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Nativi americani: una vittoria agrodolce

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Il 4 novembre 2008 l’elezione di Barack Obama è stata salutata da un boato mondiale di applausi e di speranze. All’estero la novità è stata caricata di aspettative limitate all’ambito economico (la crisi internazionale) e bellico (le guerre in Afghanistan e in Iraq).
Negli Stati Uniti, invece, il nuovo presidente è stato anche ritenuto capace di un nuovo approccio alla questione indiana. Questo spiega perché Obama ha ricevuto un ampio sostegno elettorale da parte di varie associazioni indigene. Naturalmente è ancora presto per valutare se tali aspettative siano state ben riposte, ma è comunque necessario sottolineare un fatto di notevole importanza, al quale Obama ha dato un contributo che altri presidenti non avrebbero dato.

Alludiamo all’esito positivo dell’azione con la quale Elouise Pepion Cobell e altri tre indiani, tutti blackfeet del Montana, avevano reclamato da tempo il pagamento delle somme che avrebbero dovuto ricevere dal governo federale per l’utilizzo delle loro risorse, tra cui petrolio, gas naturali e pascoli per animali. A questo scopo i quattro avevano promosso una class action. Per molto tempo questa era stata possibile soltanto negli Stati Uniti, ma recentemente anche molti paesi europei hanno cominciato a inserirla nei rispettivi ordinamenti giuridici.

Secondo il calcolo degli avvocati di Elouise Cobell, la somma dovuta ammontava a 176 miliardi di dollari. Nata nel 1996 come causa Cobell-Babbitt ha cambiato nome via via che cambiava il Segretario di Stato (carica equivalente al nostro Ministro degli Interni). Il 20 giugno, a Washington, il giudice distrettuale Thomas Hogan ha detto l’ultima parola sulla vertenza, fissando il risarcimento dovuto a 3,4 miliardi di dollari (2,4 miliardi di euro). Il felice esito dell’azione legale era comunque già chiaro dall’8 dicembre 2010, giorno in cui Obama aveva firmato l’apposito atto legislativo approvato nelle settimane precedenti dai due rami del Congresso.

L’accordo raggiunto il 20 giugno prevede:
– 1,4 miliardi che verranno dati ai 300.000 indiani interessati. La cifra sarà divisa in modo diseguale, tenendo conto dei diversi diritti;
– 1,9 miliardi che serviranno per riacquistare le terre indiane frazionate all’epoca;
– 60 milioni che verranno utilizzati per pagare gli studi di giovani indiani. Inoltre verrà istituita la costituzione di una commissione che vigili sulla gestione futura delle terre indiane in questione.

Pareri discordi
Se è vero che molti hanno accolto con entusiasmo la fine della lunga controversia legale, è altrettanto vero che non sono mancati i pareri contrari. Buona parte di questi è stata raccolta nel lungo articolo di Rob Capriccioso che è apparso il 27 giugno sul settimanale Indian Country Today. Alcune persone, per esempio, sottolineano la differenza abissale fra quello che spetterà a Elouise Cobell – 2 milioni di dollari – e quanto riceverà la maggior parte dei 300.000 indiani interessati – circa 1500 dollari. Le spese legali ammontano a 99 milioni: una cifra che molti hanno giudicato eccessiva. Altri ricordano che il repubblicano John McCain, direttore della Commissione per gli Affari Indiani del Senato fra il 1995 e il 1997, aveva offerto 8 miliardi, ma che la parte attrice li aveva rifiutati. Altri ancora sostengono che Elouise Cobell, malata di cancro, avrebbe accettato una cifra molto più bassa – appunto 3,4 miliardi – temendo di morire prima che la causa si concludesse.

Evidentemente la questione presenta qualche risvolto poco chiaro. Al tempo stesso, però, bisogna considerare che cause come queste sono comunque utili perché segnano dei precedenti importanti.

Articolo tratto da Terra Nuova Settembre 2011 disponibile anche come eBook.

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