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Cara banca mi devi delle spiegazioni

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In occasione dell’assemblea degli azionisti della sua banca, un nostro lettore ha espresso con forza le proprie perplessità circa l’eticità di certe scelte. E se ciascuno di noi facesse lo stesso?
Buon giorno a tutti. Esporrò le mie considerazioni nella certezza che i presenti porranno attenzione alla sostanza del mio discorso e non ai dettagli, che sono da ridefinire essendo, la mia, una sintesi estrema. È importante ricordare le cause storiche che ci hanno portato alla crisi attuale. Sono in pensione da una decina di anni, dopo una vita di lavoro passata nel mondo della scuola pubblica. Quando insegnavo storia, sottolineavo sempre la fondamentale differenza tra economia e finanza. L’economia, dicevo, è la scienza che si occupa della gestione dei beni reali: la terra, le materie prime, gli strumenti di produzione, come la fabbrica che produce il trattore e il forno che cuoce il pane. La civiltà nasce con l’agricoltura, la scrittura e con l’invenzione del denaro, come strumento che facilita il commercio in-teso come scambio di beni reali. La finanza moderna nasce con gli italiani che diventarono, dopo il Medioevo, i banchieri dell’Europa. Sono stati i commercianti fiorentini che per primi inventarono gli assegni: pezzi di carta che diventavano denaro, rendendo molto più facile e si-curo il trasferimento di ingenti somme quando il commercio si svolgeva ancora per mezzo delle carovane di muli che partivano dalla Toscana e da Venezia e risalivano fino a Parigi e, di lì, fino a Londra.
Fino alla metà del secolo scorso, tuttavia, il «denaro di carta» era sempre in qualche modo collegato con l’oro che, come metallo e materia prima, era pur sempre un bene reale: l’import-export tra gli stati veniva conteggiato e regolato attraverso ordini di acquisto e di vendita registrati su libri contabili, ma tutto questo si concretizzava nel trasferimento dei lingotti d’oro che, nelle banche centrali (la più importante era quella inglese), spostava i lingotti d’oro, per esempio, dal caveau francese a quello tedesco quando, a fine anno, risultava evidente che nel commercio tra i due paesi si era registrato un deficit della Francia nei confronti della Germania. I lingotti non si muovevano dai forzieri delle banche: semplicemente si trasferivano da un caveau all’altro sulla base dei risultati contabili di fine anno, ratificati dalle banche centrali dei singoli paesi.
La finanza moderna nasce nel momento in cui il denaro cartaceo non ha più un rapporto prefissato con l’oro e lo stato decide autonomamente se aumentare o diminuire la circolazione della carta moneta. Finita la Seconda Guerra Mondiale, la potenza finanziaria che domina il mondo è rappresentata dagli Stati Uniti che, controllando l’emissione dei dollari, impongono a tutto il resto del mondo il costo reale delle loro scelte politiche. In questi ultimi decenni c’è stato un altro salto di qualità: il governo degli Stati Uniti era l’unico a decidere la quantità di dollari circolanti, ma le grandi banche mondiali hanno cominciato ad emettere titoli di credito, che nessun governo è in grado di controllare, e che il mercato compra con la speranza di realizzare guadagni proprio perché potranno essere rivenduti in una spirale di speculazioni finanziarie che funzionano finché qualcuno decide che è ora di chiudere la «catena di Sant’Antonio» che non può continuare all’infinito. Oggi chi conosce la situazione sa benissimo che il valore complessivo dei titoli finanziari supera di molte volte il valore complessivo dei beni reali. Il gioco del moltiplicarsi dei titoli finanziari continua perché i grandi giocatori non hanno ancora deciso di chiudere il «bluff»: loro sapranno sempre prima di tutti gli altri quando sarà il momento di trasformare i titoli finanziari in beni reali. In quel momento il grano che oggi compri a 15 centesimi il chilo verrà a costare decine di dollari e la terra che lo produce non avrà più prezzo. Ma proviamo a concludere il discorso. La nostra banca è nata come Banca Popolare, con l’intento di porre alla base del proprio agire un’attenzione tutta speciale alle risorse e ai bisogni del territorio in cui opera, una banca il cui patrimonio doveva essere costituito fondamentalmente non da pochi grandi detentori di capitali, ma dai risparmi di chi viveva grazie al proprio lavoro quotidiano. Il fatto che la nostra banca sia coinvolta nei problemi derivanti dallo scoppio della bolla speculativo-finanziaria, ben lontana dall’essere definitivamente risolta a livello mondiale, è l’inoppugnabile dimostrazione che sono stati traditi i principi ispiratori sui quali era stata fondata la nostra istituzione bancaria.
