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La democrazia non può prescindere dalla partecipazione sociale

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Condividiamo con i nostri lettori questo intervento di Francesco Bernabei, sviluppatore sociale, scrittore e ricercatore, che offre interessanti spunti di riflessione.
La democrazia non può prescindere dalla partecipazione sociale
Ho sempre cercato di mostrare la visione complessiva delle possibilità consentite “da” o “fra” le norme allo scopo di garantire la massima qualità possibile della convivenza civile.
Il green pass per me ha introdotto un palese punto di svolta, quello in cui si è proprio chiarito che la partecipazione civile non solo non è mai stata un elemento di valutazione da parte di chi decide, ma proprio non è nemmeno considerata come un fatto positivo, anzi l’invito è proprio a non pensare, a non prendere iniziative e ad attendere che altri risolvano la situazione per il “bene di tutti”.
Ammettendo anche la buona fede di chi parla e si propone in ogni ambito presentato come positivo dal sistema massmediatico (una buona fede che è data non per fiducia cieca ma come minimo per partire – altrimenti non ci sarebbe nemmeno l’ascolto), mi sembra del tutto evidente che:
  • gli idranti su gente ferma che manifesta
  • l’invito alla delazione per denunciare ogni comportamento contrario a quello unico ritenuto possibile
  • la limitazione della vita sociale per chiunque sia identificato come diffusore di contagio lasciando che invece circolino liberamente coloro che sono vaccinati, pur essendo del tutto capaci di diffondere il virus
  • la proposizione di una terza dose di un vaccino definito come tale pur essendo stato chiarito che non si tratterebbe di un vero vaccino ma di un sistema per immunizzare per un periodo limitato di tempo tanto da richiedere ulteriori dosi di cui nessuno si prende responsabilità, addirittura con leggi pensate appositamente per non intestarsene
  • la caparbia presa di posizione per cui la limitazione del contagio, nonostante i danni sociali e civili che a distanza di quasi due anni possiamo notare, conta più di qualsiasi cosa senza possibilità di appello
  • il decisionismo come meccanismo ordinario
siano fatti più che sufficienti per dimostrare che siamo arrivati ad un punto di non ritorno che non dichiarerei con presa d’atto per cui non esiste più una democrazia o un sistema che comunque si poteva definire democratico.
Penso che sia più corretto dire che non abbiamo mai avuto una democrazia perché non abbiamo mai capito come partecipare alla vita sociale: votare e lavorare sono stati i soli modi concessi per cui la stragrande maggioranza delle persone poteva in qualche modo sentirsi parte della convivenza civile più ampia. Mi sembra plausibile affermare che votare è diventato atto “vuoto” perché i rimpasti e i trasformismi fanno sì che l’eletto, nonostante la relativa forza acquisita e per dinamiche varie sotto gli occhi di tutti, a volerle vedere, non risulti in grado di governare, tanto che è ormai ordinario l’avvento di premier non eletti ma piovuti da altri luoghi extraelettorali.
Si potrebbe anche affermare, senza timore di sbagliarsi poi tanto, che a lavorare con tutti i crismi previsti dalle tante leggi salvifiche sul lavoro siano relativamente pochi, mentre la maggioranza non ha accesso a lavori stabili e sufficientemente adeguati per la capacità economica che ci è richiesta per vivere nel nostro Paese e possiamo già capire che per i nostri figli ci saranno precariato e incapacità economica.
Noto inoltre, potendolo dimostrare, che, con inerzia decennale, i servizi resi da parte dello Stato si stanno assottigliando e riducendo ai soli veramente fondamentali, passati tra l’altro con modalità rigida, informatica e accentrata nei ministeri e non più negli enti locali e a decidere non è quasi più nemmeno una persona ma un algoritmo.…
Noi non abbiamo votato per tutto questo, nemmeno lo abbiamo accettato e mi sembra evidente che non abbiamo mai capito cosa ci poteva essere di altro ed è questo il punto vero su cui dovremmo riflettere: la macchina opprimente che ci sembra di cogliere dietro ogni atto pubblico non è nient’altro che l’automatismo culturale che è stato scelto in mancanza d’altro e il sistema etico-legale che cogliamo dietro tutta questa rigidità è lo stesso che vediamo nei condomini quando la gente non sa stare insieme e assume la posizione della “testa di legno” per non esporsi, per non rinunciare alle piccole convenienze, per non partecipare veramente ma lasciarsi trasportare là dove sembrerebbe più confortevole stare.
Non ce ne rendiamo conto ma, con la mancanza di partecipazione, abbiamo votato per questo stato di cose che non è altro che il risultato della spinta futurista innescata oltre un secolo fa, quando si credeva che non contasse veramente il parere del cittadino ma la sua adeguatezza alla società industriale e moderna.
