Non si può affrontare la crisi se non avviando una riflessione critica e collettiva che parta dalle nostre vite…
… per decolonizzare l’immaginario dominante si deve ricercare un cambiamento profondo e indurre le persone alla partecipazione e all’azione politica.
Ma come farlo quando la maggior parte dei media è indifferente o ostile?
Come promuovere la transizione verso la decrescita in modo rapido ed efficace, ma allo stesso tempo in modo orizzontale, nonviolento e non ideologico?
Forse qualcosa si muove: lo scorso anno, dagli indignados spagnoli alla primavera araba, abbiamo visto affacciarsi un movimento che tenta nuove forme di azione. Da queste – e grazie a Adbusters, un gruppo di esperti in comunicazione e anticapitalisti – è nato Occupy Wall Street, mobilitazione iniziata a New York la scorsa estate con lo slogan «noi siamo il 99% e loro l’1%» e che si racconta così: «Siamo come voi, cittadini del mondo che non ne possono più di questa crisi, e crediamo che il cambiamento si possa ottenere con il coordinamento globale di azioni nonviolente».
Insomma, una politica del «noi» che invita all’auto-organizzazione politica di coloro che da anni conducono le battaglie per l’ambiente e i beni comuni, per l’equità, la giustizia sociale e l’eguaglianza di genere, e contro il capitalismo.
Questo processo progetta in modo orizzontale la propria azione per attrarre i riflettori dei media su ciò che il potere occulta. L’occupazione delle piazze americane, terminata con gli arresti e la repressione violenta della polizia, è riuscita a trasfigurare alcuni luoghi strategici del potere in una rappresentazione collettiva dal tema: «la vita quotidiana come dovrebbe essere».
Si tratta di un tentativo ancora tutto da valutare, ma che prova ad affrontare ancora una volta la sfida di ogni movimento nonviolento: che il tabù sia finalmente spezzato e la maggioranza prenda coscienza di non vivere nel migliore dei mondi possibili.
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