Piccoli grandi finanziamenti (da un minimo di mille 200 euro ad un massimo di cinquemila, con tempi di restituzione da 12 a 53 mesi) finalizzati a sostenere il reinserimento lavorativo e sociale di donne con un percorso di vita segnato dalla violenza. I prestiti sono personalizzati per ciascun caso, alla luce delle capacità della donna di poter restituire il danaro, nella direzione di rafforzare l’autonomia e l’autostima delle donne. Due i presupposti: lavorare ed essere uscite dalla violenza.
Non sono certo i numeri ad impressionare, e non sarebbe nell’intento di chi l’ha pensato e realizzato. Piuttosto, è interessante come questo progetto rappresenti un esempio di “cittadinanza attiva”.
Il “nucleo”
Il gruppo di lavoro è composto da 15 donne, che sono quelle che hanno pensato e portato avanti questo progetto. Sono loro che, oltre a farsi carico della garanzia fideiussoria per la restituzione del prestito, fungono anche da rete relazionale di sostegno. E’ l’unico progetto in Italia con queste caratteristiche, nel tentativo, riuscito, di mettere in pratica un’esperienza di “cittadinanza attiva”.
Ogni donna è seguita da un piccolo nucleo (2 o 3 donne che fanno parte del gruppo di lavoro). La relazione tra la donna e il nucleo differisce da caso a caso: si passa da rapporti telefonici e incontri periodici, alla possibilità da parte del nucleo, se necessario, di offriresupporti concreti nella gestione del bilancio familiare o dei rapporti con le banche, nella ricerca di un’auto usata, nella ricerca del lavoro, e talvolta anche per aiutare coi figli e traslocare!
Prestito su base fiduciaria
Dare fiducia a una donna che attraverso un percorso di uscita dalla violenza sta faticosamente ricostruendo la sua autostima; ridisegnare e risignificare positivamente le relazioni; responsabilizzare le donne nella restituzione del prestito, nutrendo l’idea di credere che ce la faranno. Questi gli obiettivi che sottendono al progetto Microcredito Donna. «Spieghiamo alle donne coinvolte che la restituzione del prestito consente ad altre donne di accedervi e di godere dunque delle stesse possibilità che loro hanno avuto» spiega Cinzia Melograno, referente del progetto per Mag6. «Solitamente Mag6 lavora con la rete sociale di chi richiede il prestito, che si fa garante della sua restituzione, nel caso il socio che ha ricevuto il prestito sia in difficoltà – precisa – In questo progetto, invece, noi stesse siamo parti attive poiché le donne di cui stiamo parlando vivono un forte isolamento sociale: spesso straniere, ma vale anche per le donne native italiane, denunciare la violenza subita ha significato per loro l’allontanamento dalla comunità di riferimento, il rifiuto delle famiglie e della rete amicale».
Dal microcredito sociale al microcredito d’impresa
L’acquisto di un’auto usata, di un motorino, far fronte alle spese per i figli o per l’affitto, le spese legali piuttosto che per percorsi di formazione hanno rappresentato punti di ripartenza per molte donne. L’obiettivo che si riesce a raggiungere nei casi migliori è l’uscita di casa delle donne, dai quei contesti di violenza per i quali hanno chiesto aiuto.
Tuttavia, fatte salve le buone intenzioni con cui il progetto è partito nel 2006, è tempo di nuove valutazioni. «In questi dieci anni – racconta Melograno – abbiamo visto come sia difficile definire in maniera definitiva il momento di “uscita dalla violenza” e quanto questa situazione possa cambiare nell’arco di poco tempo. Ora più che all’inizio affrontiamo problemi legati alla precarietà del lavoro dovuti alla crisi economica; queste donne, spesso poco professionalizzate, rischiano sempre più frequentemente di perdere il posto di lavoro o di dover accettare condizioni incompatibili con la gestione dei figli. Non è detto infatti che una donna cui è stato concesso il prestito mantenga il lavoro. E lo stesso dicasi per la violenza: non è detto che non si presentino momenti di crisi».
Il passaggio dal microcredito sociale a quello d’impresa sembra una conseguenza logica. Ma non è così. «Abbiamo fatto un tentativo di accompagnare un gruppo di donne per la costituzione di una cooperativa di sartoria e cucito. Tuttavia, la difficoltà di relazione all’interno del gruppo, dovuta alla distanza culturale tra donne di nazionalità ed etnie diverse, lo scarso interesse verso l’autoimprenditorialita’ e soprattutto il loro impellente bisogno di danaro, non hanno consentito il raggiungimento dei risultati sperati».
Nuove idee all’orizzonte
Dieci anni di esperienza, dunque, che tuttavia non esime le responsabili da una fase di bilancio e riflessione, alla luce delle attuali condizioni economiche e sociali che portano i poveri e disagiati ad un processo involutivo anziché evolutivo: «Nei primi otto anni, fino al 2014 – riferisce Melograno – sono stati recuperati tutti i prestiti tramite le richiedenti. Soltanto nel 2015 siamo dovute intervenire come garanti per l’estinzione di parte di un prestito di una donna che è stata costretta a lasciare l’Italia per motivi economici. Tuttavia, dobbiamo constatare che il panorama attuale è sicuramente sempre più difficile per queste donne e che stanno aumentando i prestiti in difficoltà».
«Ci abbiamo creduto molto nel progetto di microcredito donna e in questi dieci anni è stata una bella opportunità per tante donne – dice Cinzia Melograno – Nonostante ciò, siamo consapevoli che il progetto, così conformato, sarà utile a meno donne alla luce di questa situazione economica che spesso le schiaccia esclusivamente su bisogni di sopravvivenza. Speravamo che queste persone si rafforzassero e che il finanziamento fosse occasione di cambiamento, ma dobbiamo constatare che questo è sempre più difficile. Talvolta, di fronte alla frustrazione per la difficoltà di rientro del prestito, anziché accogliere la nostra proposta di dialogo, scappano, si sottraggono alla relazione, rendendo altresì più difficile sanare i casi in cui non riescono a far fronte al prestito. Quello che continua ad essere importante per noi è aiutare le donne nel loro progetto di autonomia e autoaffermazione. Continuiamo a immaginare strade da sperimentare con un occhio attento ai problemi odierni ma con l’altro verso un futuro diverso, migliore per tutte, e tutto da inventare».