieri. Altro che Made in Italy, le  materie prime utilizzate per produrre pasta, biscotti e altri prodotti confezionati provengono dall’estero, e vengono venduti in tutto il mondo  con il marchio Made in Italy, all’insaputa dei consumatori e a danno delle aziende.  
“Il flusso ininterrotto di prodotti agricoli che ogni giorno dall’estero attraversano le frontiere serve a riempiere barattoli, scatole e bottiglie da vendere sul mercato come Made in Italy –  denuncia il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – Gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali riguardano 2 prosciutti su 3 venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche 3 cartoni di latte a lunga conservazione su 4 che sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all’insaputa dei consumatori, e la metà delle mozzarelle che sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere”.
Lo schema quindi è questo: cercare materie prime a basso costo e di minor per risparmiare, e poi vendere il prodotto con l’etichetta Made in Italy perché si riferisce al luogo di confezionamento. I rischi sulla salute sono un optional.
L’Italia ha il primato in Europa e nel mondo della sicurezza alimentare con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3%), inferiori di 5 volte rispetto alla media europea (1,5% di irregolarità) e di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9% di irregolarità), secondo una analisi Coldiretti sulla base dei dati Efsa. Peraltro l’80% degli allarmi alimentari è stato provocato da prodotti a basso costo provenienti da Paesi fuori dall’Unione Europea e a salire sul podio sono stati nell’ordine la Cina, l’India e la Turchia ma a seguire anche Usa, Spagna ,Thailandia, Polonia e Brasile. Si tratta di Paesi che alimentano un forte flusso di importazioni verso l’Italia.
In Italia arriva dall’estero un quantitativo di agrumi freschi pari al 14% della produzione nazionale a cui si aggiungono oltre 300mila quintali di succhi concentrati che finiscono nelle bevande all’insaputa dei consumatori perché in etichetta – sottolinea la Coldiretti – viene indicato solo il luogo di confezionamento. La maggioranza del succo di arancia consumato in Europa proviene dal Brasile sotto forma di concentrato al quale viene aggiunta acqua una volta arrivato nello stabilimento di produzione, a differenza di quanto avviene per la spremuta.
Ma c’è anche l’amato pomodoro: l’Italia importa semilavorati industriali prevalentemente da Cina e Stati Uniti pari a circa il 20% della propria produzione. Per non parlare del latte a lunga conservazione: in Italia dei 2,05 milioni di tonnellate consumati, solo mezzo milione è di provenienza italiana mentre il resto viene semplicemente confezionato in Itala o arriva già confezionato. Poi ci sono i semilavorati come le cagliate, polvere di latte, caseine e caseinati che vengono utilizzati per produrre all’insaputa del consumatore formaggi di fatto senza latte.
L’Italia è anche il più grande importatore mondiale di olio di oliva nonostante una produzione nazionale di alta qualità che raggiunge quota 480mila tonnellate, secondo la Coldiretti. Le importazioni di olio dell’Italia superano la produzione nazionale e sono rappresentate per il 30% da prodotti ottenuti da procedimenti di estrazione non naturali (olio di sansa, olio lampante e olio raffinato) destinati alla lavorazione industriale in Italia. “In pratica la qualità del nostro olio – sostiene la Coldiretti – viene contaminata dalle importazioni e in media la metà dell’olio di oliva consumato in Italia proviene da olive straniere, ma l’etichetta di provenienza che per questo prodotto è obbligatoria risulta di fatto non leggibile perché scritta in caratteri minuscoli posizionati nel retro della bottiglia mentre si fa largo uso di immagini e nomi che richiamano all’italianità.
Attualmente in Italia l’obbligo di indicare la provenienza è in vigore per carne bovina (dopo l’emergenza mucca pazza), pollo (dopo l’emergenza aviaria), ortofrutta fresca, uova, miele, latte fresco, passata di pomodoro, extravergine di oliva, ma ancora molto resta da fare e l’etichetta è anonima per circa la metà della spesa dalla pasta ai succhi di frutta, dal latte a lunga conservazione ai formaggi, dalla carne di maiale ai salumi fino al concentrato di pomodoro e ai sughi pronti.
“In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato – conclude il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – il valore aggiunto della trasparenza e dare completa attuazione alle leggi nazionale e comunitaria che prevedono l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti. Ma è necessario che sia anche resa trasparente l’indicazione dei flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero, venga bloccato ogni finanziamento pubblico alle aziende che non valorizzano il vero Made in Italy dal campo alla tavola e diventi operativa la legge che vieta pratiche di commercio sleale, tali da permettere di pagare agli allevatori e agli agricoltori meno di quanto essi spendono per produrre”.

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