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No alla Pedemontana in Brianza

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Un lettore ci informa che in Brianza si stanno mobilitando comitati cittadini per dire no all’autostrada Pedemontana che si vuole costruire.
“Nei mesi scorsi si sono svolte diverse assemblee cittadine e manifestazioni organizzate dai comitati civici ed ass.ambientaliste per protestare riguardo alla possibilità che l’autostrada denominatata “Pedemontana”possa passare per la bassa Brianza,attraversando diversi paesi(da Seveso a Lissone).
Nelle assemblee sono emersi gli stravolgimenti sociali ed ambientali che il progetto provocherà:rischio diossina,svalutazione degli immobili,pagamento pedaggio,congestione del traffico,maggior tempo di percorrenza,scempio del territorio,inquinamento atmosferico ed acustico.
Tra Desio e Lissone(frazione S.Margherita)è previsto,ad esempio,il 2° svincolo più grande d’Europa,una maxi area di servizio ed area manutenzione mezzi.
Tutto ciò rientra pienamente nel trend attuale della Lombardia con un consumo di 13 ettari di terra fertile al giorno e con un programma di costruzione di numerose autostrade(TEM,Boffalora-Malpensa,Broni-Mortara,Brebeni,Cremona-Mantova ).
E’ stato confortante ascoltare in queste manifestazioni argomentazioni molto belle e mature,ma,secondo me,hanno il limite di essere troppo localistiche e che fuori della brianaza non faranno proseliti.Se la questione si riduce ad un contenzioso tra potenze politiche-finanziarie ed il disagio subito dalla cittadinanza,la partita è già segnata.Le forze politiche si piegheranno all’interesse supremo delle istituzioni bancarie e delle multinazionali.
Eppure sono convinto che esistono ragioni di natura universale per opporsi a questo scempio,prima fra tutte la salvaguardia del clima.
Negli anni trascorsi si sono susseguiti vari rapporti che pur stilati da soggetti diversi(scienziati,governi,istituzioni internazionali) contenevano le stesse affermazioni:il globo si sta surriscaldando con conseguenze drammatiche per il clima,innalzamento dei mari,carestie alimentari;il surriscaldamento è dovuto ad un’eccesso di anidride carbonica proveniente dalla combustione di sostanze fossili,primo fra tutte il petrolio;se vogliamo salvare il pianeta dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 del 60%.
Quando un medico ci espone con precisione diagnosi,cause e cura,di solito prendiamo provvedimenti immediati.Non in questo caso.
Riconosciamo la drammaticità del momento,ma solo nei telrgiornali e nelle università,quasi si trattasse di un tema culturale.Poi,però,torniamo alla concretezza dell’economia e continuiamo con gli stessi atteggiamenti suicidi,come se provassimo gusto ad assistere alla nostra agonia davanti allo specchio.Sappiamo che se vogliamo salvare il pianeta dovremo ridurre del
30 % l’uso dell’auto(percentuale di CO2 dovuta al traffico).
Il che non significa solo potenziamento dei mezzi pubblici,ma anche riprogettazione delle città,creazione di posti di lavoro in ambito locale,consumo locale per ridurre gli spostamenti di persone e merci. Ma tanto per allenarci nella nostra schizofrenia progettiamo nuovi centri commerciali ed autostrade,che si basano sullo spostamento di milioni di persone su grandi distanze.Milioni di clienti l’anno che peggioreranno le sorti del clima e condanneranno a morte i loro figli perchè sgaseranno in autostrada nella speranza di guadagnare qualche minuto nel tragitto verso gli aeroporti,le vacanze o qualche centro commerciale.
Questa è la logica che sta alla base dell’ideologia economica che sposta la produzione dove produrre costa meno,ovvero dove maggiore è la licenza di sfruttare e di violare l’ambiente,senza preoccuparsi dei drammi sociali che lascia nei luoghi abbandonati e delle migliaia di tonnellate di petrolio che brucia per rifornire gli ipermercati da un capo all’altro del mondo.
E’ inutile che le multinazionali e gli istituti finanziari ci mostrino dati costruiti ad arte per dimostrare la loro sensibilità sociale ed ambientale.Sono i fatti che contano,non le interpretazioni,Sono i fatti che parlano,non i rapporti stilati su carta patinata dagli addetti alle pubbliche relazioni.
In Cina,ad esempio,il salario minimo è poco più di 1 dollaro al die,la stessa cifra che la Banca Mondiale considera come soglia della povertà assoluta.L’Organizzazione mondiale del lavoro ha denunciato la drammaticità di 1 miliardo di persone definiti working poors,poveri che lavorano,semplicemente perchè guadagnano troppo poco per vivere dignitosamente.
Se non vogliamo fare tutti la fine dell’Isola di Pasqua,è tempo di scelte coerenti.
Nell’attesa di effettuare le rivoluzioni nel modo di produrre energia elettrica,nel modo di organizzare la città,l’abitare,la produzione,cominciamo almeno a dire un secco no a chi vuole costruire grandi opere(come la Pedemontana),utili solo a perpetuare un modello di sviluppo che in nome del proprio profitto ci porterà nel baratro”.
 Giuseppe Fatigati, Lissone(M-B)
 
 
 
 
                        

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