Ora che abitiamo in una società post-industriale e post-moderna, termini che niente dicono sulla direzione reale che potremmo prendere, ci rendiamo conto che l’ambiente è imprescindibile, che la qualità della vita è fattore fondamentale non accessorio per chiunque, che l’educazione delle nuove generazioni è di primaria importanza, che le relazioni umane sono il vero obiettivo nella vita di ognuno, che non si può costruire la felicità di nessuno sull’infelicità di qualcuno, che stare insieme diventa significativo solo se comporta il miglioramento della propria condizione sotto tutti i punti di vista (e mai il peggioramento), che non è lecito sacrificare qualcuno per gli altri…
È alla luce di tutto questo che non possiamo accettare decisionismo, partitismo, bullismo, maschilismo, collaborazionismo, corruzione, arbitrarietà, collusione, mediocrità, squallore, mortificazione, ma, in fin dei conti, è soprattutto perché vogliamo una vita migliore e piena, degna di essere vissuta.
Posso testimoniare, per le esperienze lavorative di questi ultimi venti anni, che è per queste ragioni che sta capitando che la gente si inventa lavori di ogni tipo, soprattutto nel sociale, per cui sacrifica reddito per stare meglio e sentirsi più viva, si costruisce la propria casa con tutto, compresa paglia e carta, torna a coltivare la terra letteralmente con le mani, per prodursi il proprio cibo, alleva e istruisce i propri figli perché comprende di poter fare meglio, anche nei boschi, ricorre a cure diverse da quelle proposte perché si sente, come minimo, più ascoltata e considerata e può partecipare al processo della propria guarigione, si stampa la propria moneta…
Se tutto questo si riducesse a semplice rifiuto del sistema ancora incoscientemente industriale, credo che si arriverebbe a una semplice forma di autoesclusione con ritiro a vita privata. La vera sfida per me è esattamente questa: non autoescludersi ma decidere di vivere meglio partecipando alla società con quel diritto di esistere che non può essere veramente soppresso perché è un dato di partenza proprio di ognuno anche degli stessi soggetti che dovrebbero operare per eliminarlo. Sarebbe la stortura perfetta, quella che, avendo fatto il giro completo, si annullerebbe!
L’obiettivo specifico è esattamente questo: creare sistemi aperti di partecipazione civile per abbassare l’asticella dell’accesso consentendo a tutti di arrivare agli obiettivi esistenzialmente importanti che non possono essere concepiti come esclusivi.
Tutto questo aspetta solo di essere progettato e avverrà certamente… se prima o dopo, dipende da noi adesso. Ma vorrei sottolineare che i tentativi fatti fino a oggi non sono stati inutili o vani ma significativi, perché hanno costruito un terreno di “cultura” importante per mettere radici.
Credo che il lavoro dei prossimi anni, se condotto coscientemente, sarebbe soprattutto questo: mettere radici in basso per costruire le concrete possibilità di sviluppo in alto dopo ma presto…
Non si tratta di costruire nuovi movimenti o organizzazioni di massa perché queste probabilmente riprodurrebbero, in qualche modo, il problema condominiale di cui sopra, come abbiamo visto capitare a ogni giro, mentre invece mi sembra più interessante occuparsi di promuovere stili di vita più adeguati e semplici, meno nevrotici e sufficientemente lenti per farci stare dentro tutto quello che è importante.
La buona notizia è che non è difficile, mentre lo è rimanere nevrotici e compressi, quindi dovremmo incontrare adesione ma resta fondamentale costruire modelli di partecipazione semplici e possibili a tutti.
Il compito è immane e sconcertante, se visto dal punto di vista del singolo e dei pochi, rimane del tutto possibile, se condotto da tanti animati dal semplice desiderio di presidiarne un pezzetto, generando il proprio contributo. Non è nemmeno faticoso perché è solo un fatto di seguire la propria inclinazione verso un senso esistenziale più ampio in cui non possono non essere compresi anche gli altri, vicini e lontani.
Superiamo l’egoismo, come fatto di individualismo primitivo, quando decidiamo di offrire il meglio che possiamo e lo mettiamo a disposizione degli altri, se ci è possibile partecipare concretamente. Io non ho proposte per organizzare tutto questo subito: vedo e trasmetto percorsi che vanno in questa direzione; mettere radici nel senso di cui sopra comporta pensare e ripensare questi percorsi per elaborare un sistema partecipativo in cui si ritrovano gli elementi migliori di queste esperienze che non sono poche. Si tratta ora di decidere di vivere meglio e organizzare questa nuova vita chiamando altri a partecipare senza isolarsi e cogliendo gli altri come risorse non come limiti. Nessuna forza si oppone a noi quando agiamo in questo senso perché non tocchiamo veramente gli interessi di qualcuno ed è per questo che non abbiamo niente da temere. Tanti auguri a tutti noi!

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