«Le nostre vite sembrano intensificarsi man mano che il tempo passa. La nostra sete di scoperta è insaziabile, le nostre esigenze sempre più affinate. Abbiamo allungato la nostra speranza di vita, ottenuto le ferie pagate, la pensione e la settimana lavorativa di trentacinque ore. Abbiamo inventato un sacco di ordigni per andare più in fretta e alleggerire la quotidianità: automobile, microonde, lavatrice, computer ecc.»: lo scrive Nelly Pons nel suo bellissimo libro, “
Scegliere di rallentare”. E prosegue: «Oggi, la porta aperta sulla conoscenza dipende da un telefono in tasca, disponibile immediatamente, ventiquattr’ore su ventiquattro. Siamo in grado di mandare un messaggino all’altro capo del pianeta in un secondo e di andarci in meno di due giorni. Ne abbiamo guadagnato, di tempo. Ma cosa ne abbiamo fatto? Questo mondo è il frutto di un sogno. Di un’utopia aspettata e sperata da parecchi personaggi che, a partire dal XIX secolo, pensavano che stessimo per liberarci. E questo, grazie al progresso».
Ecco un altro toccante brano tratto dal
suo libro:
«Pensavano che il nostro genio ci avrebbe ben presto affrancato dal dovere di lavorare: le macchine lo avrebbero fatto per noi. Questo sogno si è in parte realizzato. Una rivoluzione tecnologica senza precedenti nella storia dell’umanità ha permesso la nascita della cultura dei passatempi: sport, televisione, spettacoli, vacanze e viaggi sono diventati accessibili alla maggior parte delle persone. Eppure… Più guadagniamo tempo, più abbiamo la sensazione di non averne. Un paradosso si è impadronito della nostra modernità: il progresso, proprio quello che poteva liberarci, si è messo al servizio di una fulminea accelerazione, una ricerca del “sempre più”: questa ci ha fatto sprofondare in una spirale infernale che non abbiamo visto arrivare e da cui è diventato urgente uscire.
La nostra quotidianità somiglia sempre più a una corsa sfrenata contro il tempo con un programma appagante: lavoro, trasporti, faccende domestiche, passatempi, relazioni sociali, mestiere di genitore… Una dittatura cui spesso ci sottoponiamo di buon grado. Una velocità inebriante, che ci porta, ci motiva, a volte ci incanta. E ci illude anche. Una rapidità senza mezze misure che ci mette alla prova. Funamboli: ecco cosa siamo diventati. Privati di questa àncora di salvezza che ci mette al riparo da brutte cadute, giochiamo con i nostri limiti fisici. Ci resta solo sapere da che parte finiremo con il cadere. E quando.
Vivificante in un primo momento, con il tempo la nostra velocità si accompagna a effetti collaterali dannosi, con i quali scendiamo a patti come possiamo: stress, disturbi del sonno, ansia, dolori muscolari, lombalgie… Fino al burn-out, come viene giustamente chiamato questo spossamento totale, fisico e psichico, quell’incendio distruttore dei nostri migliori slanci e nel quale, per un periodo, mi sono inabissata.
Io, che pensavo di aver attuato nella mia vita tutto per premunirmi dal nonsense; che avevo scelto di vivere in campagna, di dedicare del tempo alla mia famiglia, di fare un lavoro che mi appassionava e che mi sembrava utile. Io che mi credevo al riparo, ben attrezzata, meravigliosamente circondata… Eppure, ho ceduto.
È questo che mi permette oggi di affermare che la posta in gioco, quella vera, è di non affondare. Agire, finché c’è ancora tempo».