Marilisa Patini, lettrice di Terra Nuova, ci scrive sulla vendita di una delle sedi di Findhorn, il grande albergo chiamato Cluny College, dove ha personalmente fatto un’esperienza di condivisione nella vita di comunità.
Lo scorso anno proprio in questo periodo di piena estate ero stata a Findhorn e avevo già informato i lettori italiani della situazione di crisi che la comunità, conosciuta in tutto il mondo come uno dei più famosi e longevi (più di 60 dalla sua fondazione) ecovillaggi, stava vivendo. La sua direzione finanziaria, la Findhorn Foundation, oberata dai debiti contratti durante il periodo del covid, si vociferava avrebbe venduto una delle sedi: un grande albergo dove venivano ospitati i partecipanti ai numerosi corsi di formazione organizzati tutto l’anno dalla comunità, persone di ogni parte del mondo. La previsione negativa dello scorso anno è diventata una triste realtà. Sono stata due giorni fa a visitare dall’esterno Cluny College, legato ai miei ricordi più entusiasmanti ed emotivamente caldi sulla partecipazione alla vita comunitaria. Iniziata nel 2007, andando su e giù dall’Italia alla Scozia per tanti anni durante le vacanze estive e qualche volta anche invernali, tranne nel periodo del Covid. Attratta da una storia d’amore con questo posto che mi sembrava di riprendere ogni volta.
L’impatto con l’albergo, ora di proprietà di qualcuno estraneo alla comunità, mi ha riempito di tristezza e di rimpianti. Lo stesso sconcerto che si prova di fronte a una persona morta, da cui si avverte che l’anima se n’è andata, non più animata dallo spirito. Eppure proprio in quel momento ho risentito le risate e le canzoni, che si ascoltavano quando mi è capitato di lavorare come volontaria nella grande cucina di Cluny. Prima di iniziare c’era lo sharing, la condivisione. Ci si prendeva per mano e a ognuno veniva chiesto di esprimere le emozioni che stava provando in quel momento, con una descrizione breve o anche con la scelta di un colore più o meno caldo e brillante, a seconda del grado di felicità o tristezza. All’inizio parlare delle mie emozioni in una lingua straniera mi comportava uno sforzo mentale. Ma poi con l’andare del tempo il mio inglese è migliorato e anche la mia soddisfazione nel sentire una grande vicinanza emotiva con persone straniere. Ma accomunate dalla condizione umana, con gli stessi bisogni, gioie e sofferenze. Fare gli aiutanti in cucina era molto divertente. Il focalisier, o cuoco in capo, stabiliva per ognuno di quale verdura o verdure si dovesse occupare, data la dieta vegetariana. C’era chi tagliava a rondelle le carote, chi sbucciava le patate, chi affettava le cipolle. Per quest’ultima operazione in un cassetto speciale erano conservate delle maschere, di solito usate dai subacquei. Venivano indossate per salvare gli occhi dalle lacrime provocate dalle cipolle. Il lavoro era sempre accompagnato dalla musica, si cantava e si danzava nelle pause di lavoro. Ed era per me un piacere relazionarmi con persone di età diverse e ascoltare i loro racconti di Paesi lontani, dove probabilmente non sarei mai potuta andare in viaggio Ma resi così vivi e interessanti dalla loro narrazione. L’aspetto creativo animava la cucina. Al top dell’insalata venivano sempre messi dei fiori, che qualcuno a turno andava a prendere in giardino. Si sceglieva tra i fiori edibili, che cioè si potevano mangiare, come le calendule, e si curava l’accostamento di colori. Come se i piatti fossero delle rappresentazioni artistiche, che dovevano appagare l’occhio prima che il palato. Qualcuno si prendeva delle grandi libertà nell’interpretazione dei piatti. Mi ricordo di avere aiutato un cuoco canadese nella preparazione di una quarantina di pizze e che, siccome era d’ obbligo fare anche la versione gluten free, ne avevamo preparato alcune con la farina di polenta. Ho riferito al mio compagno di lavoro che ciò avrebbe fatto inorridire gli italiani, creatori della pizza. Ma lui mi ha risposto che a findhorn tutte le “stranezze” erano concesse.