Coloro che hanno guidato le grandi banche mondiali sono ancora al loro posto, senza neanche una decurtazione dei loro stipendi, e ciò fa inevitabilmente pensare che questo disastro finanziario fosse un evento magari deprecabile, ma previsto come rischio all’interno di un pro- getto ancora più grande, di cui essi stessi erano e sono più o meno consapevolmente complici. La disperazione dei dipendenti licenziati e il suicidio di tanti piccoli imprenditori non toccano minimamente i pochi che manovrano i giochi e i molti, ben pagati, conniventi. Oggi, essere presenti nel consiglio di amministrazione di una grande banca mondiale significa aver imparato a convivere senza problemi con la vergogna. A noi, piccoli azionisti del Banco Popolare, resta soltanto l’amarezza, tanta amarezza.
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Gentile redazione, quello che avete appena letto è il testo di una comunicazione che ho presentato pubblicamente durante l’assemblea degli azionisti del Banco Popolare tenutasi a Novara il 21 aprile 2012. Ve lo propongo in merito all’articolo comparso sul numero di gennaio sui «banchieri banditi» («Crisi: mandiamo il conto a veri debitori», TN di gennaio, pag 17, ndr). Oltre al mio intervento ce ne sono stati altri, in tutto circa una ventina: non tutti erano elogiativi, ma nessuno capace di criticare a fondo l’operato del consiglio di amministrazione della banca. L’amministratore delegato del Banco Popolare, al termine degli interventi ha risposto brevemente a tutti salvo, ovviamente, a me. Anzi, ha cercato di non lasciarmi nemmeno finire la lettura. Quando ho finito e sono tornato a sedermi in sala, soltanto due persone sono venute a manifestarmi il loro consenso e tutto è finito lì. Da quel giorno sto cercando di cambiare la banca, ma ho trovato soltanto Banca Etica che mi sembra qualitativamente diversa da tutte le altre. Purtroppo però non ha diffusione territoriale sufficiente per garantire un’accettabile vicinanza al paese in cui risiedo, per cui avrei dei problemi non indifferenti ad effettuare il cambio. Non vi sarebbe possibile, come rivista, impostare una ricerca sulle possibili alternative disponibili per chi, come me, sta cercando di non subire passivamente gli sporchi giochi speculativi che tutte le grandi banche italiane hanno fatto e che ora fanno pagare a noi? Grazie per il vostro aiuto. Pietro Giordano (da Cigliano)
•Risponde Mimmo Tringale, direttore di Terra Nuova
Caro Pietro, grazie per la tua lettera e soprattutto per la determinazione nell’esprimere le tue idee all’assemblea degli azionisti del Banco Popolare. Sono sicuro che le tue parole hanno lasciato il segno anche tra coloro che non ti hanno manifestato il loro consenso. In quanto alla tua richiesta, purtroppo l’unica realtà che in Italia opera nel mercato bancario con criteri etici e trasparenti è Banca Etica, le cui filiali però non riescono a coprire che poche città. La buona notizia è che anche dove non è attiva una filiale è possibile usufruire dei medesimi servizi rivolgendosi ai cosiddetti «banchieri ambulanti» o, collegandosi a www.bancaetica.it, diventare correntisti online. Un apposito link dalla homepage consente di individuare (e contattare) facilmente la filiale e/o il promotore più vicini. Limitatamente alla possibilità di investire i propri risparmi in maniera etica e solidale o chiedere prestiti, segnaliamo un’altra realtà storica del- la finanza etica: la Mag 6 di Reggio Emilia (www.mag6.it), che investe i risparmi raccolti esclusivamente in attività con spiccato carattere ecologico e/o solidale. Attività analoga svolgono Mag2 Finance di Milano, Mag4 di Torino, Mag Venezia e Mag Firenze. Ci sono poi il consorzio Etimos (www.etimos.it) che si occupa soprattutto di microcredito nel Sud del mondo e infine la neonata Jak Bank (www.jakitalia.it), un’esperienza attiva in Svezia dal ’73 e in via di costituzione anche in Italia, la cui singolare caratteristica è che i soci-clienti non ricevono interessi né per i risparmi affidati, né tanto meno per i prestiti ricevuti, ma pagano solo una commissione necessaria per coprire i costi di gestione.
“Cara banca mi devi delle spiegazioni” è una lettera tratta dalla rubrica ” Terra Nuova dei lettori” pubblicata sul mensile Terra Nuova febbraio 2013, disponibile anche come eBook.
 

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