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I detenuti di Rebibbia incontrano l’omeopatia

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I detenuti del carcere di Rebibbia hanno incontrato il medico veterinario omeopata Marco Verdone che ha presentato la sua esperienza ventennale sull’isola carcere di Gorgona, raccontando e “l’incontro tra detenuti e animali, anime recluse ma su quell’isola più libere”.
I detenuti del carcere di Rebibbia hanno incontrato il medico veterinario omeopata Marco Verdone che ha presentato la sua esperienza ventennale sull’isola carcere di Gorgona, raccontando e “l’incontro tra detenuti e animali, anime recluse ma su quell’isola più libere”. Nel carcere di Gorgona, la più piccola isola dell’arcipelago toscano, si sperimenta un nuovo modo di relazionarsi tra animali umani e animali non umani liberi nell’isola. Il racconto di Verdone ha catturato l’attenzione dei detenuti (oltre sessanta) presenti. Gli animali come dice l’etimologia della parola sono esseri con l’anima perché esseri in movimento e proprio nel movimento esprimono emozioni, attrazioni, repulsioni, paure, i moti dell’animo appunto. Altre componenti del corpo animale sono gli organi, che altro non sono che strumenti che risuonano ognuno in un modo diverso. Quando sono sani producono armonia e, come in un’orchestra quando gli strumenti sono intonati, fanno la loro parte per raggiungere l’equilibrio. Questo riferimento agli organi in salute è strettamente legato alla scelta di utilizzare le medicine non convenzionali (o complementari) e in particolare la medicina omeopatica.
Infatti, in questo sistema-isola un’importante scelta per garantire l’armonia tra gli esseri viventi e l’ambiente circostante è stata l’utilizzo dell’omeopatia, associata anche alla fitoterapia grazie alla varietà e ricchezza delle specie vegetali presenti. L’isola offre la possibilità di beneficiare dell’omeopatia sia per gli animali che per gli umani. In questa realtà è naturale curare, osservare, parlare… In questo luogo curare gli animali significa anche entrare in relazione con “l’altro” e imparare a comprendere il gioco di relazioni che connettono noi, gli altri (umani e non) e l’ambiente. In definitiva prendersi cura degli animali implica estendere l’interesse alle persone che si occupano degli animali.
Nella dimensione di isolamento e reclusione di Gorgona si è creato un legame empatico tra anime prigioniere, si sono rotti gli schemi preconcetti che normalmente pongono l’animale in una condizione di inferiorità impedendo di superare le barriere di specie e di entrare in contatto con l’anima-animale. Per la persona detenuta, i cui rapporti umani sono azzerati, la presenza di un animale diventa importante e vitale.Egli è essere senziente che cerca di non soffrire e di non morire esattamente come fa l’umano, con il quale si crea una relazione affettiva fondata sull’accettazione e il non-giudizio. L’anima così trova un momento di libertà e viene aiutata a non sprofondare nel baratro.
In questo percorso si è inserita la scelta di stilare una “Carta dei Diritti degli Animali dell’isola di Gorgona” che costituisce uno dei tanti contributi per offrire uno spunto di discussione per la soluzione della delicata questione animale. La proiezione di due filmati sulle condizioni di vita e le attività nell’isola si sono alternati alla descrizione fatta da Marco Verdone e dalla testimonianza diretta dell’ex detenuto di Gorgona, Claudio Guidotti. Egli ha raccontato di come, una volta resosi consapevole che tutto l’allevamento era finalizzato alla produzione di latte e carne, per evitare azioni che gli avrebbero procurato sofferenza (per esempio, dover portare alcuni animali al macello), ha chiesto di essere impiegato in altre mansioni, come la cura dell’orto.
L’incontro tra Marco Verdone e i detenuti-studenti del Carcere Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso è avvenuto all’interno di un programma che si propone di avvicinare alla cultura scientifica attraverso il dialogo con ricercatori, commentando insieme brevi documentari prodotti da istituzioni scientifiche. L’iniziativa in corso, sostenuta dall’Associazione Antigone, è coordinata da Attilio Vitali, presidente del Festival Docscient, da due insegnanti di scienze del carcere, Daniela Provengano ed Elena Lugaro, e da Silvia Caravita, ricercatrice del CNR.

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