La Lav plaude all’iniziativa adottata dalla cittò americana di San Francisco che ha messo al bando la vendita delle pellicce.
«Il
divieto di commercializzare nuovi prodotti di pellicceria, approvato all’unanimità dal Consiglio di Sorveglianza della città, entrerà in vigore a gennaio 2019, consentendo ai negozianti di smaltire le scorte fino al 2020. Sarà invece ancora possibile il commercio di capi usati. Fino a 1.000 dollari la sanzione prevista per i trasgressori – spiega la Lav – Gli amministratori della città californiana hanno fatto scelte etiche nei confronti degli animali, un motivo necessario e sufficiente a bandire un intero commercio, nonostante le ripercussioni economiche, dato che la stima delle vendite di pellicce nell’area di San Francisco si aggira tra gli 11 e i 40 milioni di dollari, e che tale bando interesserà almeno 30 rivenditori soltanto nella centrale, turistica, Union Square».
«A nulla è valsa l’opposizione dell’industria della pellicceria (International Fur Federation e Fur Information Council of America), che ha chiesto la possibilità di derogare al divieto con la vendita di prodotti accompagnati da certificazioni attestanti il rispetto delle norme a tutela del “benessere animale”, e che contro il provvedimento potrà ora solo presentare formale ricorso (con scarse possibilità di successo, dati i consolidati precedenti di West Hollywood e Berkeley vigenti dal 2011)».
“Mentre in Europa sempre più Paesi vietano l’allevamento di animali per farne pellicce, e negli Stati Uniti si comincia già a vietarne il commercio, l’Italia continua ad essere fanalino di coda, consentendo ogni anno l’uccisione di almeno 200.000 visoni – dichiara Simone Pavesi, Responsabile LAV Area Moda Animal Free. Il nuovo Parlamento ha la responsabilità di riportare il nostro Paese in un contesto civile, vietando definitivamente questa forma di allevamento e accogliendo quella che è una istanza sostenuta dall’86,3% degli italiani”.
In Italia l’allevamento di animali per la produzione di pellicce non è mai stato un’attività di particolare rilevanza economica e negli ultimi 40 anni ha registrato un continuo ed inesorabile trend negativo: nel 1988 erano attivi 170 allevamenti con circa 500mila animali; nel 2003 si sono ridotti a 50, con circa 200.000 animali; nel 2018 sono circa una ventina con una produzione di 100-150mila animali e dislocati tra Lombardia, Veneto e d Emilia Romagna.
La specie allevata in Italia è il visone. L’allevamento di volpi per la produzione di pellicce non è più praticato ormai dalla fine degli anni Ottanta, mentre l’ultimo all’allevamento di cincillà ha cessato l’attività nel 2012. Molti Paesi hanno già vietato l’allevamento di animali per la produzione di pellicce, direttamente o per il tramite di forti restrizioni che hanno poi portato alla naturale dismissione di questa attività: già dal 2000, la Gran Bretagna ha bandito gli allevamenti in quanto ritenuti crudeli; l’Olanda ha vietato l’allevamento delle volpi e dei cincillà (dal 1995) e il 18 dicembre 2012 ha approvato il divieto di allevamento di tutti gli animali per la principale finalità di utilizzare la loro pelliccia (divieto che sarà effettivo dal 2024); a vietare questi allevamenti anche Austria (dal 2004), Belgio (dal 2014 nelle due regioni della Vallonia e di Bruxelles), Danimarca (dal 2009 limitatamente alle volpi, con bando vigente a partire dal 2024), Irlanda del Nord e Scozia (dal 2003), Croazia (dal 2007, con bando vigente dal 2017), Ungheria (dal 2011 per volpi e visoni), Bosnia ed Erzegovina (2009, con bando vigente dal 2018), Serbia (dal 2019), Slovenia (dal 2013), Repubblica di Macedonia (dal 2014), Repubblica Ceca (dal 2019) e più recentemente persino la Norvegia (con effettiva entrata in vigore dal 2024).
La Spagna ha vietato l’avvio di nuovi allevamenti di visone in quanto classificato Specie Aliena Invasiva (dal 2015), così come fatto anche in Giappone (2006).
Svizzera, Svezia e Bulgaria hanno adottato forti restrizioni a tale attività, migliorando gli standard abitativi degli animali “da pelliccia”, così come già avvenuto in Germania dal 2011 con l’entrata in vigore (nel 2016) di nuovi standard strutturali e gestionali che hanno comportano sostanziali modifiche degli allevamenti di visoni, come la disponibilità di vasche d’acqua di 3mq e della libertà di accesso a più ampi bacini d’acqua, inducendo alla progressiva dismissione di queste attività.