Ho prestato la mia attività di volontariato anche nei giardini e orti di Cluny College. La leggenda di Findhorn si alimenta da 60 anni con il racconto dei raccolti eccezionali (i famosi cavoli da 20 libbre) che i fondatori, soprattutto Dorothy Maclein, riuscivano a ottenere negli orti. Attraverso la comunicazione telepatica con gli spiriti della Natura o deva, angeli in sanscrito, come li chiamava Dorothy. Questi spiriti davano consigli accurati e molto pratici sulle modalità di coltivazione e raccolta, sui collegamenti con i cicli stagionali e con le fasi lunari. Gli orti nella loro magnificenza avevano attratto gli agronomi prima della zona e poi da tutto il Regno Unito e dai loro racconti era nato il mito Findhorn, negli anni 70 e 80. Calamitati da questo mito sono arrivati soprattutto giovani amanti dell’ecologia, i figli dei fiori, da tutto il globo. La mia frequentazione iniziata nel nuovo millennio, ha incontrato la realtà degli orti più di 20 anni dopo la loro prima creazione.
Come in cucina, prima del lavoro nell’orto c’era la condivisione, perché si creasse un flusso di amore e partecipazione nel gruppo dei giardinieri. Poi la vestizione con gli stivali e le giacche pesanti, che ognuno poteva trovare della sua taglia nel ripostiglio di legno annesso alle serre. Obbedendo allo spirito pratico britannico gli arnesi per l’agricoltura erano raccolti in un kit, che comprendeva guanti, ginocchiere, zappette. Così attrezzati ci si recava nell’orto in cui si era stati destinati. Ricordo con grande meraviglia il giardino dei Chakras ,diviso in sette settori, con fiori corrispondenti al colore dei vari chakra. Si partiva dal primo con fiori rosso fuoco , che ricordavano il chakra della base: Muladhara, quello che ci connette alla terra e al mondo materiale. Erano rose in bocciolo o nella loro fioritura. Ma anche begonie e gerani. Poi si passava ai fiori arancioni per Savadhistana, il chakra della sessualità e della vitalità, come le calendule, i tulipani che erano raccolti in una grande aiuola, le dalie che profumavano l’aria intorno a sè. Il terzo Manipura comprendeva fiori gialli, quelli di campo ma anche un grande albero di mimose. Il quarto Anahata, il chakra del cuore, fiori rosa, come le magnolie e le rose canine, che venivano raccolte per farle seccare e farci le tisane. Il quinto fiori blu mare per Vishudda , il chakra della gola. Spiccavano su tutti i fiordalisi e piccoli fiori dal nome suggestivo di “occhi della Madonna. Il sesto Ajna,colore indaco del sesto chakra, quello corrispondente al terzo occhio. E’ il mio colore preferito e mi piaceva occuparmi di quei fiori arricciati che di solito compaiono nel bouquet delle spose,ma di cui non conosco il nome. L’ultimo,il settore più ampio, era quello dei fiori bianchi, corrispondente a Sahasrara, il chakra della corona, della purezza, del collegamento con l’universo e il divino. Si trattava di una grande distesa di gigli, che rilucevano in tutto il loro abbagliante candore.
Mi sono sempre chiesta per quali meriti nella vita precedente abbia avuto in sorte in questa vita di lavorare in un simile Eden. E se il piccolo roby, il pettirosso che spesso compariva mentre stavamo togliendo le erbacce, fosse il mio angelo custode. Ero disposta a crederlo. O forse l’angelo di Findhorn, che si vociferava soprassedesse e guidasse tutte le attività a Findhorn.
Questi ricordi che si sono affacciati alla mente in un momento di grande tristezza, all’improvviso e senza uno sforzo volontario. Mi hanno fatto comprendere che la realtà di Cluny può sopravvivere solo attraverso la memoria di chi da questo luogo ha ricevuto come me tantissimo in termini di evoluzione personale. Soprattutto se verranno messi nero su bianco in articoli o in un libro, come intendo fare.
Niente sarà più come prima, mi chiedo, ora che la sede di Cluny College è stata venduta? Sono reduce da un workshop di danze e canti condotto da Barbara Swetina, la musicista più accreditata di Findhorn. Penso che probabilmente si ripartirà dall’equilibrio e dall’armonia che la musica più di altre arti può ispirare. E dal contatto con gli spiriti della Natura, che ancora si dice si manifestino, come entità invisibili ma attive, che ispirano le persone che frequentano la comunità e ne fanno parte.
Qualcuno, più sensibile di altri, ne avverte e percepisce la presenza.
Eileen e Peter Caddy e Dorothy MacLein 62 anni fa, nel lontano 1962, come detto sopra, si narra siano stati ispirati da queste entità angeliche nel fondare la comunità.
Se si pensa che ancora oggi esse guidino i nostri passi e ci si affida al loro aiuto e supporto, allora si può sperare che niente di questa esperienza meravigliosa sia finito.