Durante tutto il mese di giugno si tengono le iniziative del World Localization Day, promosso dall’organizzazione Local Futures per sensibilizzare a un nuovo modo di intendere l’economia, le relazioni e le comunità.
Comunità locali, gruppi di cittadini che si aiutano e collaborano, organizzazioni della società civile impegnate nella diffusione delle buone pratiche di sostenibilità, ecovillaggi, mercati contadini e tanti altri cittadini che guardano a un presente e a un futuro che abbiano a cuore il superamento del consumismo esasperato e una “rilocalizzazione” delle produzioni, dei consumi e delle relazioni: c’è tutto questo fermento, nel nostro Paese ma non solo, e c’è da tempo. Un fermento che cresce e che segna la condivisione di un paradigma differente di sviluppo. È proprio per rendere omaggio a questo fermento crescente che torna anche quest’anno il World Localization Day, appuntamento giunto alla sua terza edizione e promosso dall’organizzazione Local Futures di cui è portavoce Helena Norberg-Hodge.
Lo scorso anno ottanta organizzazioni hanno ospitato eventi in trenta paesi di sei continenti.
Il World Localization Day 2022 parte da queste basi e non si esaurirà in un unico giorno, ma si snoderà lungo tutto il mese di giugno, durante il quale gruppi e movimenti promuoveranno eventi e diffonderanno informazioni e sensibilizzazione sulla necessità della rilocalizzazione come strategia del cambiamento.
Ci saranno eventi online e in presenza, dibattiti, workshop, feste locali, festival e molto altro.
Questa campagna di sensibilizzazione conta su sostenitori illustri, quali il Dalai Lama, il professor Noam Chomsky, l’ambientalista Jane Goodall, la giornalista Naomi Klein, la presidentessa di Navdanya International Vandana Shiva e altri ancora.
Le crisi recenti e in corso hanno sottolineato tutta l’importanza di riconcentrarsi sulla regionalizzazione anziché proseguire sulla strada della globalizzazione, poiché, come spiegano da Local Futures, «è ormai chiaro che dipendere dalle catene di rifornimento globale è rischioso, specialmente quando si tratta di bisogni di base. Inoltre, la crisi ambientale e quella climatica richiedono un cambiamento veloce e immediato per lasciarsi alle spalle l’economia inquinante e lo sfruttamento intensivo delle risorse e per approdare invece a un’economia responsabile e che colmi il gap tra ricchi e poveri».
In quest’ottica, la rilocalizzazione è un modo per portare l’economia “a casa”, una modalità sistemica per dare risposta ai sempre più pressanti problemi globali.
In particolare, i sistemi alimentari locali dimostrano di avere un potente effetto moltiplicatore di soluzioni: permettono di produrre cibo fresco e sano e i mercati locali stimolano la diversificazione nelle aziende agricole, che porta a un aumento della produttività e della biodiversità. Inoltre, favoriscono il superamento delle monocolture intensive trattate con la chimica di sintesi, permettono di costruire relazioni e comunità, di riscoprire la solidarietà e la mutualità, fanno spesso emergere le qualità migliori nei cittadini, l’altruismo, la solidarietà, la cura nel “prendersi cura”.
Come sostiene anche Naomi Klein, le economie alimentari locali sono essenziali per ripristinare la nostra salute e la salute dell’intero pianeta.
Nei movimenti che sostengono le economie alimentari locali c’è anche una componente politica: organizzazioni della società civile, come La Via Campesina e l’Asian Peasant’s Coalition, rappresentando milioni di piccoli contadini in tutto il mondo e stanno lavorando per giungere a una vera e propria sovranità alimentare, che prevede maggiore controllo in loco sulle produzioni e sulla distribuzione.
Dunque, il World Localization Day chiarisce che rilocalizzare ha a che fare non solo con il cibo ma con molto di più. Ne sono parte anche le iniziative di democrazia comunitaria e le realtà che si occupano di educazione in modo nuovo e differente, così come i piccoli consorzi locali e le reti di finanza locale che alimentano il benessere laddove nascono.
Tutto questo ci dimostra quanto abbiamo da “guadagnare” e da imparare dalla decentralizzazione e dalla rilocalizzazione delle nostre economie.
Come spiega Helena Norberg-Hodge, se saremo in grado di essere motori di questo cambiamento, allora potremo assistere alla guarigione e rigenerazione del pianeta e delle relazioni nelle comunità che lo abitano.
Proviamo dunque a immaginare un mondo diverso, un mondo in cui il nostro cibo provenga da chi lo produce vicino a noi ed è parte della nostra comunità; in cui il denaro che spendiamo localmente possa ricircolare per alimentare filiere corte e virtuose; in cui le opportunità di lavoro favoriscano il “fare ed essere comunità”. Dunque, il ritorno a un’economia dal volto umano e a misura d’uomo.
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