Un grande storico delle religioni, Mircea Eliade (autore che spesso ci “tira fuori dai guai” con sorprendenti intuizioni!), nel libro Images et Symboles spiega l’archetipo del legame, sostenendo tra le altre cose che c’è un forte riscontro etimologico tra le parole Legare e Stregare. Infatti, ad esempio dal latino, fascinum, che significa maleficio, è parente di fasciache indica per l’appunto una qualità del legare. In questa sede simbolica il legame è indice di paura, pericolo, morte. Anche dal sanscrito troviamo degli aiuti: Yuklisignifica aggiogare e potere magico, da cui deriva la radice sanscrita Yuj, la quale si sviluppa poi nella parola Yoga, che oltre ad essere una disciplina significa appunto unione. Proseguendo sulla stessa strada si può citare, come esempio, l’inno di Ishtar citato da Harding in Les mystères del la femme, la dea annoda e scioglie il filo del male, del destino, lacci e corde sono infatti sempre gli strumenti dei nodi che caratterizzano le divinità legate alla morte. Già nell’Odissea il filo è simbolo del destino umano, ecco infatti che Eliade associa ilfilo al labirinto, il quale è «insieme metafisico e rituale contenente le idee di difficoltà, di pericolo, di morte. Il legame è l’immagine diretta degli “attaccamenti” temporali, della condizione umana legata alla coscienza del tempo e alla maledizione della morte.»
[1]. Definite queste prime coordinate c’è ora da domandarsi come siamo arrivati a collegare simbolicamente la donna e la femminilità all’idea di morte, destino e maledizione. Perché? Abbiamo compreso che c’è una stretta correlazione etimologica, ma questa è solo la conseguenza di un credo, di una cultura già profondamente radicata, che porta testimonianza ai posteri attraverso la parola. Il primo simbolo femminile è la notte, le tenebre, che da sempre hanno spaventato ed atterrito l’uomo (da qui anche le fiabe e le credenze popolari sull’uomo nero, i pregiudizi razziali – visti da un punto di vista psicologico e inconscio – il senso della notte e di tutte le credenze legate a morte/notte/tenebre/sconosciuto). Dal profondo della notte e delle tenebre nasce l’immagine del cieco, mutilazione data dall’oscurità, che rappresenta l’inconscio, basti pensare a tutte le leggende e i miti del vecchio re cieco (Edipo, o il reggente cieco Dhritarashtra del Mahabarata). Dal re cieco all’acqua si arriva attraverso il simbolismo, solo apparentemente lontano, una variazione dello stesso tema nictomorfa, come in una sinfonia d’orchestra, allo specchio: l’acqua fu il primo cupo specchio. Lo specchio infatti può essere limpido o tenebroso (basti pensare al mito di Narciso). Nel caso dello specchio tenebroso, anche le acque saranno tenebrose, e il simbolo per eccellenza della acque nere sono il sangue mestruale, ed ecco il legame liquido che lega la donna a tutta una serie di immagini tenebrose, spaventose, a volte peccaminose o comunque soggette a tabù, proprio per allontanare ogni pericolo di morte e contaminazione. L’acqua, sempre citando il capitolo sui simboli nictomorfi di Durand del libro poc’anzi citato, è un’epifania dell’infelicità del tempo. Il tempo infatti è simbolo di morte, il tempo che scorre inesorabile e stringe tra le mani il destino dell’uomo. La luna, ad esempio, è simbolo per eccellenza dell’unione del femminile con la morte, infatti la luna indica il tempo che scorre, il movimento delle maree, l’arrivo di una catastrofe naturale, il ciclo mestruale, quindi sempre acque nere. La luna porta su di sé questo bagaglio simbolico perché cambia aspetto ogni notte, mentre il sole rimane sempre lo stesso, salvo per un’ eclissi, evento raro e comunque determinato dalla presenza della luna. Ecco che la luna unisce ancora una volta le acque al sangue mestruale, e quindi le acque alla donna. Proseguendo