Da un articolo su L’informatore agrario apprendiamo che l’Ismea attiva un portale a sostegno dell’acquisizione di una mentalità marketing oriented (orientata al mercato) dell’agricoltore verso la vendita diretta. Solidali o competitivi?
Come operatori dell’agroalimentare, ci vengono presentate le strategie affinché il cliente «si rivolga a noi invece che al nostro concorrente», mentre le famiglie che acquistano nella vendita diretta aumentano e, ci dicono, ciò genera una crescente competizione tra agricoltori.
Come fare per battere la concorrenza degli altri zappaterra? Secondo queste indicazioni bisogna cercare di avere una gamma di prodotti ampia, possibile grazie alla legge che permette di vendere fino al 49% di prodotti non autoprodotti, oltre ad avere una presentazione accattivante della merce esposta, fare il simpatico e curare l’abbigliamento, offrire fiori o merendine ai bambini, proporre stuzzichini; infine mettere sul banco i branding, cioè i marchi di garanzia, veri assi nella manica.
Ecco come la società liberista cerca di annullare l’anomalia contadina fin nelle sue quotidiane azioni, trasformandoci in mercanti teatrali sponsorizzati. Una forma mentis che in fondo ci rende simili alla grande distribuzione e dalla quale molti moderni agricoltori restano ammaliati, prestandosi a questo gioco, così come molti sono i cittadini che si soddisfano delle apparenze! Conoscere i processi reali della produzione del cibo è altra cosa e richiede ciò che oggi è un bene raro: la partecipazione attiva. Il dogma della competitività è invece veleno per l’agricoltura contadina.
Da sempre il contadino è andato al mercato a vendere i suoi prodotti, ma quando lavoriamo per un’agricoltura contadina ecologica e solidale non costruiamo slogan commerciali, cerchiamo invece di coltivare una biodiversità anche culturale, per la costruzione di un mercato solidale inclusivo, dove la divisione di spazi e compiti sia condivisa attraverso soluzioni che permettano a tutti di coltivare e vendere, creando un’alternativa a questa logica competitiva ed escludente, ancora una volta fondata sulle capacità finanziarie, nella quale gli (ex) contadini devono eliminarsi tra loro. Un modello ormai fatto proprio da quell’imprenditoria agricola sempre più vicina al mondo confindustriale, alla quale aspirano ormai anche molti altri agricoltori.
Per questo è così importante guardare a quei contadini moderni ma biodiversi, che cercano di costruire la qualità del cibo dentro le relazioni, oltre le etichette e le apparenze.