Lavorare tanto fa bene: prima di tutto fa bene all’economia, che cresce con il PIL, poi fa bene alla nostra pancia, che aumenta all’aumentare della ricchezza immagazzinata, la maggior parte della quale non ha alcuna utilità pratica. Finché c’è lavoro dobbiamo lavorare. Che fine ha il nostro lavoro? Non importa. Che qualità ha il nostro lavoro?
Tanto meno. Quante persone oggi vivono per lavorare, il lavoro è diventato l’idolo principale, ancora prima del denaro. Il lavoro non come espressione di sé, di genialità, non come creazione di valore, ma meramente come occupazione del tempo, come alternativa ideale per contrastare la minaccia dell’aumento di tempo libero dovuta al progresso tecnologico. Dopo il lavoro, meglio riempirsi di altre cose da fare: palestra, corsi serali, aperitivi, telefonate inutili, finti impegni… tutti espedienti per non permettere alla vita di rallentare, di entrare nella sua naturale armonia con l’ambiente. La gente oggi ha paura del tempo libero, non lo vuole proprio vedere, non vuole averci a che fare. Avere del tempo libero, del tempo per se stessi, significherebbe ascoltarsi, relazionarsi con il proprio io profondo. E anche nelle sporadiche vacanze che facciamo, dobbiamo avere impegni su impegni: gite, escursioni, avventure, sport estremi, cavalcate, percorsi impervi, cene, distanze chilometriche da percorrere, discoteche… girare, girare a vuoto, tanto per girare.
Se ci fermassimo sulla panchina di un giardinetto qualunque, magari quello sotto casa che non abbiamo mai notato prima, allora ci accorgeremmo che gli uccellini stanno cantando per noi, il vento sta frusciando per noi, una formica ci sta accarezzando il braccio. Ci accorgeremmo che gli alberi hanno delle chiome verdi di luce sopra le nostre teste e ci proteggono; che ogni foglia è un riparo.
Questo dovrebbe essere un esercizio da fare ogni giorno prima di recarsi a lavoro, con calma, senza fretta. Ma correre ogni giorno e fermarsi per un solo istante, sufficiente però a farci rendere conto di essere totalmente vuoti, scontenti e ingrati, è una prospettiva talmente spaventosa che l’uomo lavoratore non può assolutamente rischiare di affrontarla. Sì, perché oggi siamo abituati a dare un valore di mercato a tutto ciò che ci circonda, e ci sono dei folli – purtroppo non ritenuti tali – che addirittura vorrebbero mercificare l’aria, il cielo, l’acqua. E allora il tempo libero che valore avrebbe? Nessuno.
Anzi, avrebbe un valore negativo, dato che sottrae tempo (risorsa economica) al lavoro, che invece crea ricchezza monetaria. Il paradosso è evidente, perciò mi sento di gridare: viva l’ozio! Viva la conquista di maggior tempo libero come atto di democrazia e libertà per ogni singolo individuo. Evviva la lentezza, che ci libera dalla schiavitù della fretta e dello scadere del tempo concesso. Viva cinque ore di lavoro al giorno, viva le piccole distanze, viva le cose piccole, le banalità, viva l’ingenuità delle scoperte scontate. Viva il pensiero astratto, la fantasia, viva lo stare a fissare per ore lo stesso paesaggio. Viva una vita a dimensione umana!
Lettera di Luca Madiai
Caro Luca, l’argomento che affronti a qualcuno potrà apparire banale, ad altri un po’ radical chic. In realtà è forse uno dei problemi più sottovalutati del nostro tempo. La paura dell’ozio accompagna l’umanità dall’inizio della sua esistenza, ma negli ultimi decenni ha raggiunto proporzioni gigantesche. Già Pascal nel Seicento faceva notare che le miserie dell’uomo sono riconducibili alla sua incapacità di stare da solo in una stanza. John Lennon ha proseguito ricordandoci che spesso la vita è «una cosa che ci succede mentre siamo impegnati a fare altro». Molte discipline spirituali hanno in comune la ricerca di consapevolezza, un termine che spogliato di pretenziosità significa fermarsi ed essere coscienti della nostra esistenza. Oggi l’ozio è diventato nientedimeno che un’eresia, perché sulla paura dell’ozio si regge l’intera macchina economica. E sappiamo bene gli eretici che rischi corrono: un rogo più o meno metaforico. Forse allora la cosa migliore è che gli oziosi si armino di ironia e di un pizzico di furbizia.
Lo sai che in Inghilterra viene pubblicata una rivista che si chiama The Idler (L’Oziatore)? Esce con un solo numero all’anno (coerentemente con i principi che professa), ed offre molti spunti interessanti. Praticare l’ozio, vi si legge, non significa affatto fare niente, ma piuttosto essere padroni del proprio tempo. L’ultimo numero infatti («Mind your business: small enterprise as a liberating strategy») è dedicato al valore delle piccole attività. Se hai letto «Momo» di Michael Ende, conoscerai sicuramente le oscure intenzioni degli Uomini Grigi, che rubano il tempo alle persone. Io stesso, indaffarato come sono per ogni numero di Terra Nuova, ogni tanto mi chiedo se, come mensile della decrescita felice, stiamo predicando bene e razzolando male. Ma mi rendo conto che il cambiamento deve innanzitutto venire da dentro.
Una volta un contadino mi disse: «Il tempo c’è, basta prenderselo». Forse il tempo in realtà è tutto libero. Non si tratta di liberare il tempo, ma di liberare noi stessi. Un’impresa talmente semplice e a portata di mano da risultare impossibile per le nostre vite e menti complicate.
Un cordiale saluto, Nicholas Bawtree