sulla via del tempo e della morte, possiamo ricordare che dal sanscrito ci giunge il termine Kala per indicare il tempo e Kali per indicare la divinità femminile della morte, dell’orrore e del sangue, rappresentata sempre con collane di teschi, sangue che sgorga dalla sua bocca e una testa mozzata in mano. Molto spesso queste immagini iconografiche ci stupiscono, ci atterriscono e non ci danno tempo di guardare più a fondo il reale significato delle cose. Kali infatti rappresenta un momento di trasformazione e transizione, e perché qualcosa si trasformi qualcos’altro dovrà necessariamente perire e lasciare spazio al nuovo, inoltre Kali stringe con la mano la testa mozzata di un demone. Quindi, prima di giungere a conclusioni sulla morte e sul reale terrore, bisognerebbe indagare maggiormente sul simbolismo naturale degli eventi e su quello che ogni cultura pensa riguardo al tema della morte e del tempo che scorre: tempo lineare, che ci porta ad una irreparabile fine o tempo circolare che ci lascia la possibilità di ripetere e migliorare la nostra condizione umana? Ma tornando al tema di questa ricerca, un altro simbolo, stavolta animale, legato alla morte è il drago (che può poi diventare serpente o coccodrillo o altro). «Sembra che il drago esista, psicologicamente parlando, come portato dagli schemi e dagli archetipi della bestia, della notte e dell’acqua combinati tra loro. Nodo in cui convergono e si aggrovigliano l’animalità brulicante del verme, la voracità feroce, lo strepitio delle acque e del tuono, insieme all’aspetto vischioso, squamoso e tenebroso “dell’acqua densa”. L’immaginazione sembra costituire l’archetipo del drago e della Sfinge a partire dai terrori frammentari, dalle fogne, dagli spaventi, dalle repulsioni, sia istintive sia sperimentate e infine drizzarlo in maniera terribile, più reale del fiume stesso, sorgente immaginaria di tutti i terrori delle tenebre e delle acque. L’archetipo viene a riassumere e a chiarificare i semantismi frammentari di tutti i simboli secondari.»
[2] In tantissime fiabe non c’è per caso il drago che tiene prigioniera la principessa? Solo il temerario cavaliere o l’innamorato principe potranno salvarla dalle sue stesse paure inconsce che la tengono incatenata nella inespugnabile torre. Il drago si trasforma nei miti e nell’iconografia, diventano un drago “al plurale” e questi nuovimostri sono la piovra, la sirena, Scilla e il ragno. Mi interessa in particolare prendere in esame il ragno: emblema dell’archetipo del legame, la sua tessitura poi non può che riportarci alla mente il simbolo del filo e della filatura. Ecco che di nuovo le fiabe ci vengono in aiuto: la bella addormentata nel bosco si punge con la conocchia (simbolo che unisce il femminile alla sessualità), e cade addormentata fino a quando il bel principe non la risveglierà. Il filo, e qui ci stiamo riavvicinando nel territorio di Arianna, è il simbolo del destino umano, il tempo, il filo di Arianna. Il labirinto è quindi, come già abbiamo detto, “simbolo contenitore” che unisce le idee di difficoltà, pericolo e morte (il tempo che scorre, il destino umano che vorremmo controllare e aggiogare al nostro volere di umani spaventati). Arianna pone nelle mani di Teseo la soluzione unica per poter uscire dal labirinto della vita: gli diede in mano il suo stesso destino, e non poteva essere che una donna far ciò: donna che domina terrore e morte, tenebre e acque nere, donna – strega, che “fascia e affascina” come la sirena che cantando distrae l’incantato marinaio. Dal filo è immediato il simbolismo con i capelli, primo filo della storia “tecnologica” dell’essere umano. E nuovamente il ciclo mestruale è ilfilo rosso che unisce l’onda al capello, quindi le maree e l’ondeggiare della capigliatura alla femminilità.